La riforma della forma di Governo: è l’ultimo treno?

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È interessante seguire il dibattito sulla riforma costituzionale. Il leitmotiv degli interventi è che la riforma stravolge qualcosa.

Vero.

Che tocca quello o quell’altro potere.

Vero.

Che altera lo status quo.

Vero.

Il punto è che questo è quello che dobbiamo fare: alterare lo status quo. Non possiamo pensare che la riforma possa «riformare» mantenendo tutto inalterato. Né che esista un cambiamento senza possibili rischi o, più frequentemente, degli aggiustamenti che dovranno essere fatti in corso d’opera o dopo l’entrata in vigore. Quindi riformare uno stato è necessariamente un lavoro che introduce delle novità la cui gestione richiederà anche delle correzioni. Come lo è ogni azione che intraprendiamo.

Quindi è scontato che la riforma, qualsiasi riforma, introduce dei possibili problemi che, successivamente all’entrata in vigore, andranno valutati e, eventualmente, mitigati.

Come è scontato che ci sono anche altre priorità per un governo: conti dello stato, pensioni, e sanità, per dirla con Elly Schlein. O federalismo, pubblica amministrazione e superamento del bicameralismo per dirla con Calenda.

Tutto vero, tutte cose importanti. Ma se si fosse trattato di affrontare il ruolo del Parlamento si sarebbe potuto dire le stesse cose sostituendo Parlamento con Governo e così via per ogni tema. Questo del benaltrismo (ben altri sono i problemi!) è un gioco di interdizione che ha come unico obiettivo quello di stoppare tutto.

Perché la verità è che i partiti hanno fatto un sistema che consente loro di fare e disfare. Di eleggere i loro cavalli e cavalieri in barba ai cittadini. Di tenere sempre attivo il grande gioco della politica di sottobanco fatto di regalie in cambio di voti, di estremismi in cambio di effimera popolarità, di cooptazione per il mantenimento di un potere arroccato e ormai incapace di far sognare nessuno. E siccome nessuno di quelli che sono all’opposizione, e che ora declamano il rischio o dei troppi poteri o del premier ostaggio del parlamento (vedete voi quanto profondo il pensiero dell’uomo che può trovare che la stessa cosa possa significare sia una fatto che il suo opposto…) ha mai proposto nulla nei lunghi anni che era la governo, è lecito immaginare che si possa partire da una proposta qualunque purché effettivamente fatta da qualcuno per ragionare sul futuro.

Superato il passaggio iniziale nel quale si ammette che un cambiamento ci deve essere, la vera domanda è: quale è il problema che dobbiamo risolvere riguardo alla forma di governo dell’Italia?

La risposta è univoca: la durata dei governi.

Allora la domanda sopra si traduce nella seguente: la riforma proposta risolve il problema della governabilità? E, a corollario, i possibili problemi che introduce quali sono e come possono essere moderati?

Questo è il tenore delle riflessioni che un’opposizione matura dovrebbe porre.

Non essendo così spetta a noi cittadini farci queste domande in proprio e vedere cosa emerge per farci una idea compiuta sul tema. Idea che ci servirà, molto probabilmente, quando una dialettica parlamentare inefficace farà cadere sulle spalle del cittadino la decisione sul sistema di governo. Decisione che potremo validare o rifiutare, non certo trattare. E, a quel punto, dovremo avere un’idea sul fatto che i benefici che potrà conseguire siano superiori o inferiori ai problemi che potrà creare al fine di esprimere quel voto tra sì e no.

Sperando che quel voto lo si esprima tutti pensando al merito della riforma e alla gravità del problema e non alla tifoseria politica.

Andrea Bicocchi @Andrea_Bicocchi

Andrea Bicocchi
Andrea Bicocchi
Imprenditore, editore de "Lo Schermo", volontario. Mi piace approfondire le cose e ho un'insana passione per tutto quello che è tecnologia e innovazione. Sono anche convinto che la comunità in cui viviamo abbia bisogno dell'impegno e del lavoro di tutti e di ciascuno. Il mio impegno nel lavoro, nel sociale e ne Lo Schermo, riflettono questa mia visione del mondo.

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