Fin qui tutto bene. L’insostenibile leggerezza dei Millenials.

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Si chiudono le selezioni per il nuovo bando di Servizio Civile con le interviste di quasi 250 ragazze e ragazzi del nostro territorio: come ogni anno un affascinante viaggio nelle aspirazioni, nei pensieri e nelle ansie dei giovani nella fascia d’età 18-28 anni.

Quel che segue non è un giudizio di merito, solo la rappresentazione di alcuni elementi ricorrenti nei colloqui. Nove volte su dieci gli aspiranti sono stati raggiunti passivamente dalla notizia del bando e la metà delle volte il passaparola proviene dai genitori. I ragazzi non sembrano troppo ansiosi per l’incertezza del futuro lavorativo, e questo vale anche per i giovani inattivi da tempo, quelli che hanno intrapreso una carriera di studi apparentemente irrealistica oppure quelli che hanno accumulato esperienze di lavoro poco solide e non professionalizzanti. Sia i sognatori che gli accovacciati non sono preoccupati per la sussistenza, anche se spesso vorrebbero fare il Servizio Civile per rendersi più indipendenti economicamente e non pesare sul bilancio familiare. Il disagio, quando emerge, sembra legato a sfere più intime, diverse dalla preoccupazione di trovare il proprio posto nel mondo. Certamente non c’è traccia dell’ossessione del posto fisso che ha caratterizzato la generazione dei loro genitori. Anche il carrierismo latita: quand’anche i candidati hanno un’idea chiara di cosa vogliono fare da grandi, si tratta quasi sempre di vocazioni (l’insegnamento, l’aiuto all’altro..) più che traguardi professionali. Fermo restando che vada messo nel conto un “effetto filtro”, dovuto alla vocazione civica del Servizio Civile, che probabilmente attira maggiormente giovani con motivazioni specifiche e privi di una traiettoria professionale già definita. Al netto di ciò, resta che il movente economico non sembra alla base degli orientamenti più comuni, dei tanti che alla domanda “cosa vorresti fare da grande?” dichiarano di guardare verso l’indotto Comix (gettonatissimo), psicologia, infermieristica, criminologia, ecc.

Tutto ciò è un bene o un male? Certamente è un bene che non si aggiunga ulteriore stress a carico di una generazione che già appare provata, tra l’altro da una sorta di “long covid” sociale che ha lasciato solchi profondi nell’apparato emozionale di tanti ragazzi. Bene anche che i giovani si sentano protetti in famiglia, che appare come una vera e propria comfort zone persino quando – dal racconto spontaneo – emergono situazioni familiari non ideali, problematiche. Se infatti l’ansia favorisce reazioni istintive tipo “combatti e fuggi”, non è certo lo stato d’animo migliore per pianificare il proprio futuro: c’è da rallegrarsi dunque che i giovani riescano ad approcciarsi con un minimo di serenità. Cambia anche la percezione dei lavoro: depotenziata la funzione primaria di procurare la sussistenza, anche la realizzazione personale è più legata alle aspettative in termini di qualità del contesto lavorativo, ma anche della vita fuori dal lavoro.

In definitiva i giovani si presentano con un atteggiamento discretamente neutro, non prevenuto rispetto alla capacità del mondo di dare loro delle prospettive adeguate, e anche questa è una buona notizia. Occorre non deluderli, anche e soprattutto perché col loro approccio disarmato potrebbero essere più vulnerabili se frustriamo le loro aspettative.

Foto di Gelatin @ Pexels.com

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1 commento

  1. Ma il servizio civile è retribuito?
    Altrimenti temo che tale volontariato potrebbe, forse, togliere ad altri posti di lavoro, ammesso che qualcuno ormai li cerchi più; dubbio indotto da ciò che sento dai media, ovvero che molti rifiutano i posti di lavoro.
    Per esperienza personale, di pensionato, impiegato ex posto fisso, io osserverei che:
    il mondo ideale sarebbe quello di chi possa fare il lavoro che gli piaccia fare, e non quanto richiesto dal mercato, come spesso accade/va da parte dei genitori nell’indirizzarli agli studi, facendo così un’operazione che disponeva ad una vita basata sull’autosufficienza economica ma, spesso, a prezzo di infelicità per non fare, eventualmente, ciò che si sarebbe voluto fare.
    Per chi provenisse da famiglia facoltosa, naturalmente, questo problema non esiste/va: continua ricerca del posto di lavoro, generalmente artistico (“personalmente” non vedo altri lavori che possano dare soddisfazione), desiderato. Nel frattempo movida, cene con gli amici, spettacoli vari…
    Non c’è fretta, papà è ricco.
    Per chi non venga da famiglia facoltosa ci sono altre possibilità:
    1) che abbiano ambizioni artistiche e vedano ciò come difficilmente raggiungibile senza una sicurezza economica alle spalle; in questo caso, se coraggiosi, sceglieranno qualsiasi lavoro che faccia loro intravvedere la possibilità di mantenersi economicamente per, nel contempo, esercitarsi per intraprendere una, improbabile, futura carriera nel campo da loro desiderato;
    2) che non abbiano particolari velleità di carriera e che scelgano, nei casi più fortunati, il primo lavoro a tempo indeterminato che permetta loro di sopravvivere, termine adeguato agli stipendi attuali.
    3) che si avviino per altre strade: trasferirsi all’estero, vivere di espedienti, ricorrere al reddito di cittadinanza…
    4) che riescano a trovare un buon lavoro a tempo indeterminato e chiedano il part time volontario sperando di poter, nel tempo libero, studiare per la loro vera passione, magari sentendosi soddisfatti di esercitarla, anche se non professionalmente, solo per il piacere di fare ciò che loro piace.
    Questa forse troppo dura e cruda disamina non prende, evidentemente, in considerazione la possibilità, come detto ad eccezione di lavori di tipo artistico, di trovare soddisfazione nell’esercitare una qualsiasi professione, ma di vedere il lavoro solo come una fonte di necessario sostentamento economico, lavoro da esercitare comunque con coscienza ed onestà per la propria autostima; probabilmente è solo frutto di quello che io sento e che non mi fa capire che, invece, altri potranno avere passione nell’intraprendere, per fortuna, altre professioni altamente necessarie per la società.

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