La banda del “camioncino rosso”.

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Difficile ammettere il fatto che quanto più un bandito si avvicina all’ideale popolare del fuorilegge gentiluomo, e cioè il difensore socialmente consapevole dei diritti dei diseredati, tanto meno l’autorità è disposta ad aprirgli le braccia. Anzi è molto più pronta a trattarlo come un rivoluzionario sociale e a dargli una caccia spietata, fino all’eliminazione.

E. J. Hobsbawn

In realtà potremmo titolare questa ricerca storica anche con altri titoli quali: “La banda dell’Autostrada” oppure “La banda Fabbri”; ma per non far pagare ai figli e ai nipoti le colpe dei padri, questo ed un solo altro sono i soli due cognomi che faremo in questo pezzo. Il secondo è quello di uno degli imputati: Baldacci. Lo facciamo questo cognome per sanare una vecchia e errata diceria popolare lucchese, che attribuiva questo personaggio appartenente ad una famiglia assai nota nella nostra arborata città, assolutamente estranea come parentela, ma che aveva accidentalmente la fonetica del cognome molto simile. Ma non sono loro. Neanche parenti. La lettura sarà un po’ lunga, ma non è possibile spezzettare l’articolo. Però è possibile leggerlo un po’ per volta. Non faccio il giornalista e la sintesi non sempre è un dono.

La banda Fabbri. Una accozzaglia di giovanotti lucchesi e non, che nell’immediato dopoguerra, 1945/’46, in maniera fortuita si ritrovarono, costituendo una banda armata, che terrorizzava le nostre campagne; si macchiarono di una serie di delitti efferati, rapine, furti, sequestri di persona e omicidi. Questi ultimi in numero di cinque per la precisione. Erano ex fascisti allo sbando, disperati popolani, ragazzotti di quartiere.

Colpisce l’età relativamente giovane degli imputati. Dai 20 ai 30 anni. E il loro censo. Gente di “piazza”, come si diceva una volta a Lucca, ma anche di fuori. Abitavano i quartieri popolari della città, il Bastardo, Pelleria, l’Anfiteatro, Cittadella. Si ritrovavano presso un vecchio bar in Corte Campana. Frequentavano il biliardo della Fanciulla del West.

Per muoversi utilizzavano un camioncino rosso, da cui il nome della banda, di proprietà delle Officine Pellegrini, situate lungo la via del Brennero, ai Salicchi. Il camioncino veniva preso in prestito la sera da uno della banda, cugino del proprietario, con la scusa di fare un po’ di commercio di farina. Il proprietario assolutamente ignaro del reale utilizzo, se la vedrà brutta davvero nel corso delle indagini e verrà scarcerato dopo tre mesi nelle carceri di San Giorgio!

Una sola donna nella banda; giovanissima. Fu raccolta a Firenze mentre chiedeva un passaggio una sera. Il Baldacci la prese con sé come amante, poi la porterà a Lucca a “fare la vita” prelevandole i pochi soldi che realizzava con l’attività più antica del mondo. La sciagurata assistette ad uno dei duplici omicidi e il suo silenzio fu pagato con 1.000 lire. Verrà assolta dalla giuria; il conto, la vita, glielo aveva già presentato.

Vestivano eleganti; dopi i furti si concedevano l’acquisto di “un taglio di stoffa” per farsi un vestito. Una acconciatura di capelli più curata, un paio di scarpe nuove… dettagli che cominciarono a far ingelosire e incuriosire amici e investigatori… I sospetti aumentavano con il tempo e a Lucca, in città molti sapevano, supponevano o sospettavano. Una sorta di Romanzo Criminale “ante-litteram”.

