Un quarto del territorio provinciale a rischio frana. Scattano nuovi lavori per la difesa del suolo

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Questo mese di febbraio si è aperto con l’annuncio di otto milioni di €uro stanziati dalla Regione Toscana per interventi legati alla difesa del suolo, in particolare, nella provincia di Lucca, per arginare i movimenti franosi. Un territorio quello della Lucchesia soggetto spesso alle “unghiate” lasciate su colline e montane dalle frane. Si parla di circa 455 chilometri quadrati ovvero del 25,66 per cento del territorio provinciale con pericolosità “elevata” oppure “molto elevata”.

«Si tratta di quattro interventi importanti – ha spiegato il presidente della giunta regionale, Eugenio Giani – a cominciare da Minucciano per un importo di 4.167.396 €uro per un intervento significativo per il contrasto al movimento franoso sia a valle che a monte della frazione di Agliano, a salvaguardia dell’abitato. Farò il 14 febbraio un sopralluogo con il sindaco Nicola Poli in modo da verificare di persona la situazione». Altri due milioni di €uro sono destinati ai lavori urgenti di messa in sicurezza e consolidamento del movimento franoso nell’abitato di Cà di Matteo e la strada provinciale 43 nel Comune di Molazzana. «Anche qui – ha aggiunto Giani – farò un sopralluogo entro febbraio con il sindaco Andrea Talani. A Molazzana l’intervento all’abitato di Cà di Matteo è connesso alla ristrutturazione della casa di Fosco Maraini dove l’antropologo, orientalista, alpinista, fotografo, scrittore e poeta fiorentino trascorse lunghe stagioni. La casa di Fosco Maraini, ai piedi delle Panie, da cui si gode tutta la meraviglia delle Apuane, sarà ristrutturata e valorizzata in un percorso museale con un intervento di 1 milione e 335mila €uro». Altri 998.000 €uro dei fondi di sviluppo e coesione sono destinati alla mitigazione del movimento franoso a valle dell’abitato della frazione di Capanne di Careggine con un intervento che si coordina alle risorse già destinate per la ristrutturazione e rigenerazione di Isola Santa e nel 2025 la frequentazione che la Garfagnana avrà nel momento in cui sarà svuotato il lago di Vagli. Infine ulteriori 840.000 €uro serviranno per la mitigazione del movimento franoso a valle della strada comunale in località al Caldo nel comune di Sillano Giuncugnano.

Un annuncio, quello della Regione, che richiama alla mente proprio il tema della fragilità del territorio della provincia di Lucca, in particolare sul fronte delle frane, ovvero della fenomenologia più diffusa e che interessa praticamente tutte le frazioni collinari e montane del territorio. La provincia di Lucca presenta una molteplicità di sistemi morfo-ambientali, tra i quali vaste zone montuose con caratteri talora alpini, che favoriscono, complice anche un clima caratterizzato da forte piovosità, l’insorgere di diffuse e frequenti problematiche di tipo geomorfologico, idrogeologico ed idraulico. Quasi ogni anno si registrano eventi, talora catastrofici, sia con allagamenti di vaste aree urbanizzate di fondovalle in conseguenza di eventi esondativi dei corsi d’acqua, sia con fenomeni di sovralluvionamento da colata detritica dei corsi d’acqua minori, sia infine con molteplici eventi franosi sulle pendici montane e collinari, che hanno evidenziato un diffuso degrado ambientale connesso ai processi di trasformazione dei territori montani, collinari e vallivi attuati nel corso degli anni, in particolare dal dopoguerra in poi, ma anche errori di programmazione circa le destinazioni d’uso effettuate in passato dagli enti preposti al governo del territorio. Così alla fragilità intrinseca di vaste porzioni del territorio provinciale si aggiunge il ruolo svolto dalla pressione antropica nell’esaltazione degli effetti distruttivi degli eventi naturali e quella che ormai è diventata una mancanza della cultura di attenzione ordinaria al territorio. Ogni volta gli eventi evidenziano la necessità improrogabile che la pianificazione del territorio, intesa come analisi multidisciplinare dello sviluppo antropico, sia compatibile con le risorse e le problematiche del territorio stesso, ovvero si rende necessario un impegno deciso verso la difesa del suolo.

