Sanremo, specchio del paese?

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Il Festival è finito. Lunga vita al Festival.

Come ogni anno, la fine del Festival (scritto rigorosamente con la “F” maiuscola) è il momento in cui, non potendo più sentire canzoni, si raccontano polemiche tanto per allungarne un po’ la magia. Quest’anno poi le motivazioni si sprecano. Quindi, per non essere snob, eccoci qua anche noi.

Cominciamo.

Diciamolo pure: non è che le canzoni quest’anno fossero memorabili. Poi ciascuno ha la sua personale preferenza, ed è giusto così, ma insomma…

Le canzoni però sono lo specchio di come un popolo vede sé stesso. Del suo stato d’animo e della sua autocoscienza. Se questo è vero, la nostra immagine di noi è assai poco lusinghiera. Le canzoni di Sanremo sono, per lo più, improntate al pessimismo, al pensare a sé, alla delusione. Pochi gli sprazzi di ottimismo (Alfa, Renga e Nek, Maninni, Il Volo, The Kolors… altro?) per il resto un buio pessimismo che va dall’autodistruzione ad una visione edonistica e rassegnata fino alla disperazione. Uno specchio che racconta un paese che non si apprezza e non ha fiducia nel futuro.

Se questo è il contenuto delle canzoni, lo spettacolo in sé non ha offerto motivi di maggiore speranza.

L’Italia si è trovata rappresentata da un insieme di cantanti che non sono stati visti, a torto o a ragione, come rappresentanti del paese. Molti di loro presentano orgogliosamente la loro origine territoriale come una nazionalità separata. Sia che sia del sud che del nord. Un confronto di territori che mostra una certa diffidenza e anche forme di antagonismo territoriale che non sono desiderabili. Un conto sono le radici dei territori da cui ciascuno proviene, un altro è il presentarsi come estranei e provenienti da una enclave.

Poi c’è stato anche spazio per forme di razzismo più evidenti. Mi riferisco al fastidio che molti hanno provato nel sentire Ghali che cantava “L’italiano”, in verità accompagnato da un’altra parte di Italia che ne ha fatto il peana forse anche un po’ ideologico e superiore alla qualità della performance canora.

Quindi è arrivata la serata della finale, con la votazione che ha visto il superfavorito Geolier battuto sul filo di lana dall’altra favorita dai pronostici Angelina Mango. E le polemiche si sono sprecate.

La Rai non ha dato dati precisi su come il voto si è composto. Non lo ha fatto riguardo ai risultati della sala stampa e alla radio. Ma non lo ha fatto neppure riguardo alla composizione di quel televoto che aveva incoronato Geolier con uno strabordante 60%. Non ci ha detto se le telefonate avevano una qualche distribuzione geografica e non poteva oggettivamente dirci se avevano una qualche distribuzione di età. Molto si è detto della presunta mancanza di trasparenza del sistema adottato per decidere il voto: in particolare del fatto che potesse “ribaltare il voto popolare”.

Le accuse di “furto” si sono sprecate. I sospetti che le “lobby della musica” avessero ribaltato le preferenze del pubblico hanno assunto il valore delle virtuali certezze.

In questo ci si è messa anche l’IPSOS che ha fatto sapere che aveva fatto una giuria demoscopica per valutare le canzoni. Cioè una giuria che avrebbe dovuto rappresentare le preferenze degli italiani sulla base di un campione di persone simile alla nostra popolazione. E così ci ha detto che la classifica era tutta sbagliata. Che, per la loro giuria, Geolier sarebbe addirittura precipitato alla 20° posizione. La Mango sarebbe 3° e a vincere sarebbe stata la Bertè.

Mark Twain diceva: ci sono tre tipi di bugie: le piccole le grandi e le statistiche. Quindi le affermazioni di IPSOS sarà bene prenderle con la dovuta cautela. Ciò nondimeno qualche legittimo dubbio sulla reale presa che questo genere musicale abbia nel nostro gusto popolare è legittimo. E, per conseguenza, anche su quanto il Festival rappresenti il sentire comune del nostro paese.

Detto questo, il Festival ci ha quindi mostrato una Italia interculturale, definita da aree molto distanti una dall’altra, decisamente involuta, pessimista sul suo futuro e rassegnata.

