Medio Oriente: 1983 quando i soldati italiani erano a Beirut (con le armi)

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Medio Oriente: 1983 quando i soldati italiani erano a Beirut.

Stamani cambiamo periodo storico. Entriamo nella Storia Contemporanea.

Stimolato da una provocazione in una discussione da un amico, relativa alla attuale situazione israelo-palestinese e la guerra quotidiana alla quale dobbiamo assistere… inermi, …“ma voi militari che cazzo fate? Avete sempre combattuto dalla parte sbagliata”; mi viene spontanea una risposta che affido alla memoria.

A prescindere che noi soldati (non militari, sono robe differenti, ma è lunga e articolata da spiegare), non siamo mercenari, ma servitori armati della Repubblica Italiana, e agiamo in base a precise decisioni politiche del Governo, non certo di iniziativa.

Però andando indietro nella memoria, e risalendo al 1982, per la verità il Governo Italiano, in seguito ad uno dei piani di pace promosso dall’allora Presidente USA Regan, inviò di “sua sponte” un primo contingente di soldati italiani, bersaglieri del Battaglione Governolo, (soldati di leva!), a scortare un gruppo di fedayn che dovevano lasciare il Libano, al fine di ristabilire una situazione di stabilità e far ripartire il legittimo governo libanese: la cosa funzionò e poco tempo dopo i bersaglieri rientrano. Era la prima volta da dopoguerra che le Forze Armate Italiane erano impiegate fuori dal territorio nazionale, in armi!

Ma la situazione durò poco; due giorni dopo la patrenza del battaglione di bersaglieri qualcuno fece saltare in aria il Presidente libanese Gemayel e 25 suoi collaboratori, e la situazione precipitò di nuovo. Ci fu una rappresaglia terribile a Beirut e gruppi di irregolari maroniti entrarono nei campi profughi palestinesi di Sabrha e Chatila e li rasero al suolo. Bilancio stimato da 800 a 3000 vittime. Una strage.

Il Governo Italiano, mosso inizialmente da una mozione ONU che poi fu ritirata per il veto dell’URSS, (e quindi agendo in proprio con grande coraggio e senso civile) dette ordine ugualmente di far partire un robusto contingente di soldati italiani, ITALCON, a presidio dell’ultimo campo palestinese di Beirut il campo profughi di Bury Barajne, limitrofo ai precedenti campi profughi e prevedibile bersaglio di una prossima strage.

La missione era articolata in più obiettivi: contribuire a ristabilire la sovranità del Governo libanese, proteggere la popolazione palestinese e altri minori; essenzialmente dovevamo evitare altre stragi.

In questo contesto mi ritrovai catapultato in questa straordinaria avventura, grazie alla gentile intercessione del padre del direttore di questa testata, l’On. Bicocchi, che alla mia richiesta di anticipare il servizio militare (era l’unico politico “locale” che alla tenera età di 19 anni avessi avuto la possibilità di avvicinare), mi rispose quasi stralunato: “Bimbo, qui ne sono venuti in tanti di ragazzi, ma tutti per chiedere di non farlo, il militare! Te sei il primo che vuol partire prima: sarai accontentato!” Conservo un bellissimo ricordo di quest’uomo. Una brava persona.

Libano, Beirut, Luglio 1983.

Base “Rubino” la sede del Battaglione Folgore, nella prima foto; i controlli al mattino presto (06,30) per l’inizio del servizio di pattugliamento chiamato “FERRO 36”.

Un continuo movimento su e giù lungo una strada di 12 km, polverosa e tutta sconnessa che divideva la periferia di Beirut dal settore israeliano controllato dalla I.D.F.( Israel Defence Forces).

Le due Fiat Campagnole AR 76 erano in collegamento radio con due Posti Osservazione e Allarme (POA) posizionati su alcuni edifici alti; i due POA avevano il compito di segnale le eventuali penetrazioni israeliane dalle strade perpendicolari verso il campo di Bury; le strade erano denominate “Texas”, “Missouri”, “Alabama”, “California”. ecc.

Il ricordo della strage di Sabhra e Chatila era ancora molto forte, e questa attività era rivolta a dare protezione avanzata al campo profughi di Bury El Barajne. Giusto per ricordare ai tubi digerenti che sparlano a vanvera che qualcosa, di concreto, per questo conflitto, 40 anni fa lo abbiamo fatto.

Il pattugliamento durava 12 ore, continuative… I paracadutisti mitraglieri in piedi alla mitragliatrice M.G. 42/59, mangiavano polvere continuamente. il giubbetto indossato continuativo non migliorava la situazione…

Era molto “pesante” come servizio, ma anche gli altri non scherzavano. Lo facevamo volentieri con l’incoscienza e la leggerezza dei vent’anni. Saremmo andati sulla Luna se ce lo avessero comandato!

Una mattina, sul tardi, uno dei due P.O.A. – Oscar ONE – mi chiama per radio e comunica: “ALABAMA – ALABAMA!!!!”; vuol dire che che una colonna di carri armati e mezzi blindati della I.D.F. ha sconfinato nel nostro settore ed è penetrata dalla strada denominata Alabama! Porca miseria! Mai successo prima!

