La legge della giungla

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In questi giorni non si può non parlare dell’anniversario dell’invasione dell’Ucraina da parte delle milizie putiniane.

Scrivere e leggere della guerra è sempre faticoso: sono cose atroci, che fanno male allo spirito. Ma fingere che si possa cancellare tutto questo semplicemente non guardando, voltandosi dall’altra parte, è un veleno anche peggiore per l’anima. È codardia e viltà.

Il male nel mondo esiste e va affrontato. Riuscendo a distinguere tra chi fa il male e chi fa il bene, tra debole e forte, tra prevaricatore e prevaricato. È questa la base della convivenza sociale; senza questa c’è la giungla darwiniana: la legge del più forte. Chi può prende tutto; chi è debole o si piega o muore.

La natura funziona così. L’umanità no.

Qui non è in questione il fatto se la guerra sia logica. Non lo è mai: le probabilità che danneggi anche il più forte dei due contendenti sono maggiori di quelle che lo arricchisca. Né se la guerra sia una barbarie sanguinosa. Lo è e lo sarà sempre. Neppure se un mondo senza guerra sarebbe preferibile e debba essere attivamente ricercato. Lo è, è ovvio, e va ricercato.

Ma quello che dobbiamo chiederci è: davanti a qualcuno che comincia una guerra cosa è giusto fare? È giusto farsi coinvolgere in una guerra per difendere il diritto internazionale, che poi significa aiutare chi da solo non potrebbe farcela? E più in generale esiste il concetto di guerra giusta? Di violenza giusta?

Le ultime due domande sono collegate tra loro. Se non esiste violenza giusta allora neppure esiste una guerra giusta e, viceversa, se esiste una violenza giusta allora anche una guerra giusta deve poter esistere.

Se diamo la risposta che no, non esiste nessuna guerra giusta perché non esiste violenza giustificabile, allora è tutto il nostro sistema di diritto che va in pezzi. Allora la polizia non è titolata a arrestare o ferire o persino uccidere qualcuno che sta minacciando attivamente la vita di un altro. Allora non c’è diritto di uno stato di difendere i propri cittadini da violenze interne ed esterne. Allora c’è solo la legge che ciascuno fa da sé e per sé.

Eppure c’è una parte dell’opinione pubblica che la pensa diversamente. Che pensa una guerra sia sempre sbagliata. Che non ci possa essere giustificazioni per lo spargimento di sangue.  Le motivazioni che li spingono possono essere molto diverse tra loro: idealismo (cattolicista o pacifista) ma anche banale egoismo.

La seconda è più insidiosa: si veste sempre di nobili ideali e di condivisibili premure. Ma si riconosce perché le persone in questione non sono poi disponibili a pagare con le proprie sofferenze le scelte non violente. Non sono disponibili, ad esempio, a rinunciare ad essere protetti dalla polizia se un ladro entra in casa loro o un violento li minaccia. Perché, dopo aver inneggiato alla non violenza, protestano anche contro la polizia se i furti aumentano o se avvengono fatti di sangue nel loro circondario.

Gli idealisti pacifisti sono in maggioranza i giovani: per loro (tutti loro, anche chi giovane lo è solo nello spirito) non posso che avere simpatia e affetto anche se non ne condivido il punto di vista.

A loro rispondo che la violenza «è giusta» se è temperata dal diritto che, a sua volta, è espressione del nostro patto di convivenza. E siccome il mondo è fatto di persone buone ma anche di persone cattive, ne consegue che anche la violenza è parte della nostra vita quotidiana, una parte che dobbiamo contenere, minimizzare ma che non potremmo mai debellare del tutto. Ma, soprattutto, che mai, mai, dobbiamo smettere di guardare in faccia e di affrontare con coraggio.

