Quale Europa?

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In questi giorni abbiamo assistito alla visita di Macron da Xi, “accompagnato” dalla Presidente della Commissione europea Von Der Leyen. Visita in cui la presenza della commissione era appena un trasparente contorno. Tanto che, con una ricerca su Google con parole chiave Xi e Macron, troviamo per tre pagine solo risultati dell’ultima visita ma nessuno che citi la Presidente della Commissione. E con il primo risultato (di Politico.com) che titola “Macron was ‘kissing Xi’s ass’ in China, Trump says” (che non traduciamo letteralmente ma che allude alla posizione prona che il francese ha avuto secondo Trump).

Non esattamente un grande successo diplomatico. Non per Macron, almeno. Ma certamente molto meno per l’Europa.

Ciò che colpisce della visita e delle successive dichiarazioni del leader francese è il profondo iato tra le intenzioni e gli auspici da una parte e la profonda e sconcertante crisi di legittimità in cui versa l’Europa dall’altra.

Se da una parte il Presidente francese dice che l’Europa dovrebbe recuperare la sua autonomia strategica e militare, dall’altra e nello stesso momento ridicolizza e affossa il ruolo della Commissione, e con lei di ogni istituzione comunitaria. E questo, in verità, non lo ha fatto certo solo Macron. Sono anni che questo accade anche ad opera della Germania (e oggi la ministra degli esteri tedesca Barbock rimarca che la posizione di Macron su Taiwan è quella dell’Europa).

La chiara ed evidente verità è che l’Europa, come soggetto politico, non esiste né c’è alcuna volontà di farlo vivere da parte dei governi che contano: Francia e Germania in testa spalleggiati da tutti i nordici. Mentre gli altri (Italia, Spagna e tutto il sud e l’est) si limitano a essere spettatori: formalmente favorevoli, sostanzialmente indifferenti.

Ma perché questo stato di cose?

In Germania e nei paesi nordici si è sempre creduto che i soldi risolvessero tutto. Non i soldi usati per comprare, corrompere o cose simili, sia chiaro. Coloro hanno chiarissimo che quell’uso dei soldi è disruttivo e non porta da nessuna parte.

No, l’idea dei soldi è più complessa: pensano che se un paese assaggia la ricchezza, allora sarà attratto da questa e farà di tutto per tenersela. E con “di tutto” intendono che farà le cose giuste, quelle che la ricchezza gliela possono garantire. Quindi abbraccerà la democrazia, la disciplina di bilancio, l’apertura dei mercati, la stabilità politica; in una parola si civilizzerà. Può sembrare ingenuo ma è questa la teoria politica di fondo dell’Europa dell’asse franco-tedesco. Una teoria basata sulla propria storia collettiva che loro immaginano debba essere percorsa da tutti se gliene si dà la facoltà.

È per questo che per anni si è coltivato un sistema di libero scambio con tutti i partner senza curarsi di aspetti di dipendenza strategica. Non era mancanza di prospettiva o di visione del futuro. E neppure semplice avidità (che certo c’era). L’idea era che la Russia sarebbe stata «costretta» a una qualche forma di equilibrio democratico progressivamente sempre più simile al nostro; che la Cina avrebbe allentato sempre più i suoi tratti autoritari per aprire all’economia di mercato e alla democrazia che la favorisce; che l’India avrebbe proseguito e accelerato nel percorso democratico; che il mondo, ricco e interconnesso economicamente, sarebbe stato sempre più sicuro.

Era questa la «weltanschauung» franco-germanica, la loro visione della vita e del mondo. Una visione che accumuna tutto il nord Europa, figlio di un pragmatismo con forti tinte di moralismo protestante temprato dal fuoco purificatore del rimorso popolare per colonialismo e per il passato nazista.

È per questo che hanno sempre guardato agli americani (che pur condividendo lo stesso seme culturale non credono a questo metodo ideale e che invece hanno pensato che la democrazia potesse essere esportata anche con l’esercito) con diffidenza e fastidio; come a dei cowboys che non sanno mai stare tranquilli; che devono sempre alzare le mani; che non sono gente educata da portare a tavola.

Sia chiaro: le armi USA e il loro esercito hanno protetto il vecchio continente per decenni e questo lo sanno benissimo tutti loro. Ma tutto questo era considerato un retaggio di un passato che stava finendo; un servizio ancora utile ma progressivamente anacronistico. Un po’ come ora si pensa al petrolio per le automobili e al carbone per la corrente: ancora necessari ma tra pochi anni…

E invece è poi arrivata la guerra in Ucraina. Che ha mostrato al mondo che no, quella teoria non ci garantisce nulla. Che la Russia è ancora pericolosa e lo è oggi più che venti anni fa. Che le guerre vere contro gli eserciti veri non sono le scorrazzate contro le tribù guerrigliere del Medioriente: non sono solo lunghe ma feroci, costosissime e difficilissime da contenere, figuriamoci da spegnere. Che l’Europa non è al riparo da un futuro di guerra.

Ma anche che l’Europa, in una ipotesi di guerra non esiste. Non c’è nessuna nazione Europa: ci sono 27 nazioni con differenti interessi, 27 differenti eserciti e linee di comando, 27 confini, 27 governi e 27 parlamenti che decidono in modo autonomo.

L’Europa politica è una visione onirica; la realtà è un WTO (l’organizzazione per il commercio mondiale) di medie dimensioni e molto regolamentato che ha dato il substrato per uno sviluppo di un mercato interessante ed efficace. Ma, infine, neppure così integrato e politicamente unito quanto lo sono USA Canada e Australia.

L’Europa politica è morta con la sua costituzione. Sarebbe intelligente trarne delle serene conclusioni e capire che cosa possiamo essere senza incedere in un wishful thinking, espressione inglese che nella nostra lingua si potrebbe tradurre con «pie illusioni».

Foto di Pixabay

Andrea Bicocchi @Andrea_Bicocchi

Andrea Bicocchi
Andrea Bicocchi
Imprenditore, editore de "Lo Schermo", volontario. Mi piace approfondire le cose e ho un'insana passione per tutto quello che è tecnologia e innovazione. Sono anche convinto che la comunità in cui viviamo abbia bisogno dell'impegno e del lavoro di tutti e di ciascuno. Il mio impegno nel lavoro, nel sociale e ne Lo Schermo, riflettono questa mia visione del mondo.

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