Porta Pia, 20 settembre 1870.

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Porta Pia, 20 settembre 1870.

Il processo di unificazione nazionale è ormai quasi terminato.

Manca la Capitale, Roma. Il sogno di Cavour… «La nostra stella, o Signori, ve lo dichiaro apertamente, è di fare che la città eterna, sulla quale 25 secoli hanno accumulato ogni genere di gloria, diventi la splendida capitale del Regno Italico.»

Il Re Vittorio Emanuele II invia il Luogotenente Generale Raffaele Cadorna con un “Corpo di Osservazione dell’Italia Centrale”, basato su 5 Divisioni, per provvedere in tal senso…

Per raccontare e ricordare questo evento “epocale”, da un punto di vista “militare”, ricorriamo alle immagini e cerchiamo di dare qualche informazione a completamento delle celebrazioni già in atto.

Le foto e le immagini riportano il senso di questa avventura italiana. Che cambia il corso della Storia.

La prima immagine è questa relativa alla “Breccia di Porta Pia”.

Perché non è vera. Anzi, non è veritiera.

Innanzitutto questa è vero che è Porta Pia, una delle porte delle Mura Aureliane di Roma che subì l’attacco dei Bersaglieri il 20 settembre 1870. Ma non è la “breccia”.

La porta viene aperta successivamente dall’interno dagli stessi bersaglieri che penetrano dalla vera breccia mura, non della porta, circa 80 metri più a valle. Il punto esatto di rottura delle mura, per effetto combinato di una grossa carica esplosiva posizionata dai genieri la notte precedente, e la successiva azione di martellamento delle artiglierie del Capitano Segrè, fu scelto in base alla minore sezione resistente; questo tratto di mura aureliane non era stato rinforzato per la precisa volontà, inconsapevole, dei proprietari della villa a ridosso, discendenti napoleonici che non gradivano il cantiere di lavoro. Niente di nuovo sotto il sole… e così quel tratto già debole di suo cedette nel corso della mattinata con la famosa “breccia”. Quella vera.

La polvere prodotta dalle cannonate impedì a tutti di vedere uno straccio bianco legato alla croce sul campanile lì vicino, in segno di resa. Era stato frettolosamente issato su ordine diretto del Gen. Klanzer (invero piuttosto riottoso ad arrendersi…) per imposizione diretta del Papa che non voleva un inutile bagno di sangue; i soldati zuavi pontifici e i bersaglieri italiani però ignari, (non esistevano né telefonini né radio nel 1870), continuarono a spararsi addosso per un po’. Nell’attacco alla vera breccia perirono in combattimento tra gli altri,  il Magg. Giacomo Pagliari e 4 bersaglieri, morti assolutamente inutili e ingiuste. Quindi un tenente zuavo arrivò sulla scena con una grande bandierone bianco e tutti allora capirono. La resa, di fatto, era stata chiesta e accettata.

Torniamo alla foto. Se si guarda con attenzione si vede chiaramente la posa “rigida” e uguale dei bersaglieri. Anche il soldato caduto è innaturale. Perché la foto è stata ricostruita successivamente, a scopo propagandistico. Il fotografo Gioacchino Altobelli, un romano già noto come fotografo piuttosto eclettico, munito di permesso scritto, si recò il giorno successivo a scattarla; scelse volutamente l’immagine del grande portone aperto con le cannonate ben visibili (ve ne sono ancora oggi alcune!). Era più evocativa. E fece mettere i soldati in posa. Si vedono benissimo. Poi modificò successivamente la foto originale, ingrandendo i fori delle cannonate, e siccome i soldati parevano pochi, vi aggiunse dei soldatini direttamene sulla foto! Rifotografandola. Una operazione di guerra psicologica, oggi diremmo “Psyops”.

La foto veniva regalata in omaggio ad un giornale a scopo propagandistico, commissionato dal Gen. Cadorna comandante della spedizione romana. Della serie:” tutto fa brodo”!

Carlo Ademollo “ La breccia di Porta Pia” del 1880.