E affrontare la violenza, oggi e in Ucraina, vuol dire sostenere lo sforzo di chi vede morire le persone che gli sono accanto ma vuole difendere la propria casa e la propria famiglia. Che si batte per sopravvivere contro un esercito invasore che vuole cancellare la libertà che, pur tra qualche limite, esiste in quel paese. Libertà di scegliere il proprio governo, il proprio stile di vita, il proprio destino.

E per combattere servono armi. Ma dobbiamo essere onesti: non esiste la distinzione tra armi di difesa e armi di offesa. Le armi hanno una unica, chiara e drammatica finalità: uccidere. E un esercito usa le armi per uccidere, non per fare una passerella.

Se dobbiamo sostenere una guerra, non possiamo farlo inviando buone intenzioni. Se non mandiamo armi, allora avalliamo il diritto del più forte.

Se non volgiamo girarci dall’altra parte, dobbiamo sapere che quello che accade è drammatico ma, per ora, inevitabile.

Quando ci saranno veri spazi di dialogo dovremmo sforzarci di sostenerli. Quando ci saranno delle opzioni di pace che non siano solo la proclamazione del diritto del più forte, allora dovremo essere incisivi. Come persone, come nazione e come Europa.

Ma oggi non c’è nulla di tutto questo. Oggi c’è un invasore che non ne vuole sapere di essere ragionevole. Oggi c’è una mozione ONU approvata dalla larga maggioranza delle nazioni (141 favorevoli, 7 contrari con 32 astenuti, non contrari) che non vale quanto la carta straccia.

Oggi c’è uno scontro che non ci lascia altra possibilità che riaffermare ciò che è alla base del nostro vivere civile: non possiamo cedere alla legge della giungla.

Andrea Bicocchi @Andrea_Bicocchi

Andrea Bicocchi
Andrea Bicocchi
Imprenditore, editore de "Lo Schermo", volontario. Mi piace approfondire le cose e ho un'insana passione per tutto quello che è tecnologia e innovazione. Sono anche convinto che la comunità in cui viviamo abbia bisogno dell'impegno e del lavoro di tutti e di ciascuno. Il mio impegno nel lavoro, nel sociale e ne Lo Schermo, riflettono questa mia visione del mondo.

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3 Commenti

  1. Non mi trovo d’accordo con questo articolo; l’argomento è molto complesso e delicato e non ho apprezzato il giudizio dato a chi non la pensa come lei.
    Io ripudio la guerra, l’art. 11 della Costituzione italiana stessa afferma che “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, eppure non sono né un’idealista, né di giovane età, né cattolica, né mi sento egoista, in quanto ogni giorno, nel mio quotidiano, lotto per la non violenza, ovviamente nel mio piccolo e nelle circostanze che la mia vita personale e professionale mi offrono.
    Sono d’accordo invece con l’economista Zamagni che afferma che “Bisogna imparare a distinguere la razionalità da ragionevolezza. La prima ha come fine la scoperta della verità, la seconda punta alla ricerca del bene.” Ne deriva che una decisione può essere razionale, ma non ragionevole. Applicando questo schema alla guerra in Ucraina, ecco che i “bellicisti” sostengono quanto segue: essendo la situazione in cui ci troviamo responsabilità di Putin, è lui che va punito e, persino, annientato. È un ragionamento razionale, non v’è dubbio, ma non ragionevole. Chi prende in considerazione la ragionevolezza e ha a cuore il bene supremo della pace, invece, pur riconoscendo le colpe di Putin, non rinuncia a trovare una soluzione di pace per via negoziale. Questa era, del resto, la posizione di uno come Giorgio La Pira, che, ai tempi della guerra in Vietnam, sapeva bene a chi attribuire la responsabilità della situazione, eppure non ha mai rinunciato a cercare la pace.