Proprio la provincia di Lucca ha vissuto importanti esperienze nella prevenzione e nello sviluppo della cultura di protezione civile. Dobbiamo ricordare infatti l’allarme sismico del 23 gennaio 1985 (si veda: 23 gennaio 1985: quella sera la TV spaventò tutta la Valle del Serchio) e la legge 183 del 1989 che nel 1990 individuò nel bacino del fiume Serchio il “pilota” in Italia per attuare quanto era previsto nella legge 189. Così divennero importanti gli incontri, i documenti, le conferenze e le varie esperienze che videro protagonista il professor Raffello Nardi e il suo gruppo di collaboratori nella sede di Palazzo Pretorio e un po’ ovunque sul territorio.

«Con lo sviluppo dei concetti di protezione civile e prevenzione, sia nell’ambito di alcuni organi dello Stato, sia nell’ambito della ricerca applicata, si sono precisati e delineati meglio alcuni termini del linguaggio comune, che sono stati presi a prestito e ormai usati correntemente negli ambienti suddetti. Si parla così di pericolosità, per indicare in generale le situazioni di pericolo rilevate su tutto il territorio e di rischio, per indicare le situazioni di pericolo che incombono invece sulle strutture del territorio, siano esse i centri abitati o anche parti di essi vitali per la comunità (edifici pubblici significativi in caso di necessità, quali municipio, ospedale, stazione ferroviaria, caserma di carabinieri, dei vigili del fuoco, stabilimenti industriali, centrali elettriche, etc.) oppure le cosiddette “life lines”, intendendo con questo termine ad esempio strade, ferrovie, linee elettriche di notevole importanza, ecc. Nella Provincia di Lucca – ricordava il prof. Nardi – sono presenti situazioni di rischio sismico e idrogeologico. Sul fronte del rischio idrogeologico nelle sue varie componenti abbiamo in particolare le frane, le alluvioni e le esondazioni, le valanghe, la possibilità di inquinamento delle falde e i problemi di rischio derivanti dalle dighe e dagli invasi artificiali».

La franosità di un territorio dipende dall’interazione di molteplici fattori, ma in maniera prevalente dalla litologia, cioè dal tipo di roccia che vi affiora e dalla situazione morfologica locale. Guardando la carta della Toscana si evidenziano le zone suscettibili di frane dal punto di vista litologico cioè per la loro stessa natura. Ciò offre un quadro di quello che è il rischio da frana nella nostra regione. Un quadro che mette in risalto come il rischio sia presente in maniera rilevante nella Garfagnana e nell’alto Appennino pistoiese, più limitatamente nella parte meridionale della provincia di Lucca e in alcune aree della terminazione delle Apuane, ovvero nei comuni di Camaiore e di Massarosa.

Per l’alta Val di Lima dalle carte si desume una situazione ad alto rischio, particolarmente nella fascia dei terreni che scende dall’Abetone, verso Cutigliano, Lizzano, La Lima, S. Marcello Pistoiese e Popiglio. Terreni e situazioni analoghe si ritrovano anche nella bassa Val di Lima nel comune di Bagni di Lucca, specialmente nella Controneria.

Gli effetti delle frane nel nostro territorio hanno lasciato aperte molte ferite profonde e spesso tragiche in epoche storiche. Per esempio le frane del 1784 di Celle di Bagni di Lucca, del 1814 di Lizzano e del 1968 di Casotti di Cutigliano. Facciamone memoria.

La frana di Celle – Il Monte Prato Fiorito (1.297 metri sul livello del mare) è un rilievo della Val di Lima, alle cui pendici meridionali si trova l’abitato di Cappelle in Comune di Bagni di Lucca, a 645 metri sul livello del mare. Anticamente, 500 metri ad ovest di quest’ultimo, si trovava anche il paese di Celle, completamente distrutto da una frana. Il dissesto si verificò il 2 aprile 1784, preceduto da 48 ore di piogge continue: esso interessò una falda detritica molto sviluppata e acclive. Le modalità di evoluzione non trovano concordi due osservatori dell’epoca (entrambi testimoni oculari): secondo il reverendo don Giuseppe Maria Gereschi, del Bagno a Corsena, il movimento fu repentino, senza segni premonitori, e se causò una sola vittima (un’anziana donna inferma) fu perché tutti gli abitanti si trovavano in chiesa per le celebrazioni del Venerdì Santo. Invece secondo il Parroco di S. Cassiano di Controne, don Domenico, il 30 marzo furono notate lesioni presso il paese e vi fu il tempo per dare l’allarme e mettere in salvo la popolazione; la frana sarebbe evoluta nei due giorni successivi.

