I sistemi di governo e i sistemi elettorali di Francia Spagna e Germania – parte II

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In questo secondo articolo abbiamo chiesto ad Eduardo di focalizzarsi sui sistemi elettorali perché il sistema elettorale è direttamente collegato al sistema istituzionale. Infatti, i due sistemi sono sempre da vedersi come un unicum: la stabilità è il risultato del binomio del sistema elettorale, che poi determina la nomina e i meccanismi di revoca del governo, con il sistema di governo che si vuole adottare.

Ogni sistema istituzionale democratico trova la sua legittimazione nel voto popolare ma poi questo voto viene, in qualche modo, trasportato a livello di governo e questo meccanismo di trasporto, assieme alle logiche di nomina dei Parlamentari, determina la stabilità o la instabilità dei governi.

Nel nostro paese, per esempio, per motivi storici si scelse un sistema di governo molto dipendente dal parlamento.

Oggi, che alla instabilità dell’istituzione governo, voluta dai costituenti, si è associata l’instabilità del sistema dei partiti, tutti concordano che c’è bisogno di qualche riforma. Sulle formule però non c’è unità di vedute.

Credo che sarebbe importante non perdere di vista il tema delle dinamiche elettorali mentre si discute delle formule di governo e relative dinamiche di nomina e revoca.

Il sistema spagnolo

Il sistema elettorale della Spagna è un sistema proporzionale con effetti maggioritari, che tende a favorire i due partiti principali: il Partito Popolare (PP) e il Partito Socialista Operaio Spagnolo (PSOE). Questo sistema si basa sulla «Ley Organica del Régimen Electoral General» (LOREG), che stabilisce le regole per l'elezione del «Congreso de los Diputados» (la camera bassa del parlamento) e del «Senado» (la camera alta). L'assegnazione dei seggi al Congreso per le liste concorrenti avviene secondo il metodo «D'Hondt», che favorisce le liste più votate a scapito di quelle minoritarie. L'elezione del Senado avviene con un sistema maggioritario uninominale: ogni elettore può esprimere fino a tre preferenze (due nelle circoscrizioni con due seggi) e sono eletti i candidati più votati. I senatori designati dalle Comunità Autonome sono uno per ogni comunità più uno per ogni milione di abitanti.
Il sistema elettorale spagnolo ha favorito per molti anni il bipolarismo tra PP e PSOE, che si sono alternati al governo dal 1982 al 2015, spesso con maggioranze assolute o con l'appoggio di partiti regionali. Tuttavia, a partire dal 2015, il sistema partitico si è frammentato con l'emergere di nuove forze politiche, come «Podemos» a sinistra e «Ciudadanos» al centro, che hanno eroso il consenso dei due partiti tradizionali. Inoltre, la questione catalana ha accentuato il ruolo dei partiti nazionalisti e indipendentisti nelle dinamiche parlamentari. Questo ha reso più difficile la formazione di governi stabili e ha portato a ripetute elezioni anticipate.

Il sistema francese

Il sistema elettorale della Francia è basato sul principio del doppio turno, sia per le elezioni presidenziali che per quelle legislative. Questo significa che i candidati devono ottenere la maggioranza assoluta dei voti al primo turno per essere eletti, altrimenti si va al ballottaggio tra i due più votati. Il sistema a doppio turno favorisce il bipolarismo, ossia la formazione di due grandi coalizioni contrapposte, una di centrodestra e una di centrosinistra. Questo perché i partiti minori tendono a sostenere il candidato più vicino alle loro posizioni al secondo turno, rinunciando a presentare un proprio candidato. Inoltre, il sistema a doppio turno scoraggia i voti dispersivi e spinge gli elettori a scegliere tra le due opzioni più probabili di vittoria. Il bipolarismo francese si è consolidato negli anni Settanta-Ottanta, quando il sistema partitico era caratterizzato dalla presenza di due partiti guida in ciascuno schieramento: i socialisti e i comunisti a sinistra, i gollisti e i centristi a destra. Tuttavia, negli ultimi anni il bipolarismo francese è stato messo in discussione dall'emergere di nuove forze politiche, come il Rassemblement National di Marine Le Pen e La République En Marche di Emmanuel Macron.