Minimo comun multiplo dei componenti della banda, come ebbe a dire il Fabbri durante il processo, era “la miseria”. Poveri in canna, schiantati da una guerra devastante che aveva rotto tutti gli schemi e gli equilibri sociali, le classi sociali più basse stentavano a mettere insieme il pranzo con la cena. E allora la fame, la miseria, ma soprattutto la necessità e l’illusione… portarono molte persone a cercare di realizzare la giornata con metodi più rapidi, diretti ma non sempre leciti. Fenomeni diffusissimi nel dopo guerra, in Italia ma anche nelle altre nazioni, il brigantaggio e il banditismo. Una delle tragiche conseguenze dello sciagurato fascismo. Come dice Rambo riguardo la fine della guerra… “Non è finito niente, non si spegne con un interruttore…”

Gli effetti di una guerra, gli strascichi, il dolore continuano a lungo, scemando piano piano… e non sempre finiscono le divisioni causata dalle diverse identità politiche. Vendette, regolamenti di conti, assassini, furti, violenze erano all’ordine del giorno. Fino al ’49/’50 le cronache registravano giornalmente episodi criminali. Molte erano queste bande, diffuse nell’Italia Centrale e anche nel sud. Tra esse, ad esempio, la “Banda Brown”, composta da un disertore afroamericano, particolarmente specializzato nei furti di camion militari a Livorno che poi rivendeva a Lucca, assieme a  bidoni di benzina trafugati… Fu catturato in camera di una prosperosa “intrattenitrice” di Pisa, nascosto seminudo in un armadio, avvolto da un boa di piume. La Military Police lo portò in America con una condanna a 40 anni, e poi come si suol dire, buttaron via la chiave. Poi c’era la Banda Montelepre della Maremma, e altre; sulla Cisa fino al ’48 bande di disertori e sbandati fermavano e rapinavano i convogli che da Parma andavano a Massa… Piano piano, vennero tutte catturate e terminarono la loro attività delinquenziale. Agli inizi degli anni ’50 il fenomeno del banditismo in questa parte di Italia era finito.

Il primo atto criminale della banda Fabbri fu una rapina sull’Autostrada Firenze Mare (ad una sola corsia), la sera del 22 novembre 1945. Rapina terminata con il sequestro e il duplice omicidio dell’Ing. Luigi Ciurlo e del dott. Edgardo Sogno; verranno uccisi nelle grotte di Anchiano, presso “la Polla del Fico”, all’inizio del dirizzone della ex-Italvetro, lato monte. Poi ancora rapine a mano armata in Garfagnana, nel Pesciatino, in Versilia. Il 22 gennaio del 1946 altri tre industriali verranno sequestrati e uccisi mentre erano in transito a Viareggio: Giorgio Pecile e i fratelli Secondo e Giovanni Di Pauli. Uccisi anche loro sempre nelle grotte di Anchiano.

Poi ancora altre rapine… In un crescendo di follia criminale, e di balordaggine la banda, composta alternativamente da più persone, ma sempre con un piccolo nucleo iniziale, terrorizzava le nostre campagne. Erano armati di un paio di mitra STEN e di alcune pistole. Il Fabbri aveva anche una tessera (falsa) della “Civil Police”, che gli serviva per fermare le auto spacciandosi per finto poliziotto. Agghiaccianti i dettagli delle uccisioni: senza alcuna remora, solo per la paura di essere riconosciuti dai sequestrati a causa magari di una sciarpa caduta dal viso, procedevano ad uccidere le persone a colpi di mitra… “Uno rantola ancora…Tiragli un altro colpo” queste le testimonianze raccontate nel corso del processo. La banda criminale terminerà la sua breve ma intensa carriera criminale verso Massarosa, la sera del 6 marzo 1946. Avevano fermato una macchina “Balilla” in transito sul Monte di Quiesa, e sequestrato un lucchese, Giuseppe Benedetti. Ma costui, grazie ad un guasto della auto, riuscì a slegarsi e raggiungere la Stazione Carabinieri di Massarosa. Questi ultimi con il rinforzo della Military Police americana intercettarono la banda in fuga e dopo un conflitto a fuoco li catturarono; in breve tempo arrestarono tutti i 21 componenti. A quel tempo non andavan tanto per il sottile e “confessarono” tutti rapidamente…