Sulla base di ricerche inedite il prof. Raffaello Nardi riteneva che «il distacco e l’evoluzione fossero stati rapidissimi, data la grande inclinazione e la forte cementazione della falda detritica; immersi nel materiale sciolto della frana si trovano infatti molti blocchi di detrito cementato, scompaginati e sparsi lungo il versante, a indicare una notevole energia cinetica. Il dissesto presumibilmente si preparò lentamente, con deformazioni della falda detritica e lenta dissoluzione del cemento, e si mutò poi rapidamente in caduta libera e colata (“crollo di detrito” e rotolio di massi nel detrito cementato, “colata” nei materiali meno cementati o scompaginati dal crollo); a quest’evento partecipò anche parte della massa rocciosa stessa. Tuttora si verificano caduta di blocchi e movimenti di detrito sciolto, come pure piccoli crolli in roccia. È interessante notare che, al di sotto dell’accumulo di tale frana, si ritrovano tracce di eventi più antichi di caratteristiche analoghe ed età non precisabili, sotto forma di blocchi di detrito ancora cementato immersi in una matrice terrosa abbondantemente pedogenizzata».

Secondo il prof. Nardi anche il paese di Cappelle e altre piccole frazioni limitrofe si trovavano in condizioni di rischio non trascurabile perché le condizioni geologico-geomorfologiche erano analoghe a quelle dell’antica Celle. «Queste frazioni – spiegava il professore – sono infatti edificate su un’altra grande paleofrana, su cui poggiano vaste coltri di detriti di falda cementati, del tipo sopra descritto. Lungo il versante si riscontrano inoltre numerosi segni di deformazione e copiose sorgenti tipo “sorgente di detrito”, con circuito idrico non profondo».

La frana di Lizzano. Dopo un periodo eccezionalmente piovoso, protrattosi da maggio a dicembre del 1813, il 26 gennaio 1814 si mosse improvvisamente una frana molto vasta, che il 31 gennaio si adagiò sul fondovalle e sbarrò il torrente Lima. Il perimetro dell’area in dissesto misurava circa due miglia e comprendeva al suo interno quasi tutto il paese di Lizzano, frazione del comune di S. Marcello Pistoiese (PT). Molte furono le abitazioni distrutte, mentre non si hanno notizie precise sul numero di vittime. A monte dello sbarramento del torrente si formò un lago; il suo svuotamento procedette però naturalmente, lentamente e senza gravi pericoli, per la durata di alcuni mesi.

La frana di Casotti di Cutigliano. Dopo un periodo di piogge il 24 febbraio 1968 una frana di detrito di arenaria «macigno», limitata arealmente ma con evoluzione molto rapida, si staccò da un pendio sovrastante la strada statale dell’Abetone e del Brennero, in località Casotti di Cutigliano (PT). Il movimento si completò in pochissimi minuti, spazzando via un albergo. La tragedia fu evitata per un caso, perché furono avvertiti rumori sospetti e fu notato l’aprirsi di crepe. Ciò permise di evacuare e mettere in salvo, appena in tempo, alcune decine di persone.

La franosità della Garfagnana e della media Valle del Serchio è ancora più marcata e diffusa sul territorio di quella della Val di Lima, a causa delle caratteristiche delle rocce che vi affiorano: argille degli antichi laghi di Fornaci di Barga – Barga, di Castelnuovo Garfagnana – Castiglione; «argille scagliose» di Camporgiano, S. Romano, Piazza al Serchio e Sillano; «scaglia rossa» tra Ponte di Campia e Fosciandora, ecc. o della fratturazione subita anche da rocce competenti in corrispondenza di incroci di faglie responsabili della sismicità dell’area, per esempio a Bolognana.