  2. Invidio, in una situazione come questa, chi abbia non solo una certezza sul da farsi, ma anche soltanto una parvenza di idea sul come comportarsi.
    Intendo dire sul come concepire con quale comportamento reale, PRATICO, comportarsi DI FATTO, e di come attuarlo, nell’immediato, senza teorizzare su tavoli e altro, che non sia specificato come attuare, e da chi e con chi.
    In pratica: chi ha una idea precisa sul da farsi, la tiri fuori e la spieghi nei minimi particolari sul come convincere le parti in causa ad attuarla: richiesta rivolta a tutti, politici, pacifisti e geopolitici.
    Di certo, conoscendo nella pratica della mia lunga vita il modo di (non?) pensare di alcune persone, o gruppi di persone, recuperabili o meno che siano, penso che il dialogo con costoro sia impossibile, perlomeno nelle circostanze immediate.
    Perché, per fare un esempio terra terra, se tu ti trovi circondato da bulli che si divertono a torturare i più deboli, trovo poco credibile che, per il semplice fatto del provare piacere nel veder soffrire un altro essere, mentre ti tirano calci o ti bruciacchiano con un accendino immobilizzandoti, tu riesca a convincerli argomentando e convincendoli che il loro comportamento, o atteggiamento mentale, sia illogico e sbagliato, perlomeno dubito che tu riesca a farlo prima che ti abbiano lasciato svenuto sul selciato.
    Stessa cosa se le motivazioni siano quelle di renderti innocuo per derubarti, avendo bisogno di denaro per mangiare. Oppure nel caso che le due motivazioni coincidano.
    Quindi, se mi chiedessero come la penso io, semplicemente direi che “non lo so”.
    Forse a non tutti i problemi c’è soluzione? Se un leone mangia una gazzella, le gazzelle si interrogheranno sul cosa fare?
    Certo, l’uomo, si dice, è un essere pensante; ma io penso che sia pensate anche qualsiasi altro animale.
    Forse questa realtà dei fatti ha giustificato l’idea della perdita del Paradiso terrestre?
    Se l’errore nasce poi alla base, da quando si è iniziato a scoprire e creare, e sganciare già due volte, una bomba atomica – quindi usata non solo come deterrente -, e da quando alcuni Paesi hanno iniziato a immagazzinare bombe atomiche, secondo me, ormai, il problema sembrerebbe, nella situazione attuale, irrisolvibile.
    Salvo un accordo, per il bene comune del Pianeta e di tutti i suoi abitanti, di distruggere tutte le testate nucleari e tutte le altre armi, e di smantellare, e mettere in sicurezza i resti, di tutte le centrali nucleari.
    Ma ho l’impressione che questo somigli ad argomentare coi bulli mentre ti stanno prendendo a calci e bruciacchiando per toglierti il portafoglio…
    Non so quindi rispondere che:
    Mandela in Sud Africa fece una pace sociale tra coloro che avevano torturato e tiranneggiato per anni e le loro vittime; in Sierra Leone e Congo si è trovata l’unica via ragionevole in una riappacificazione tra chi aveva, in una guerra civile, commesso atrocità inimmaginabili e, dopo aver carcerato i capi, c’è stato il perdono e la riunificazione tra torturatori e vittime.
    Un miracolo.
    Sembrerebbe l’unico modo per uscirne.
    Evidentemente, in queste nazioni dell’Africa c’è stata maggiore volontà e intelligenza nel risolvere il problema.
    O minori interessi economici?

  3. Alcune semplici domande: quando nel 1939, Francia e Gran Bretagna dichiararono guerra alla Germania Nazista che aveva invaso la Polonia, assieme all’Unione Sovietica di Stalin, fecero bene o no? E quella che portò alla fine di Hitler e dei criminali nazisti, nonchè di Mussolini e del fascismo, fu una guerra giusta o bisognava invece convincere Hitler a trattar come, ricordiamocelo, volevano i pacifisti del trempo (morire per Danzica?). E quando i nostri partigiani presero le armi contro i tedeschi che avevano invaso l’Italia, armi fornite in abbondanza dagli alleati angloamericani, erano nel giusto o no?
    massimo di grazia

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