Ma davvero è questa l’Italia? Davvero l’Italia che viviamo è quella delle culture, parola strettamente declinata al plurale a evidenziare le inconciliabili distanze che non consentono la comunicazione e la sintesi? Davvero non crediamo che possa esistere un futuro di miglioramento per tutti? Che pensiamo che ci sia sempre un altro cattivo da combattere piuttosto che un concittadino assieme a cui affrontare il futuro?

Che non viviamo un bel momento come paese è evidente. Ma la sensazione che lascia questo Sanremo è che la situazione sia anche peggio di come appare.

Andrea Bicocchi
Andrea Bicocchi
Imprenditore, editore de "Lo Schermo", volontario. Mi piace approfondire le cose e ho un'insana passione per tutto quello che è tecnologia e innovazione. Sono anche convinto che la comunità in cui viviamo abbia bisogno dell'impegno e del lavoro di tutti e di ciascuno. Il mio impegno nel lavoro, nel sociale e ne Lo Schermo, riflettono questa mia visione del mondo.

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8 Commenti

  1. Concordo su quasi tutta la linea.
    Considerando quanto emerso in merito alle ” inconciliabili distanze “che non consentono la comunicazione e la sintesi nel nostro Paese e alle forme di antagonismo territoriale , mi chiedo cosa accadrà quando sarà attuata la riforma dell’ autonomia differenziata .
    Al prossimo festival , quale cartina al tornasole, vedremo quali sentimenti e stati d’animo verranno fuori dalle canzoni presentate.

  2. Ma è proprio questa l’Italia, così come rappresentata dalle canzoni del festival?
    Non lo so; il festival non lo vedo da anni. Peraltro non so chi scelga le canzoni che poi il festival ed i suoi meccanismi tentano di portare alla ribalta.
    In pratica ricordo di quando, tantissimi decenni or sono, vi erano due festival in bianco e nero: quello della “canzone” italiana, e quello della “canzone” napoletana.
    Ricordo che, da bambino, quando chi non aveva ancora la Tv, all’epoca costosissima, si trasferiva dai vicini Tv dotati per vedere i due eventi eccezionali.
    Rammento che, in alcuni anni, le “canzoni” erano cantate da due diversi cantanti e, a volte, poi, anche stranieri.
    E che, poi, alcune, effettivamente, belle canzoni venivano acquistate in 45 giri da ascoltare con la valigetta giradischi.
    Poi scattò in me la passione per il jazz e la bossa nova.
    Mentre i festival, divenuti a colori ed ormai con meccanismi sempre più complicati di voto, con presentatori sempre meno pacati e asciutti nel loro presentare le canzoni, con ogni anno qualche evento o stravaganza particolare che, posso sbagliare, ma a mio parere mi sembravano forse esulare dal campo di scegliere quale fosse una bella canzone, mi sembrava forse somigliare più a un “circo” che a un concorso musicale.
    Se, poi, tale mutazione risponda alla rappresentazione di cui mi sembra il post si chieda se corrisponda o meno alla rappresentazione del Paese, non lo so; non vedendolo non potrei rispondere esattamente.
    D’altronde “sono solo canzonette” e, da decenni, le canzonette, senza offesa per nessuno, non mi interessano: amo il jazz e la bossa nova; soprattutto il jazz. Inoltre ho amato i Beatles, i Rolling Stones, i Pink Floyd, i Procol Harum, Janis Joplin, Patti Smith, Joni Mitchell…
    E se oggi, e non mi riferisco ai festival in particolare, per musica si intende quella che, per varie attività e, peraltro, in alcuni casi definite da alcuni, “eventi culturali” destinati all’onorevole scopo di attirare, con esosi biglietti, i giovani dalla strada onde evitare che facciano danno con mala movida, e se l’attuale musica, spesso consistente in un “bum bum bum bum ” e in brani costituiti, oltre al bum bum, bum, bum, da circa due accordi, quando non da uno e, spesso, senza neanche una melodia che tale possa considerarsi e, d’altronde, in alcuni casi inutile, dato gli strillacci stonati che pervengono nel mio appartamento – forse si tratta di esibizioni di inesperti karaokisti? -, oltre alla quasi inesistente armonia ed alla menzionata poco sofisticata ritmica bum bum bum bum, il tutto impunemente reiterato, in barba, forse, salvo deroga con permesso di poter recare disturbo alle occupazioni ed al riposo delle persone, all’art 659 CP?, perseguibile d’ufficio, a volte a partire dal pomeriggio per le prove e, a volte, fino all’una, alle due, fino alle quattro di notte con o senza permesso, allora, ripeto, se per musica, attualmente, in generale, si intende questo, allora,
    da musicista buon dilettante, devo affermare che, a parte il jazz e la bossa nova, a me la musica non piace, non interessa.
    Anche se ammetto che molte canzoni fino agli anni ’70 erano molto belle e mi piacevano.
    Però, dato che nei vari festival non si trasmette in genere né jazz, né bossa nova, allora io i festival non li guardo, dato che non mi interessano.
    Quello che, col massimo rispetto per gli eventi ed i loro organizzatori e partecipanti, posso dire in merito alla domanda se siano rappresentativi del nostro Paese è che, per quel poco visto e udito facendo zapping e ascoltando le polemiche o pezzi riportati dai notiziari, “spero di no”.
    La musica dovrebbe essere musica, non stravaganza per far colpo; e, se così fosse, ripeto che non lo so perché non guardo i festival, la cosa non mi piacerebbe al massimo.
    E rispondo, come diceva un genio e musicista:
    “La musica non ha bisogno di parole: parla da sola” (Miles Davis).
    E, forse, più che di parole, l’argomento, secondo me, merita riflessione; perché lo stesso musicista diceva:
    “La musica e la vita sono solo questioni di stile” (Miles Davis).