La diffusione e l’entità delle frane presenti in questa regione risulta con molta evidenza dalla cartografia di dettaglio rilevata dal Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti del C.N.R. (Nardi e collaboratori a partire dal 1986). Alcune frane, nel tempo, hanno costretto addirittura a trasferire interi paesi, come nel caso della estesa frana del novembre 1920 che coinvolse l’abitato di Caprignana, in comune di S. Romano Garfagnana e tutto il versante fino al fondovalle del fiume Serchio.

Anche di questo evento merita farne memoria come, giustamente, venne fatto nel 1920 in occasione dei 100 anni dal tragico terremoto della Garfagnana. Il terremoto verificatosi in Garfagnana il 7 settembre 1920 (X° grado della scala Mercalli) fu la causa della rimobilizzazione della grande frana di Caprignana Vecchia. L’abitato venne poi trasferito poco lontano. La frana interessò tutto il versante in argille scagliose fino al fondovalle del fiume. Il movimento franoso può essere descritto come una sorta di colamento di detrito, già disposto su forte acclività, al quale si aggiunsero fenomeni di scivolamento della parte superficiale del macigno (arenarie alternate ad argilliti e siltiti) e scivolamenti e colamenti delle argilliti del complesso caotico ed eterogeneo (argille scagliose). A distanza di 5 giorni dal primo movimento il fenomeno mostrava una velocità di 5 metri al giorno e giunse nella pianura alluvionale del fiume Serchio.

Le caratteristiche litotecniche del substrato, per quanto riguarda la formazione del macigno, coinvolto nel movimento, sono di rocce coerenti, omogenee, stratificate (con giacitura a franapoggio meno inclinata del pendio, immersione di 135 gradi, inclinazione di 20 gradi, spaziatura tra le superfici di discontinuità di 100 centimetri), moderatamente alterate e con elevata fratturazione, sovraconsolidata. Le caratteristiche litotecniche del substrato, per quanto riguarda la formazione delle argille scagliose, coinvolto nel movimento, sono di rocce semicoerenti, eterogenee, caotiche (con spaziatura tra le superfici di discontinuità di 1 centimetro), moderatamente alterate e molto fratturate. La frana interessò «in tutto il suo spessore la copertura superficiale costituita da paleoaccumuli di frana costituiti da depositi psefitici con mescolanze psammitiche e pelitiche, con locale cementazione moderatamente alterate. Principale superficie di discontinuità: faglia normale (direzione NW-SE, inclinazione 90 gradi. L’accumulo presenta una buona evidenza, inclinazione media 6 gradi, larghezza massima 200 metri, lunghezza 1.350 metri, superficie 10,8 ettari, con spessore superiore ai 10 metri. Caratteristiche della circolazione idrica nell’accumulo: drenaggio superficiale ad areale impedito con permeabilità disomogenea, sorgenti diffuse, più falde idriche presenti, erosione al piede in atto. La frana ha causato l’ostruzione parziale dell’alveo. La nicchia presenta una scarsa evidenza, inclinazione media 19 gradi, larghezza massima 160 metri, lunghezza 500 metri, superficie 4 ettari. Caratteristiche della circolazione idrica nella nicchia: drenaggio superficiale ad areale impedito con permeabilità disomogenea, sorgenti diffuse, più falde presenti».

Altri esempi hanno interessato negli anni la Valle del Serchio – Garfagnana. Fra questi varie frane sulla via provinciale «Lodovica» ma anche sulla statale dell’Abetone e del Brennero che seppure di dimensioni modeste, incombevano e continuano a interessare la viabilità di fondovalle.