L’imputazione principale per i criminali della banda Fabbri fu “costituzione di banda armata contro lo Stato” e per questo il collegio giudicante fu composto dal Tribunale Militare di La Spezia in trasferta a Lucca. Fu utilizzata la Corte di Assise in Cortile Carrara (oggi Sala “Tobino”), e furono predisposte eccezionali misure di sicurezza per l’epoca. Uno squadrone di Reali Carabinieri, un reparto di Polizia e tre compagnie del Reggimento di Artiglieria “Folgore” di stanza alla Caserma Lorenzini, in rinforzo di Ordine Pubblico! Per permettere di seguire lo svolgimento del processo alla folla assiepata fino in piazza Grande, furono montati degli altoparlanti a tromba. L’unica autobotte dei Vigili del Fuoco, di stanza nella caserma al Bastardo, fu fatta affluire per “raffreddare” eventualmente, con il getto degli idranti, la folla, in caso di intemperanze. Gli imputati erano tutti conosciuti, e numerosi erano i loro parenti. Ma tra la folla vi erano anche i parenti delle vittime, e la situazione era assai tesa.

Le cronache sono riportate dai quotidiani che seguono il processo: tra questi La Patria, la Nazione; ma il più attento e continuativo è il Tirreno che con i giornalisti Dino Grilli e Aldo Santini narrano impeccabilmente tutte le fasi del processo. Il Tirreno del Lunedì, cerca di anticipare la sentenza, il 15 aprile 1945. Sbaglierà. Ma è bellissima la descrizione della scena finale; “Senza folla intorno, senza giudici e l’apparato del processo, nell’intervallo, seduti, stanchi e depressi, hanno gettato la maschera e abbandonato il loro aspetto tracotante, che amano ostentare davanti al pubblico. Eccoli qui senza infingimenti, miseri uomini vinti dalle loro folli passioni, più bestie che uomini, paurosi al pensiero della sorte che gli attende, e pensare che uccidevano le loro vittime come se si fosse trattato di mosche. Dal dire al fare. Oggi no, oggi ci stanno attaccati alla vita, alla propria”.

Il processo iniziò l’8 aprile 1945. Furono chiamati 22 imputati dei quali uno latitante. Vari i soprannomi: Nino, Puce, Retina… disparate le provenienze. Uno abitava in Vicolo Allegri. I capi di imputazione contestati erano: l’associazione per delinquere, la costituzione di banda armata, detenzione di armi e munizioni da guerra; poi individualmente vengono contestati alternativamente anche l’omicidio, il sequestro di persona, la rapina, ecc. Complessivamente 34 capi d’accusa. Tutta robetta leggera, insomma… sufficiente alla Corte di Assise del Tribunale Militare di La Spezia, per condannare al massimo della pena editale, la fucilazione, due di loro. La funzione giudicante è effettuata dalla Assise militare perché il reato più grave, costituzione di banda armata contro lo Stato, è contestato a tutti ed essendo ancora con lo stato di guerra in atto il processo verrà condotto con il Codice Militare in tempo di Guerra, che prevedeva appunto, come massima pena, la morte. Questa punizione estrema verrà abolita in Italia dal Codice militare di Guerra solo nel 1994.