  3. Forse la musica è una cosa bella per condividere empaticamente sentimenti; quindi, forse, mi sembra avvilente fare una statistica di quale sia la più bella; forse il buon gusto e l’eleganza dovrebbero guidare con tatto a non stilare classifiche: affinché anche gli apparentemente meno dotati possano partecipare senza sentirsi umiliati o fraintesi.

  4. Gentile Mariacristina, credo che sia inutile prendersela con Sanremo. Non serve a niente contrastare a parole le manifestazioni di una certa “modernità’“. Se proprio non valutiamo Sanremo più di un fico secco (anche se oggi i fichi secchi sono piuttosto cari), se non crediamo affatto che li’ si celebri quanto ci sia di meglio nel nostro paese in generale od anche soltanto in materis di musica leggera e varietà, allora una via efficace di azione semmai ce la suggeriscono i trattoristi agricoli che sono riusciti a far fare molti passi indietro addirittura alle politiche europee “green” e di riduzione dei pesticidi che minacciano la nostra salute. L’anno prossimo prendiamo le nostre auto (non occorrono Ferrari o Maserati anche le Panda possono bastare) ed andiamo a sbarrare gli accessi all’Ariston. (Pronti, se del caso, a pagarci in proprio le riparazioni della carrozzeria.)

    • Gentile S. Mariti,
      ho capito ciò che vuole dire, ma la ritirata riduzione dei fitofarmaci chimici non la vedrei come una vittoria dato che, poi, questi fitofarmaci chimici non credo siano molto salutari per noi consumatori.
      Immagino che Lei sia d’accordo, comunque, che il ritiro dei fitofarmaci chimici sarebbe probabilmente un bene (meglio un raccolto minore ma più, probabilmente, salubre; meglio, perlomeno, per il consumatore) ma che Lei abbia solamente voluto citare il fatto come esempio.
      Per chi interessi, se lecito, riporto uno dei link, preso da internet, relativo alla vicenda del purin d’ortie (in pratica un liquido prodotto con ortica messa a bagno tot giorni e poi spruzzata sulle piante), fertilizzante e antiparassitario naturale:
      https://www.gerbeaud.com/actualite-jardin/autorisation-vente-purin-ortie-PNPP.php
      Nel contempo, nei ristoranti, perlomeno italiani, si continuava a mangiare senza problemi il risotto all’ortica. Ottimo quello da me mangiato in un ristorante di Roma.
      Giuseppe C.