Da ricordare ancora la frana di Bolognana sulla riva destra del Serchio di fronte a Fornaci di Barga, che interessa tutto un versante a nord del rio Forcone. La zona franosa ha dato segni di mobilizzazione durante i lavori di ampliamento della strada provinciale «Lodovica», interrompendo per alcuni mesi la viabilità di fondovalle. Nell’area potenzialmente franosa insistevano cinque elettrodotti E.N.E.L. (in particolare le linee a 380.000 volts e a 130.000 volts), la galleria E.N.E.L. che unisce l’impianto di Gallicano col bacino di Turrite Cava. Diversi anni fa c’erano anche i depositi di esplosivo poi chiusi della Società Sipe­Nobel. Anche la frana del Ponte alla Seconda, verificatasi sulla strada statale 445 nel dicembre 1985 – febbraio 1986 fu oggetto di molti miei articoli su La Nazione. La frana interruppe per alcuni mesi la viabilità tra Ponte di Campia e Castelnuovo Garfagnana richiedendo opere di sostegno e consolidamento del versante, che si trovava in equilibrio precario per la presenza di una roccia franosa per la sua natura litologica («scaglia rossa») e di una copertura instabile di detriti di arenaria. Inoltre la frana di Piazza al Serchio, che si è verificata durante l’alluvione dell’agosto 1987, che ricordo bene perché avvenne alla vigilia del mio periodo di ferie e di licenza matrimoniale, tanto che fui costretto a rinviare la partenza di qualche giorno. Anche questa, come le altre, fu una frana a notevole rischio perché, pur avendo interessato solo marginalmente l’abitato, incombeva sul fiume Serchio, dove questo scorre in una stretta gola tra rocce. Nel caso di ulteriore mobilizzazione dei detriti coinvolti nel movimento, questi potrebbero sbarrare il fiume con la creazione di un pericoloso lago a monte della frana.

Nelle altre zone della provincia di Lucca la franosità è più contenuta per la natura dei terreni presenti, anche se, in determinate condizioni o per interventi antropici mal valutati, possono verificarsi dissesti di notevoli proporzioni, come avvenne con la frana di Casoli di Camaiore, paese situato nell’entroterra versiliese, che fu interessato da una vasta frana che, nella notte tra l’undici e il dodici gennaio 1979, si staccò repentinamente all’ingresso del paese, coinvolgendo la strada di accesso e un edificio. Il disastro fu evitato appena, grazie all’allarme lanciato nottetempo da un viandante, che notò lesioni e movimenti nella strada. Il paese rimase del tutto isolato; si rese necessario l’intervento degli elicotteri per assicurare i rifornimenti alla popolazione e il recupero degli automezzi bloccati. Il dissesto si verificò al contatto tra i «calcari cavernosi» della successione toscana non metamorfica e i termini sottostanti dell’Unità di Massa («scisti sericitici» e «pseudomacigno»), in seguito a piogge copiose e alla fusione della neve caduta nei giorni precedenti.

In epoca recente il passaggio dall’Autorità di bacino pilota del fiume Serchio al più ampio Bacino distrettuale dell’Appennino settentrionale ha comportato cambiamenti anche sul fronte degli studi precedenti. La nuova analisi della pericolosità di frana nel bacino del Serchio, intesa come probabilità di accadimento di un movimento franoso, è stata svolta partendo dal quadro conoscitivo geomorfologico di base rappresentato dalla Carta della franosità del Bacino del fiume Serchio (piano di bacino, stralcio per l’assetto Idrogeologico” PAI del fiume Serchio, approvato il primo febbraio 2005 poi modificato dal “Piano di bacino, stralcio assetto idrogeologico primo aggiornamento” (approvato il 26 luglio 2013) e dal “Piano di bacino, stralcio assetto idrogeologico secondo aggiornamento” (adottato il 17 dicembre 2015).

La carta della franosità del bacino del Fiume Serchio costituisce uno strumento conoscitivo di rilevante importanza per l’analisi della pericolosità di frana, in quanto rappresenta lo stato delle conoscenze in merito agli aspetti geomorfologici di natura gravitativa del bacino, ed inoltre contiene una grande quantità di informazioni di carattere geologico, geologico tecnico e statistico, quest’ultime relative alla propensione al dissesto dei versanti. Si deve ricordare che la carta della franosità del bacino del Fiume Serchio è stata aggiornata a seguito degli eventi di dissesto idrogeologico che dall’ottobre 2013 fino al febbraio 2014 hanno duramente colpito la media Valle e la Garfagnana, e dei dissesti conseguenti l’evento calamitoso del 21 luglio 2014 in Valfreddana. L’aggiornamento cartografico ha riguardato il territorio di 11 Comuni per lo più montani, e ha comportato la mappatura di 167 nuove frane attive, 18 coni detritico-alluvionali interessati da fenomeni di debris-flow, ovvero colate di detrito, un miscuglio costituito da due fasi una solida e una liquida di varia intensità ed aree soggette a franosità per erosione di sponda.  