Il sistema tedesco

Il sistema elettorale della Germania è un sistema proporzionale personalizzato con meccanismi di correzione che mirano a garantire la governabilità e la rappresentanza. Il sistema si basa sul doppio voto: con il primo voto, lo Erststimme, l'elettore sceglie un candidato nel suo collegio uninominale, che viene eletto con il maggioritario secco; con il secondo voto, lo Zweitstimme, l'elettore vota per una lista regionale di partito, che determina la distribuzione proporzionale dei seggi a livello dei Bundesländer. Il sistema prevede una soglia di sbarramento del 5% o di tre mandati diretti per accedere alla ripartizione dei seggi proporzionali. Inoltre, il sistema introduce dei mandati di compensazione (Ausgleichsmandate) per correggere le eventuali distorsioni dovute ai mandati diretti. Il sistema elettorale tedesco non è un sistema bipolare, ma riflette la realtà politica esistente nel paese. Tuttavia, alcuni elementi del sistema favoriscono il bipolarismo: la soglia di sbarramento esclude i piccoli partiti; i collegi uninominali incentivano le alleanze tra partiti affini; il sistema federale rafforza i grandi partiti nazionali rispetto ai partiti regionali o minoritari. 

Andrea Bicocchi @Andrea_Bicocchi

ed Eduardo
Andrea Bicocchi
Andrea Bicocchi
Imprenditore, editore de "Lo Schermo", volontario. Mi piace approfondire le cose e ho un'insana passione per tutto quello che è tecnologia e innovazione. Sono anche convinto che la comunità in cui viviamo abbia bisogno dell'impegno e del lavoro di tutti e di ciascuno. Il mio impegno nel lavoro, nel sociale e ne Lo Schermo, riflettono questa mia visione del mondo.

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5 Commenti

  1. Articolo molto interessante. Sono d’accordo che nel nostro Paese, prima di procedere ad eventuali riforme istituzionali, sia indispensabile e non più procrastinabile una riforma elettorale adeguata.
    Dal 2017 è in vigore un sistema elettorale misto a separazione completa, ribattezzato Rosatellum bis: in ciascuno dei due rami del Parlamento, il 37% dei seggi assembleari è attribuito con un sistema maggioritario uninominale a turno unico, mentre il 61% degli scranni viene ripartito fra le liste concorrenti mediante un meccanismo proporzionale corretto con diverse clausole di sbarramento.Le candidature per quest’ultima componente sono presentate nell’ambito di collegi plurinominali, a ognuno dei quali spetta un numero prefissato di seggi; l’elettore non dispone del voto di preferenza né del voto disgiunto. Mi sembra una situazione piuttosto caotica, soprattutto alla luce della riduzione del numero dei parlamentari di recente attuazione !!! Per essere precisi la riforma del sistema elettorale doveva essere attuata prima della riduzione del numero dei parlamentari. Ma chissà come mai nel nostro Paese si debba procedere sempre in senso contrario rispetto a quanto la logica prevedrebbe! Domanda retorica…

  2. D’accordo con Mariacristina.
    Aggiungerei che, peraltro, sistema elettorale a parte, ormai il Parlamento, organo principe, mi sembra che sia stato da decenni esautorato col ricorso ai voti di fiducia quasi continui.
    Anche se, da pessimista quale sono, ho l’impressione, posso sbagliare, che il voto sia ormai “influenzato”, per usare un eufemismo, da quanto deciso a Bruxelles e da altre entità sovrannazionali, per esempio gli USA.
    Anche i “desiderata” di molte lobbies mi sembra, posso sbagliare, spesso potrebbero influenzare – l’eventuale – legiferare del Parlamento.
    Mi sento talmente rappresentato, sia dalle proposte elettorali dei vari partiti, sia da quanto queste rispecchino le mie idee peraltro, per il poco che possa interessare chi legge, trasversali ai partiti stessi, che ho smesso di votare.
    Mi sarebbe piaciuto che, prima di aderire all’Euro, data l’importanza economica, sociale e culturale, che la cosa avrebbe rivestito, si fossero almeno interpellati gli elettori con un referendum.

