Il lucchese Fausto Tardelli, Vescovo di Pistoia, ora è anche Vescovo di Pescia

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“Vengo a voi in punta di piedi, rispettoso e ammirato della gloriosa storia della Chiesa di Pescia e di quanto ancora oggi essa testimonia con la sua vivacità e la sua ricchezza di vita cristiana”. Sono le parole del vescovo Fausto Tardelli nell’omelia della Messa che ha segnato l’inizio del suo ministero episcopale. L’unione “in persona episcopi” con la diocesi di Pistoia, ha specificato, “va vista come un modo attraverso il quale il Signore ci invita a vivere concretamente la sinodalità tra due chiese. Non si tratta di fusione, di inglobamento, di assorbimento: si tratta invece di un legame forte tra chiese sorelle chiamate a sostenersi a vicenda”. “La Valdinievole – ha aggiunto – ha potenzialità da vendere, ha originalità, bellezza e capacità tali da potersi far valere. Ed ha, certamente, anche il diritto in un certo senso di pretendere una maggiore attenzione. In tutto questo, ve l’assicuro, mi troverete senz’altro al vostro fianco perché insieme si possa ottenere una piena valorizzazione di questi territori, che del resto meritano ampiamente”.

Il vescovo è arrivato nella Diocesi di Pescia domenica mattina, 14 gennaio, al Santuario diocesano della Madonna della Fontenuova in Monsummano Terme. Successivamente, ha visitato i degenti dell’ospedale SS. Cosma e Damiano e gli ospiti di Villa Matilde presso la Fondazione Don Bosco a Pescia. Nel pomeriggio l’arrivo nella città, accolto dalle autorità presso Porta Fiorentina, prima della vera e propria presa di possesso, con la solenne concelebrazione eucaristica nella Cattedrale per l’inizio del ministero episcopale: al suo ingresso in duomo Tardelli ha ricevuto il saluto del suo predecessore, Roberto Filippini. Non è mancato, fra i due, un ricordo del compianto monsignor Enrico Bartoletti, a metà anni ’70 segretario generale della CEI.

L’omelia di monsignor Fausto

II Domenica del tempo Ordinario (Anno B)

“Ecco Signore, io vengo per fare la tua volontà”. Le parole del salmo responsoriale che abbiamo pregato poco fa sono anche le mie quest’oggi, in questa chiesa cattedrale, segno di pietra e mattoni della comunità diocesana di Pescia. Pur consapevole dei miei limiti e peccati, sento di poter dire anch’io con il salmista: “Ho sperato, ho sperato nel Signore, ed egli su di me si è chinato”, “Nel rotolo del libro su di me è scritto di fare la tua volontà: mio Dio, questo io desidero”.

Il senso del mio essere qui è tutto in queste parole ed è solo confidando in esse e trovando in esse la forza che mi appresto a svolgere il mio servizio episcopale in mezzo a voi, “con tutto il cuore”, come dice bene il motto del caro fratello, il Vescovo Roberto. Ed è a lui che prima di tutto rivolgo il mio pensiero grato e riconoscente perché, nella logica della successione apostolica, mi consegna quel santo popolo di Dio che siete voi e che egli, in questi quasi 8 anni, ha custodito con amore e generosa dedizione, conducendovi su pascoli erbosi e ad acque tranquille sulle orme del Buon pastore. Grazie, Vescovo Roberto: il tuo nome resterà scritto per sempre nella storia santa

della chiesa pesciatina e il bene fatto rimarrà come suo tesoro prezioso. Il mio saluto pieno di gratitudine va anche al fratello Giovanni Paolo, Arcivescovo di Pisa e metropolita della

provincia ecclesiastica a cui appartiene la diocesi di Pescia, amico di vecchia data. Con lui saluto tutti gli altri confratelli vescovi qui convenuti attorno a me in questa santa eucaristia di lode al Signore, in segno di grande amicizia e comunione. (ndr: era presente anche Paolo Giulietti).

Abbraccio poi tutti voi sacerdoti e diaconi della chiesa pesciatina; e con voi il popolo di Dio qui convenuto dalle varie parrocchie della diocesi, assicurando tutti che d’ora innanzi sarò a pieno titolo il vostro vescovo; non a mezzo servizio, ma con dedizione piena. Il Signore in cui confido, col suo Santo Spirito mi darà la forza necessaria, ne sono certo.