Come indicato nella relazione di piano il nuovo obiettivo della variante generale al piano assetto idrogeologico è quello di ottenere, oltre a norme uguali, una mappa della pericolosità che sia omogenea e coerente per tutti i bacini interessati. Poiché per il bacino del Serchio tale mappa non esisteva, in quanto il PAI era stato a suo tempo sviluppato con metodologia in parte diversa, si è dovuto procedere a una elaborazione della Carta della franosità al fine di ottenere una mappa di pericolosità coerente con il resto dei bacini oggetto di variante. La carta della pericolosità di frana si presenta quindi come una carta tematica derivata dalla carta geomorfologica, con indizi di pericolosità rappresentata dalla carta della franosità del bacino del Fiume Serchio in scala 1: 10.000. La trasposizione della carta geomorfologica in carta di pericolosità è in sostanza il risultato dell’applicazione critica, alla nuova cartografia, delle norme già presenti nel PAI rischio frane del Serchio, e della loro successiva rilettura alla luce dei criteri e della nuova disciplina di piani della variante PAI interessante i bacini toscani del distretto (Arno, Serchio, ex-bacini regionali toscani). La cartografia finale è espressa sotto forma di poligoni caratterizzati ciascuno da un diverso grado di pericolosità:

• pericolosità molto elevata (P4)

• pericolosità elevata (P3)

• pericolosità media (P2)

• pericolosità bassa (P1)

Nella mappa di pericolosità finale sono state introdotte anche quelle aree, con diverso grado di pericolosità, per le quali le norme di PAI del Serchio definivano fasce di rispetto di tipo geometrico (fasce di rispetto di frane, aree di scarpata, ecc.). Tali aree finora non erano mai state esplicitate come perimetro o poligono nella carta della franosità e presentavano margini di interpretazione soggettiva con conseguente difficoltà di applicazione delle norme.

Aree a pericolosità molto elevata P4

• Corpo di frana attiva;

• area compresa tra il corpo di frana attiva e la nicchia di distacco di frana attiva, ove presente.

• fascia di rispetto del corpo di frana attiva pari a un quarto della larghezza massima del corpo di frana attiva;

• aree soggette a franosità per erosione di sponda;

• aree in rocce coerenti e semicoerenti soggette a franosità per forte acclività. In particolare: aree esposte a possibili fenomeni di crollo o di distacco massi;

• aree al bordo di terrazzi fluviali e/o morfologici in genere soggette a possibili collassi o frane;

• aree al bordo delle ex cave di sabbia silicea nell’area del lago di Massaciuccoli;

• fascia di rispetto di aree al bordo delle ex cave di sabbia silicea nell’area del lago di Massaciuccoli per una ampiezza pari ad 1,5 volte la profondità della buca;

• doline.

Aree a pericolosità elevata P3a

• Corpo di frana quiescente;

• area compresa tra il corpo di frana quiescente e la nicchia di distacco di frana quiescente, ove presente;

• Aree soggette a franosità in terreni prevalentemente argillitici acclivi e/o con situazioni morfologiche locali che ne favoriscono l’imbibizione;

• Aree soggette a franosità in terreni argillitici acclivi;

• Aree soggette a franosità in terreni acclivi argilloso-sabbiosi e sabbioso-conglomeratici;

• Conoidi di detrito pedemontano e conoidi soggetti a fenomeni di debris-flow;

• Masse rocciose dislocate unitariamente da movimenti franosi;

• Aree interessate da deformazioni gravitative profonde certe;

• Aree potenzialmente franose per caratteristiche litologiche;

• Aree di scarpata di terrazzi fluviali e/o morfologici in genere, soggette a possibili collassi o frane.

Le aree già individuate nella carta della franosità del Fiume Serchio come doline e verificate attraverso l’analisi dei Rilievi LIDAR 3D e dei modelli digitali del suolo più recenti disponibili, sono state inserite tra le aree a pericolosità molto elevata P4 in quanto aree di dolina in ambiente montano soggette a progressivo, anche se lento, sprofondamento. Sempre legata a fenomeni di sprofondamento subsidenza anche se di natura diversa (tettonico-termale), merita una menzione particolare l’area del “Bagno” o “Pra di Lama” nel Comune di Pieve Fosciana in Garfagnana, inserita tra le aree a pericolosità elevata P3a nella carta della pericolosità, come evidenziato dall’Unione dei Comuni della Garfagnana.

