#StateSereni Bollettino di guerra numero 6

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Un anno dopo. Questa è guerra vera. Una guerra che ormai si combatte da un anno. Per la precisione dal 24 febbraio del 2023, giorno in cui è scattata l’aggressione russa all’Ucraina.

Pur sapendo di turbare qualche anima bella avanzo un’affermazione: per fortuna si continua a combattere. Perché significa che i piani di Mosca, che prevedevano una facile conquista dell’Ucraina, sono falliti.

Sono falliti per tanti motivi, a cominciare dalla inattesa inadeguatezza delle forze armate russe che, sulla carta, disponevano di una tale superiorità militare da far pensare all’invasione come ad una passeggiata con il popolo ucraino che festeggiava gli invasori e li sosteneva nella loro volontà di liquidazione del legittimo governo di Kiev.

Non è andata così. Fedele espressione di un sistema socio-politico arrugginito e dominato dai favoritismi, dalla corruzione e dalla cancrena burocratica, le forze armate russe hanno mostrato inefficienza tecnica e impreparazione strategica. Con il risultato di dover rinunciare alla programmata avanzata nel cuore dell’Ucraina. In un certo senso si è ripetuta la triste scena vissuta dall’esercito italiano quando nell’ottobre del 1940 provò a invadere la Grecia, seguendo l’ordine di Mussolini che aveva promesso al popolo italiano “Spezzeremo le reni alla Grecia”. Finì in una disfatta con gli alpini congelati costretti a ripiegare fin quasi alla costa adriatica. Il primo vero duro colpo alla credibilità del regime fascista venne dai monti dell’Epiro dove migliaia di giovani provarono sulla loro pelle la sciagura alla quale la dittatura aveva portato l’Italia.

Memori di quella triste storia, possiamo guardare alle difficoltà dell’esercito russo, impantanato in Ucraina, con la motivata speranza che qualche crepa si apra nel monolite moscovita. Non mi faccio illusioni, e so bene quanto sia ferreo il controllo esercitato dal potere su quella società, ma non sottovaluto l’impatto delle sofferenze che il popolo russo è chiamato a sopportare.

Per le ragioni che ho cercato di esporre si deve guardare alla guerra in corso parteggiando, senza riserve, per gli aggrediti che combattono per la loro libertà.

E siccome per combattere ci vogliono le armi non è certo il caso di incertezze. Se in questi dodici mesi l’Ucraina è riuscita a resistere è perché ha potuto contare su consistenti aiuti militari e finanziari.

Sono convinto che Putin non avesse previsto una così massiccia mobilitazione in sostegno dell’Ucraina. Pur con le solite differenziazioni l’Europa si è impegnata in difesa degli aggrediti, stabilendo il sacrosanto principio del dovere di fornire il massimo aiuto a che difende libertà e indipendenza.

Non andò così nel 1936 quando Francia e Inghilterra lasciarono libertà di azione a Mussolini ed Hitler nell’aggressione alla Spagna repubblicana. Fu la interessata viltà di quelle democrazie che incoraggiò i due dittatori a muovere alla conquista dell’Europa. E fu la Seconda Guerra Mondiale.

Che Dio ci scampi dalla Terza. Insieme alla ragionevole fermezza che ci porta a sostenere gli aggrediti è questa la speranza che palpita nei cuori della buona gente.

E allora le foibe. Esaurito il can can pucciniano la polemica cittadina si è concentrata sulla questione delle foibe. Il 10 febbraio, secondo quanto stabilito da una legge dello Stato, in Italia si ricordano la tragedia delle foibe e il dramma dell’esodo che, a guerra finita, coinvolse centinaia di migliaia di italiani. Dalle regioni del Confine Orientale, divenute parte della Jugoslavia, si mossero in cerca di riparo verso l’Italia. Come già era accaduto in occasione del giorno della memoria, dedicato alle vittime dell’olocausto e dell’intolleranza razziale, anche il 10 febbraio ha visto una recrudescenza di polemiche che, anche per il rispetto che si deve alle vittime di quella triste storia sarebbe stato meglio evitare.

Alimentati dall’aria che tira i toni si sono surriscaldati con una eruzione di parole cariche di aggressività e di intolleranza che non appartengono al linguaggio di Lucca civile.

Assolutamente inaccettabile, per le argomentazioni addotte e per i retro pensieri che evocava, la campagna di demonizzazione del professor Eric Gobetti, venuto a Lucca, per parlare agli studenti dei suoi studi sulle foibe.

Dispiace, per il giudizio che ho di lui, che a questa campagna si sia accodato il sindaco Pardini che è arrivato a rimproverare la Fondazione Cassa di Risparmio per aver concesso il San Francesco quale sede della conferenza del professor Gobetti.

Non è per questa strada che sarà possibile avviare un ragionamento serio intorno al dramma vissuto dalle popolazioni del Confine Orientale. Eppure è di un ragionamento serio che c’è bisogno se vogliamo arrivare a comprendere quel dramma       che trova la sua più convincente spiegazione se lo si riconduce alle tragiche convulsioni che accompagnarono la fine del fascismo.

Che estimatori vecchi e nuovi del regime mussoliniano non siano disponibili ad accedere a questa spiegazione e invece preferiscano ricorrere al dramma del Confine Orientale per farne un motivo di affermazione identitaria è sicuramente un limite culturale e politico che li vincola su posizioni di inconsistente prospettiva. Se coltivano, come sembra di percepire in quello che predicano, una qualche voglia di rivincita sul 25 aprile, sono destinati a verificare che si collocano fuori e contro il sentimento generale degli Italiani.

Prima si rendono conto di questa limpida verità, prima potranno dedicare le loro energie e le loro intelligenze a opere più durature, a imprese più nobili. 

La democrazia repubblicana, sancita dalla Costituzione, è aperta al contributo di tutti quanti si riconoscono in quei valori di tolleranza, solidarietà, uguaglianza, giustizia e libertà che fecondano la civiltà e la conservano come il bene più prezioso.

Il professor Gobetti che è venuto a Lucca a parlare delle foibe non meritava quelle ire polemiche che più di ogni altra cosa hanno offeso quella Lucca civile e democratica dalla quale abbiamo tutti da imparare.

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3 Commenti

  1. Grazie Professore per aver ricordato lo strazio della guerra in Ucraina che ormai dura da un anno, quando gli esperti dichiaravano che sarebbe durata poco. Lei all’inizio del conflitto aveva uno slogan: “ bombe su Mosca e armi all’ Ucraina” , allora la gente non capiva.

  2. Personalmente penso che dopo più di settant’anni sarebbe ora che gli animi si riappacificassero e si pensasse di più ai tanti problemi economici e sociali che affliggono Lucca e l’intero Paese. A volte certe polemiche mi sembrano strumentali.
    Per quanto concerne la guerra in Ucraina bene che si continui a combattere e a resistere alla sopraffazione russa , ma si dovrebbe pensare di più a soluzioni per fermare le armi , sarebbe l’ora.
    Tanto più che da tale situazione si arricchiscono fondamentalmente i produttori di armi .
    Siamo stanchi di vedere distruzione e morte. Le guerre sono sempre una scelleratezza e non portano bene a nessuno, vincitori e vinti.

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