Vengo a voi in punta di piedi, rispettoso e ammirato della gloriosa storia della Chiesa di Pescia e di quanto ancora oggi essa testimonia con la sua vivacità e la sua ricchezza di vita cristiana. Vengo per ascoltare con attenzione e per raccogliere e valorizzare con gioia i molti doni e carismi di questa chiesa alla quale d’ora innanzi anch’io appartengo.

L’abbraccio si estende in questo momento però anche a tutti i presbiteri, diaconi, seminaristi e fedeli laici della diocesi di Pistoia qui presenti fisicamente o comunque presenti spiritualmente. Ed è importante questa presenza, perché la decisione del Santo Padre non riguarda solo la Diocesi di Pescia ma coinvolge pienamente anche quella di Pistoia, unita a quella di Pescia nella persona del vescovo; chiese chiamate a vivere un’esperienza concreta di fraternità, direi proprio di sinodalità, nella linea perfetta di quel cammino indicato da papa Francesco per la chiesa universale e per le chiese che sono in Italia.

Quanto abbiamo ascoltato nella prima lettura nella storia di Samuele ci indica con chiarezza la via da seguire. L’atteggiamento giusto che dobbiamo avere tutti e che tutti ci deve coinvolgere in una chiesa sinodale è infatti quello che il vecchio profeta Eli suggerisce a Samuele: “parla Signore che il tuo servo ti ascolta”. Non si fa sinodo parlando semplicemente tra noi ma mettendoci in ascolto del Signore che ci convoca, ci riunisce e ci guida col suo Santo Spirito. Anche l’unione “in persona episcopi” delle diocesi di Pistoia e Pescia va vista come un modo attraverso il quale il Signore ci invita a vivere concretamente la sinodalità tra due chiese.

Non si tratta di fusione, di inglobamento, di assorbimento: si tratta invece di un legame forte tra chiese sorelle chiamate a sostenersi a vicenda. So bene che questa decisione ha fatto soffrire. La gloriosa storia della propositura di Pescia divenuta poi a tutti gli effetti diocesi, è sembrata che così dovesse finire. Comprendo bene l’amarezza. Essa non nasce però soltanto – mi pare di poter dire – da motivi di fede, quanto anche da considerazioni sicuramente rilevanti ma che si collocano prevalentemente sul versante civile e sociale. Ho potuto infatti già percepire un disagio che abbraccia tutta la Valdinievole, come quello di una terra forse troppo poco considerata,

apprezzata, o presa in considerazione. Anche la vicenda del vescovo è stata quindi letta da alcuni in questa chiave. Le due cose però non vanno confuse perché si pongono su piani molto diversi. Sul piano ecclesiale la Diocesi di Pescia rimane a tutti gli effetti e il vescovo che la guida non è un vescovo “prestato” ma è vescovo diocesano sotto ogni punto di vista. E l’unione è fatta per sostenere non per annullare. Quello che si manifesta invece sul piano civile e sociale è sicuramente un disagio reale che va ascoltato. Dovrebbe però diventare – a mio parere – non tanto lamentela quanto proposta e impegno; perché la Valdinievole ha potenzialità da vendere, ha originalità, bellezza e capacità tali da potersi far valere – se lo vuole. Ed ha certamente, anche il diritto in un certo senso di pretendere una maggiore attenzione. In tutto questo, ve l’assicuro, mi troverete senz’altro al vostro fianco perché insieme si possa ottenere una piena valorizzazione di questi territori, che del resto meritano ampiamente. Ricordandoci però che il valore di una persona o di una terra non si misura mai dalla considerazione che ne hanno gli altri o dal loro riconoscimento, bensì dalla capacità di esprimere il meglio di se stessi, con l’umile ma forte consapevolezza

del proprio valore e di essere, per questo, un tassello unico e insostituibile nell’ambito della società e del mondo.

Carissimi fratelli e sorelle, il Santo Padre Francesco nella Lettera Apostolica con la quale mi ha nominato Vescovo di Pescia e che abbiamo ascoltato all’inizio della celebrazione, invoca l’aiuto del Signore su di me perché io esorti sempre i fratelli e le sorelle che mi sono affidati ”a seguire la giustizia, la pietà, la fede, la carità, la pazienza, la mitezza, raccomandando loro di fare del bene, di arricchirsi di opere buone, di essere pronti a dare e di essere generosi, mettendosi così da parte un buon capitale per il futuro, per acquistarsi la vita vera”. Mi pare un bel programma di azione. Direi che non occorra aggiungere altro. Del resto, il solco del cammino da seguire è già ben tracciato da chi mi ha preceduto. Quello che però mi preme dirvi fin da subito, perché è ciò che porto nel cuore, ciò che più sento decisivo anche per la mia stessa vita, e direi proprio in questo momento storico così complicato che ci spingerebbe all’agitazione e ad andare a cercare chissà cosa per vivere la Chiesa, ecco, quello che mi preme dirvi è che la cosa più importante da fare è quello di cui il Vangelo odierno ci parla con la vicenda dei discepoli di Giovanni. Cioè: “Andare a vedere dove dimora Gesù” per stare con lui, lasciarsi conquistare dal suo amore per vivere col suo amore.