  3. A maggior ragione, caro Giuseppe occorre andare a votare, nonostante tutto ! Se si rinuncia al diritto / dovere di votare, si spiana ancor di più la strada alle interferenze varie alle quali ha accennato.

    • Sarei d’accordo se:
      1) come tu stessa – mi sembra cogliere tale senso – scrivi, il votare non si limitasse non a scegliere ma a “scegliere tra quanto già a monte prefissato dai partiti” e condizionato pesantemente da un sistema elettorale come tu descrivi;
      2) se, a torto o ragione, non percepissi l’impressione che, qualsiasi voto – perlomeno degli esistenti nell’arco partitico – io scegliessi, a nulla servirebbe nel cambiare, nella realtà – chiacchiere da talk show a parte – “in meglio” le cose;
      3) se io non sentissi nettamente, a torto o ragione che, quale che sia il mio voto, poi, a posteriori, le decisioni prese – ammesso che il Parlamento riprendesse di fatto a legiferare invece di sottostare quasi in eterno al voto di fiducia
      (che dovrebbe essere usato solo per casi eccezionali e, quando il “caso eccezionale” e “l’emergenza” diventano una costante, allora non sono più da considerare casi eccezionali ed emergenza ma la anormale normalità)
      e, poi, al controllo non solo del Presidente della Repubblica e della Corte Costituzionale ma, posso sbagliare ma mi sembra, oltre a questi, altre entità nazionali e sovrannazionali come, per esempio, Bruxelles e i portatori di interessi economici, che influenzano. ho l’impressione, per i loro interessi economici, proprio in nome delle “emergenze”;.
      4) inoltre il mio (non) voto è influenzato da quanto accadde in passato:
      A) per l’ingresso nell’Euro senza consultare gli elettori prima con un referendum e, poi, in seguito,
      B) da quanto accadde per l’ennesima “emergenza” che chiedeva l’ennesima “responsabilità” – responsabilità sempre a senso unico ed a carico sempre degli stessi noti – nel 2011 quando, da un giorno all’altro, con l’ennesimo voto di fiducia che solo due partiti non concessero (Lega e Italia dei valori) e con un Sindacato che indisse “ben” tre ore di sciopero, se ben ricordo (vedi differenze con i lavoratori e sinistra e sindacato francese), il Governo prolungò di anni l’età pensionabile e, di fatto, “sequestrò” nel tempo, per anni, ed a tranches, il TFS
      (in pratica la liquidazione, i soldi “da restituire”, al licenziamento o pensionamento, ai lavoratori, soldi loro, dei lavoratori),
      misura che, anche quella del TFS, a tutt’oggi, dopo dodici anni, non viene ritirata e rischia di divenire strutturale (come non dovrebbe essere con le misure emergenziali, in genere tenute per massimo tre anni, con le conseguenze prevedibili, compresa quella della morte, nel frattempo, del titolare dei soldi dovuti, oppure quella che, magari, il creditore del TFS aveva stipulato un mutuo, come nel mio caso a tasso fisso al 5,75% e che pensava, credendo nello Stato di diritto, di estinguerlo proprio col TFS poi bloccato e, invece, continua a pagare a tale tasso!).
      Mi ripromisi, dopo questa fiducia data, che non avrei mai più votato né nessuno dei partiti che avevano dato la fiducia, né nessuno dei politici, indipendentemente dal loro eventuale passare in altri partiti, che avevano concesso la fiducia!
      Ed ho una ottima memoria.

  4. Gentile Mariacristina,
    mi accorgo che, mentre Lei mi dava del Lei, io Le ho dato del tu; quindi mi scuso per la forma, cui spesso non faccio, purtroppo, caso.

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