Da che parte stare?

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Dipende dalla prospettiva che abbiamo. Se la domanda è tra Hamas e Israele ritengo che la risposta sia facile: Hamas è una organizzazione terroristica che non esita ad uccidere senza ragione civili (adulti ma volentieri anche i bambini) e che non disdegna neppure di sacrificare i propri concittadini sull’altare della propria follia. Quindi Israele senza dubbio.

Se la domanda è quale parte è eticamente nel giusto, le cose si fanno assai difficili.

Israele ha oggettivamente delle responsabilità: non lo dico tanto sul tema della proporzionalità della risposta di ora a Gaza: è arduo in guerra mantenere una proporzionalità. La guerra non è certo una gita di piacere. Quando esci per ammazzare qualcuno, e conseguentemente sei obiettivo legittimo di chi ti vuole ammazzare, è un po’ difficile porre dei paletti tanto stringenti. Se poi sei in un contesto cittadino, con possibili agguati ad ogni passo, il tentativo di garantirsi la necessaria sicurezza limita ulteriormente la gradualità dell’intervento.

A Gaza ci sono oggettivamente delle roccaforti di terroristi che vivono a pochi chilometri dal territorio israeliano. E non è possibile ignorare il pericolo che rappresentano e che si è drammaticamente palesato il 7/10. Quindi si può discutere sul fatto che sarebbe giusto concedere delle pause umanitarie per la popolazione; del fatto che le perdite civili sono drammatiche; ma oggettivamente è difficile non comprendere la vitale necessità di eliminare un tale esiziale pericolo.

Le responsabilità di Israele sono soprattutto per i territori occupati nella Cisgiordania. Sono per gli eccessi politici della coalizione di Netanyahu che ha voluto seppellire ogni schema di soluzione dei conflitti con i palestinesi, anche con quella parte che non è terroristica. Sono nella ricerca del potere che non ha esitato a pregiudicare la sicurezza stessa del paese. Sia la sicurezza interna, con leggi liberticide che sono state furiosamente contestate da una larga parte della popolazione, che quella esterna con la scelta di drammatizzare i rapporti con i palestinesi su basi illegali (i coloni) scoprendo il fianco ad attacchi che non hanno mancato di dimostrare l’inadeguatezza di una classe dirigente.

La soluzione dei due stati è l’ultima soluzione. Forse sarebbe stato meglio che ci fosse stato un processo di assorbimento pacifico e rispettoso della popolazione araba ma non è detto che sia mai stato nelle possibilità reali. In ogni caso non lo è più oggi: troppo sangue è scorso e troppe ingiustizie si sono consumate.

Ma pensare che basti che Israele accetti la prospettiva dei due stati è una pia illusione. La democrazia non si esporta facilmente. La classe dirigente per uno stato non nasce sotto i cavoli.

I palestinesi hanno responsabilità non meno gravi degli israeliani per le condizioni della regione. I fondi che sono arrivati in Palestina da tutto il mondo arabo sono una massa enorme. Che avrebbe potuto, e dovuto, portare ad uno sviluppo ed ad un livello di benessere che non c’è stato. E di questo non è Israele a portarne la responsabilità ma la classe politica palestinese: se per corruzione o incapacità poco importa.

Non possiamo romanticamente pensare che il più debole è sempre colui al quale la sorte non ha dato opportunità. Spesso, molto spesso, il debole ha perso opportunità che aveva e che sono state dirottate a favore di opportunisti. Che è ciò che è spesso successo in larga parte del terzo mondo. Che ha senz’altro subito anche la colonizzazione, quella originale ma anche quella economica successiva, ma ha anche mancato altrettanto spesso anche solo di provare ad agganciare qualcuna delle opportunità che il benessere mondiale metteva loro a disposizione.

Oggi in medio oriente nessuno può rivendicare dei gradi di purezza. La prospettiva dei due stati è sul tavolo ma per trasformarla in realtà ci vorrà lavoro e coraggio. Risorse che non è scontato riuscire a trovare in Israele. Ma che sono molto più difficili da trovare anche nella parte migliore della dirigenza palestinese. E, probabilmente, neppure nella coscienza della loro popolazione.

Andrea Bicocchi @Andrea_Bicocchi

Andrea Bicocchi
Andrea Bicocchi
Imprenditore, editore de "Lo Schermo", volontario. Mi piace approfondire le cose e ho un'insana passione per tutto quello che è tecnologia e innovazione. Sono anche convinto che la comunità in cui viviamo abbia bisogno dell'impegno e del lavoro di tutti e di ciascuno. Il mio impegno nel lavoro, nel sociale e ne Lo Schermo, riflettono questa mia visione del mondo.

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1 commento

  1. Disamina esatta. In effetti è un bel problema, anzi una tragedia!!!
    In tanto disastro anche l’Onu non ha la forza, né l’autorevolezza per intervenire.
    Dietro le quinte probabilmente soffiano altre potenze animate da non nobili intenti.
    Piange davvero il cuore nel pensare alle morti di tante vittime innocenti di entrambe le parti e ai povero ostaggi che da un mese rimangono tuttora nelle mani di Hamas..

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