Un ”andare a vedere“ che vuol dire cercarlo nelle scritture dove Dio ci parla, nei santi segni dove il Cristo ci salva, nel volto dei fratelli in particolare degli ultimi dove si manifesta il suo volto. È un andare a vedere che è contemplazione, adorazione, ascolto; che è “stare” nella dimora di Gesù, “abitare” con Lui, frequentare questa dimora interiore e spirituale, lasciandosi quindi affascinare dalle sue parole, dai suoi gesti, dalla sua povertà, dalle sue piaghe, dal suo cuore. È un lasciare trasformare tutto quello che siamo, corpo ed anima in quel tempio vivo dello Spirito Santo, di cui ci ha parlato San Paolo nella seconda lettura, “glorificando” Dio anche con il nostro corpo e con tutta la vita concreta e quotidiana.

Da questo “abitare” col Signore nasce il servizio, la carità, l’impegno per un mondo nuovo, la testimonianza dell’amore, la gioia del Vangelo, la missione apostolica. Per tutto questo – e concludo – vedo emblematiche le due figure che campeggiano nella Chiesa pesciatina: prima di tutto la Madonna venerata col titolo della Fontenuova e poi S. Allucio. La Vergine santa ci insegna

ad adorare il Signore e ad “abitare” nella sua casa. L’altro, ci indica la via necessaria della carità.

Quello che mi ha colpito nell’immagine della Madonna della Fontenuova è che Maria non ha in braccio il bambino come spesso la si raffigura. Il divino Bambino è invece davanti a lei e lei lo contempla con uno sguardo adorante e stando con le mani giunte. Trovo che quest’immagine renda evidente la necessità assoluta di “andare a vedere” dove abita Gesù. Lo sguardo adorante di Maria significa appunto l’andare a vedere chi è il Signore e dove Egli è. Esprime esattamente questa dimensione primaria e fondamentale della vita cristiana e del nostro essere Chiesa. Sant’Allucio, per parte sua, ci insegna invece particolarmente la necessità di farsi ospitali, attenti, pronti a

servire, sull’esempio del maestro che lavò i piedi agli apostoli; Lui che è venuto appunto per servire e non per essere servito. Quante povertà vecchie e nuove ci sono ancora, purtroppo, nella nostra società! Povertà materiali e povertà spirituali; povertà per emarginazione e scarto; povertà per una salute precaria; povertà per vuoto di senso della vita; povertà per diritti non riconosciuti e povertà per ignoranza; povertà per solitudine e povertà per grettezza d’animo: un mare immenso di povertà è quello che abbiamo di fronte. Attende cuore e mani che sappiano accogliere e condividere.

Così, dunque, carissimi amici e fratelli, guidati da Maria a contemplare adoranti il mistero del Verbo

incarnato per la nostra salvezza e da Sant’Allucio a testimoniarlo nella carità operosa verso il prossimo in ogni genere di difficoltà, possiamo davvero essere popolo di Dio che cammina pellegrinando nel tempo verso la patria promessa in questo lembo di terra, “tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio”, perché “nella speranza sta la nostra forza” come dice il mio motto episcopale. In cammino verso quei cieli nuovi e terra nuova che insieme, pastore e gregge desideriamo e speriamo raggiungere.

Lo stemma episcopale – IN SPE FORTITUDO

Lo stemma che monsignor Tardelli ha scelto presenta un fondo rosso, che nell’araldica ecclesiastica indica la carità, l’amore in Cristo. Al centro dello scudo una croce dorata, che sintetizza la tradizione della chiesa lucchese da cui S.E. proviene (nello stile richiama la croce posta al centro dello stemma di Giovanni Paolo II). Ai piedi della croce la città di Lucca; sotto la croce brilla una stella, che indica Maria (il colore argento della stella allude alla Speranza).

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