Fra le centinaia di frane piccole e grandi che ho seguito in 40 anni di cronista voglio ricordare quella tragica del 20 novembre 2000 a Vinchiana.

Nel novembre 2000 la Versilia, la Piana di Lucca e la Media Valle del Serchio furono investite da una successione di precipitazioni che hanno messo in crisi il territorio e causato vittime e danni gravissimi (D’AMATO AVANZI a altri, 2002). I giorni più critici furono il 3, il 6 e soprattutto il 20 novembre, in cui il pluviometro del Piaggione registrò ben 197,4 millimetri in 24 ore; lo stesso pluviometro nel mese di novembre registrò 587,4 millimetro ovvero il 44,8 per cento della media annua. Il fiume Serchio reagì con portate che raggiunsero 1.600 metri cubi al secondo a Borgo a Mozzano e 2.000 metri cubi al secondo a Monte San Quirico, ovvero tra i valori massimi conosciuti, con allagamenti a Diecimo, Ponte San Pietro, Nozzano e S. Maria a Colle.

Gli effetti più gravi e diffusi delle precipitazioni investirono i versanti.

Il 20 novembre una frana funestò l’area di Vinchiana, distruggendo alcune abitazioni e provocando la morte di cinque persone. La frana, di prima generazione, coinvolse la formazione del macigno e la sua copertura detritica. Ci furono due movimenti principali successivi e adiacenti con caratteristi che cinematiche diverse (D’AMATO AVANZI e altri, 2002). Il primo movimento iniziò tra le ore 9,30 e le 10,00 con lo scorrimento traslativo di detrito e roccia, sviluppatosi per circa 120 metri di lunghezza e 30 di larghezza, con spessore stimato in quasi 10 metri. Il movimento coinvolse un grande blocco di arenaria (alcune migliaia di metri cubi), che scivolò alla velocità di qualche metro al secondo senza scompaginarsi, fino a investire e abbattere un’abitazione, causando le 5 vittime. Quasi contemporaneamente una piccola colata rapida di fango e detrito coinvolse due persone, senza gravi conseguenze. Il secondo movimento si innescò verso le ore 11,00 con lo scorrimento rototraslativo multiplo di terra e detrito.

Questa frana, meno veloce (qualche metro al minuto) investì una villetta appena evacuata distruggendola. Oltre a queste frane devastanti nella Media Valle del Serchio si innescarono molte altre frane, in prevalenza superficiali che coinvolsero la copertura detritica di macigno, in genere per l’intero spessore (da pochi decimetri a 1-2 metri o più) con scorrimento/colata rapida di detrito. Dissesti che furono causa di molteplici interruzioni stradali, danni diffusi al patrimonio edilizio e situazioni ad alto rischio anche con evacuazioni e allontanamenti precauzionali degli abitanti in alcune località.

Per la cronaca quel giorno morirono: Leo Motroni, manovale in pensione; Amanda Medori di 28 anni con i suoi figli (e nipoti di Leo) Martina e Giacomo; Emilia Dini, detta Emilietta già postina di Vinchiana e parente dei Motroni.

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1 commento

  1. E’ molto importante conoscere il livello di pericolosità delle varie zone dal punto di vista idrogeologico e ben vengano gli studi in materia. Poi, occorre mettere in atto tutte le misure per prevenire gli eventi calamitosi o per ridurne le conseguenze, grazie anche ai contributi stanziati dagli Enti competenti ( forse insufficienti a mio avviso). Ma l’aspetto più importante consiste nell’adozione di misure e comportamenti virtuosi atti a non peggiorare le situazioni rischiose, insomma occorre maggiore educazione e senso civico .Prevedere le piogge torrenziali e i movimenti tellurici disastrosi non è possibile , ma rispettare i territori, non disboscare in maniera selvaggia, evitare di costruire e cementificare in luoghi a rischio, questo è possibile ; occorrono comportamenti responsabili da parte di tutti e maggiori controlli da parte delle autorità preposte.

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