Il Pubblico Accusatore, Ten. Col. Marina in realtà richiese inizialmente ben 8 condanne a morte. Al termine della sua requisitoria dirà: “è una richiesta che faccio con profondo dolore di animo, perché si tratta di sopprimere dei propri simili. Ma è una richiesta doverosa e necessaria!” Egli si soffermerà particolarmente sul primo capo di imputazione: “costituzione di banda armata”. Reato odioso, dirà, proprio per il fatto che era appena terminata una guerra fratricida, e costoro, imperterriti, continuavano a prolungarla! Inaccettabile per la Stato e per questo occorreva una severità in giudizio molto pesante! Per loro fortuna, grazie ad una lunga e appassionata arringa difensiva del Fabbri, ad opera dell’Avv. Gelati, un vero “principe del Foro”, la sentenza verrà emessa dopo la mezzanotte del 15, quindi alle prime ore del 16, giorno nel quale veniva dichiarata la fine dello stato di guerra in Italia e l’introduzione del Codice Penale in tempo di pace. Questo artificio giuridico consentirà di far “commutare” le due sentenze di condanna a morte per fucilazione in effetti emesse, in ergastoli. Appena in tempo. Il plotone di esecuzione della Polizia era già in viaggio da Roma. Anche il luogo della esecuzione era stato scelto: il poligono di tiro di Lucca. I conforti religiosi a cura di Padre Roggio, di Santa Maria Nera. Il padre di una delle vittime, giunto da Udine, chiederà di poter essere lui a fucilare gli assassini del figlio: non verrà accontentato.

Le condanne definitive furono in tutto 15, tra esse, ancora 3 ergastoli e tre condanne a 30 anni… La sentenza verrà trasmessa in diretta delle due reti RAI! Per uno dei due condannati a morte, fu richiesta la parziale infermità mentale, grazie ad una perizia psichiatrica effettuata dal celebre psichiatra Prof. Alessandro Pfanner, che lo aveva avuto in cura 8 anni prima; costui era affetto da “eredo lues”. Ma questa perizia non inficerà assolutamente sulla sentenza…

Poco prima del giudizio, con un provvedimento straordinario, il Presidente del collegio consentì alla moglie del Fabbri di far vedere per una mezzora in camera di sicurezza, il piccolo figlio da poco nato. Il Fabbri pianse a lungo e sommessamente stringendolo tra le braccia. Quindi la sentenza. Pochi giorni dopo la fortuita commutazione della massima pena! Furono presi anche i collaboratori…

Poi… la vita del paese che riprende, la revisione del processo in Appello a Genova; nuove condanne, più miti…  qualche indulto, amnistie, buona condotta… alla fine dopo una ventina di anni, anche i condannati più gravi trovarono la libertà. Uno dei due condannati, S.B. di 46 anni, dopo aver scontato alla fine poco più di 20 anni, tornerà a delinquere; della serie “buon sangue non mente…”! Rapinerà una donna Firenze; verrà ricatturato dai Carabinieri. Solo il Fabbri sconterà quasi definitivamente i 30 anni commutati dall’Appello di Genova.

La Banda Fabbri, come tante altre bande sciagurate del dopoguerra, ha segnato uno dei momenti della nascita della Repubblica e di Lucca. Nonostante il velo grigio di leggenda rimanga come una cappa sospesa sulla città, il capitolo è però chiuso. Definitivamente. I vari componenti sono tutti morti.

L’ultimo faceva il cameriere presso un ristorante in Corte Portici, quaranta anni fa.

Vittorio Lino Biondi.

Ringrazio per le fonti giornalistiche l’amico Maurizio Barsotti

Vittorio Lino Biondi
Vittorio Lino Biondi
Sono un Colonnello dell'Esercito Italiano, in Riserva: ho prestato servizio nella Brigata Paracadutisti Folgore e presso il Comando Forze Speciali dell'Esercito. Ho partecipato a varie missioni: Libano, Irak, Somalia, Bosnia, Kosovo Albania Afganistan. Sono infine un cultore di Storia Militare.

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3 Commenti

  1. Un altro racconto che in realtà racconto non è : una lunga esposizione di un episodio di storia della nostra città ai più sconosciuto ma che è doveroso riportare alla luce .Ringrazio Vittorio per la corretta esposizione dei fatti senza scendere mai in retorica che non appartiene alla storia

  2. Interessante. Non sono lucchese di nascita ma sono molto lieta di conoscere meglio la realtà della nostra zona dopo la Liberazione di Lucca . Grazie per l’articolo !

  3. Argomento molto interessante, storie del dopo guerra, storie di personaggi lucchesi che col tempo erano stati dimenticati. Bella documentazione. Grazie Vittorio

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