Allarme rosso!

Mi precipito sul posto con le due campagnole; in effetti nei pressi di un vecchio edificio ferroviario in disuso, una colonna composta da 4 carri, due “SuperCenturion” chiamati dalla IDF “Sho’t”, con la bocca da fuoco da 105/51 e due Veicoli Tattici Blindati, si era appostata al fianco dell’edificio e sorvegliava un loro mezzo escavatore blindato, sempre della IDF, che stava scavando una grossa buca in mezzo alla strada per impedire il transito!

La cosa era di una gravità assoluta!

Proprio quando son di servizio io! E proprio nel mio settore!

#nonsepolfà!

Metto gli uomini al riparo dietro un muretto e constatata l’assoluta disparità delle forze (…non ci voleva Napoleone), dopo aver dato l’allarme al Comando via radio, decido di fronteggiare la situazione! Avevo i miei ordini.

Faccio preparare il nostro antiquato e assolutamente inefficace lanciarazzi Bazooka M60/A1 (seconda guerra mondiale…) da 88 mm e nel caso…

Li lascio in protezione a seguire la scena dietro ad un muretto, i due mitraglieri puntano le mitragliatrici contro i due carri armati, e calcato il basco amaranto in testa, mi incammino verso il primo carro. Da solo.

Di fessi a rischiar di morire ne basta uno…

Mentre mi avvicino, il primo carro armato si mette in moto, e con un forte rumore elettrico ruota minacciosa la torretta, puntando il lungo cannone da 105/51 dritto proprio davanti a me!…

Vedevo la rigatura della canna!

Qui ho pensato… questi sono israeliani, quindi ebrei, … notoriamente “parsimoniosi”… non sprecheranno mai un colpo di cannone – costosissimo – solo per un bersaglio umano… stanno bleffando !

Arrivato davanti ai cingoli, e urlo a gran voce a quello in alto in torretta, di scendere giù che gli devo dire delle cose!

Quello bello tranquillo, esce fuori, e salta giù, davanti a me; appena messi i piedi a terra alza il suo mitra, un piccolo ma temibile UZI, arma l’otturatore e me lo punta alla vita… eravamo a 5 mt. di distanza…

Io allora alzo il mio vecchio FAL BM59…, metto platealmente il colpo in canna e lo punto verso di lui…

Sembrava “Mezzogiorno di fuoco”, solo che le armi erano cariche per davvero, e sarebbe bastato un piccolo errore, uno scatto per far succedere un casino!

Il tipo esordisce con un gaiardo: “’A regazzì, ‘nu stamo a giocà; nun se famo der male…!” In un romanesco trasteverino perfetto!

…….Stupore e incredulità. Ma gli rispondo che va bene…; lui abbassa il mitra, io il FAL, e cominciamo a parlare.

Era un geometra della SIP di Roma, abitava in Trastevere (mi ricordo tutto, tanta era l’emozione…), e ogni anno faceva due mesi come riservista/carrista nell’IDF.

La comune provenienza italiana facilitò la cosa… e riuscimmo a smontare la tensione… Di fatto… avevano anche un po’ragione loro!

Perché il piccolo tratto di strada dove facevano i lavori, era effettivamente fuori, per pochi metri, dal nostro settore per un errore topografico, difficilmente apprezzabile sulle fotocopie delle carte geografiche che ci davano, ma le loro carte geografiche invece eran precise! Noi eravamo sempre passati da lì, per praticità, ma saremo dovuti passare “dietro” il fabbricato, sul “nostro” terreno!

Poi avvisai via radio il Comando, e come dice il Commissario Montalbano arrivo tutto il “Circo Magnun”; il Gen. Angioni, “Condor 1”, la sua scorta con Paolo Nespoli, tutto un casino di gente, il Genio, il Cte di Btg, gli interpreti… parlarono, trattarono e risolsero la cosa; alla fine ricoprimmo la grossa buca e rimasero le cose così, ci lasciarono passare da lì… ebbero più buon senso loro…

Andò bene.

Nella seconda foto si intravede, tra la vegetazione il basco amaranto di un giovane e assolutamente determinato S.ten Biondi, che ligio alla consegna ricevuta, si sarebbe fatto massacrare pur di fermare quella attività!

Sta avanzando indomito verso lo sbarramento fatto dal bulldozer e dietro si vede il carro. Davanti il sergente capocarro, il geometra romano della SIP…

A vent’anni si è bischeri bell’ammodo.

Però in nostro lo abbiamo fatto.

Vittorio Lino Biondi
Vittorio Lino Biondi
Sono un Colonnello dell'Esercito Italiano, in Riserva: ho prestato servizio nella Brigata Paracadutisti Folgore e presso il Comando Forze Speciali dell'Esercito. Ho partecipato a varie missioni: Libano, Irak, Somalia, Bosnia, Kosovo Albania Afganistan. Sono infine un cultore di Storia Militare.

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1 commento

  1. Gli articoli di Lino Biondi sono sempre interessanti, ben scritti e riferiti a contesti storici precisi e ben descritti. Leggerli non è solo piacevole, è anche istruttivo. Ottimo anche questo contributo, che attinge anche alla sua personale esperienza in Libano.

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