        • Sicurissimo: avevo capito proprio l’umorismo che cortesemente mi specifica, e lo ho anche apprezzato.
          Addirittura avevo pensato,” scherzosamente” di fare lo stesso organizzandomi con altri per protestare con auto, scendendo in strada e suonando i clacson, come Lei scrive, al prossimo concerto “autorizzato come evento culturale”, a circa diecimila decibel (vado ad orecchio, potrei sbagliare) che, d’estate, mi fa tremare i muri e i travi portanti di casa, sia il pomeriggio per le prove, sia la sera fino a tarda notte; il tutto per mesi!
          Evidentemente l’art. 659 CP, disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, perseguibile d’ufficio, come da link che, se lecito allego, non è una legge ma una opinione?
          https://www.brocardi.it/notizie-giuridiche/reato-tutela-quiete-pubblica-procedibile-ufficio/2209.html
          Avevo solo, avvelenato come sono per una delle tante situazioni che dalla maggiore età mi aggrediscono e costringono a vivere in una società che, purtroppo, condivido sempre meno per la direzione in cui va, voluto “sfruttare” le sue cortesi e scherzose parole per aggiungere ai commenti qualcosa che mi rodeva; e mi spiace di averla, senza volere, coinvolta!
          Lo specifico pure, laddove scrivo:
          “… che Lei abbia solamente voluto citare il fatto come esempio…”.
          La saluto col massimo della mia simpatia che, nonostante l’avvelenamento generale costante che percepisco, tale simpatia, stranamente, invece di divenire acido, anche io riesco ancora in gran a parte a provare verso le persone, prendendo, come Lei. le cose con umorismo.
          Un caro saluto.

  5. Se mi è permesso di andare un po’ fuori topic e parlare dell’attuale panorama musicale (non di nicchia) e non relativo al festival che non vedo da anni, direi che noto una strana coincidenza, quasi fosse un gioco di parole, tra “musica da ballo” e “musica da sballo”, tra il jazz anni ’40 delle orchestre swing che, oltre a costituire un meraviglioso esempio di musica, musica ove erano tecnicamente ben conosciuti ed usati gli elementi costitutivi della stessa, armonia, melodia, ritmo, era musica, comunque, “da ballo”, ed un certo tipo di musica attuale.
    Oggi, ascoltando, spesso mio malgrado, musica, sforziamoci di considerarla tale, provenire di notte da “alcuni” locali, quelli al di fuori dei quali, poi, la mattina, si trovano tutto intorno bottiglie, lattine, bicchieri in plastica con cannucce, e quant’altro ex contenitore di alcoolici sia stato abbandonato sparso sulla strada, dopo che la movida, o mala movida (non so di preciso la terminologia per definire ove termini una e inizi l’altra) che mi ha tenuto sveglio fino alle quattro con musica “bum, bum, bum, bum…”, mi viene da pensare a musica “da sballo”.
    In ambo i casi, sia nel caso dello swing e, forse soprattutto, di quella elaborata successivamente allo swing, bebop, hard bop, cool jazz, sia nel caso di tale musica “bum, bum, bum, bum…”, anche essa usata per ballare, spesso si riscontra/va il fattore negativo dell’uso di sostanze, oltreché alcooliche, anche stupefacenti e, come detto, dell’uso della stessa per il ballo.
    Una differenza sostanziale mi sembra però di notare, a parte comuni evidenti fattori di malessere sociale probabilmente scatenanti, nelle due epoche, tale stato di cose:
    quando ciò accadeva all’epoca della musica jazz, NONSTANTE l’uso di tali sostanze, comunque nacquero geni musicali preparati che concepirono capolavori di tecnica e valore musicale incomparabili mentre, nell’attuale panorama, al purtroppo avvilente stato di abbandono di interessi che vadano – naturalmente si parla di casi, per fortuna, particolari e non generali, ristretti ad alcune limitate situazioni – al di là della mancanza di qualsiasi interesse oltreché quello di sballarsi, non mi sembra, posso sbagliare, accompagnarsi nessuna forma musicale artistica di minimo valore; solo: “bum, bum, bum, bum…”.
    Comunque, questione di gusti/o.

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