Qui si vede bene la vera “breccia” più a sud della grande porta che si intravede sullo sfondo ancora chiusa. Il quadro rivela altri interessanti particolari.

Innanzitutto la prorompente carica dei Bersaglieri, tutti inclinati in avanti nella corsa. I bersaglieri erano nati per volontà del capitano Alessandro La Marmora, padre fondatore del Corpo. Come suggerisce la parola, “bersaglieri” …da bersaglio, si tratta di soldati bravi a sparare, a centrare il bersaglio. È una Specialità che si stacca dalla massa dell’esercito per l‘alta valenza fisica, sono robustissimi, veloci nella corsa, e bravi tiratori. Le prime truppe speciali dell’epoca. Dovevano agire con rapidissimi cambi di schieramento per scompaginare il nemico. Per loro fu realizzata e adottata una speciale carabina Mod. 1867 realizzata dal grande progettista Carcano. Che poi sparasse anche bene è un altro discorso. Memorabile fu la risposta che dette il capotecnico Salvatore Carcano, dopo la trasformazione e rielaborazione dei vecchi moschetti ad avancarica, al Generale italiano che gli rimproverava la scarsa precisione nelle prove di collaudo: “Scusate Signor Generale… e per 10 lire, rispetto alle 500 lire del capitolato, pretendevaTe anche che tirasse dritto?”…

Risposta del vecchio generale collaudatore: “… si tratta di piccolezze trascurabili, non è il caso di darsene pena, e poi se veramente si vuol colpire con sicurezza, c’è sempre la baionetta, quella l’avrete lasciata, spero…”

Vabbè, storie di una Italia piccola… come lo scarponcello unico che si vede nel quadro, appeso allo zaino da combattimento del bersagliere in primo piano in basso. Uno solo. Chiodato. Forma unica destra/sinistra. In maniera da poter cambiare la scarpa eventualmente rotta e continuare la marcia! Questa tecnica di fornire tre scarpe uguali come forma, era di napoleonica tradizione; ma in effetti era esattamente derivata dalle “caligae” romane. Bonaparte scansati, noi italiani eravamo avanti nel futuro già dall’antica Roma!

Interessante è anche lo zainetto da combattimento, che contiene “provvigioni da bocca” per tre giorni, tra le quali la pagnotta detta appunto “munizione”, del peso di 750 gr.; la razione giornaliera di pane.

Completavano l’attrezzatura una fiaschetta di legno di frassino, detta “Guglielminetti” contenente la “posca”, una miscela di acqua e poche gocce di aceto, in funzione dissetante e antiputrescente a contatto con il legno. Inoltre portavano una sacca di tela come copertura di circostanza che poteva fungere da sacco da notte o materasso se riempito di paglione; sul lato destro dello zainetto c’era un apposito sportellino che consentiva di prendere le cartucce con la sola mano senza toglierlo dalla spalla.

Il quadro di Ademollo non è troppo conosciuto, ma è comunque bellissimo; esso mostra effettivamente la gran confusione, la visibilità ridottissima, e l’impeto dei bersaglieri che trafilano nella breccia irrompendo nella Città di Roma. Il ferito in centro immagine, raccolto tra le braccia dei bersaglieri è il Magg. Pagliaro che cadde colpito proprio sulla breccia.

“Morte del Maggiore Giacomo Pagliari presso la Porta Pia”, Vizzotto Alberti, 1892

Questo dipinto mostra ancora meglio la scena del ferimento a morte del Magg. Giacomo Pagliari mentre indica con la mano la direzione di attacco! Una mano sconosciuta invece gli tagliò successivamente, per ricordo, una ciocca di capelli.

I due quadri che rappresentano la forzatura della breccia sono fortemente suggestivi, anche se apparentemente piuttosto confusi. Proprio come una vera guerra.

Il terzo quadro da analizzare è il celebre e stupendo quadro di Michele Cammarano, dipinto l’anno successivo, e oggi esposto al museo di Capodimonte (Na). È bellissimo. Sembra una fotografia!

“Bersaglieri alla presa di porta Pia” , 1871  Michele Cammarano.

La rappresentazione frontale narra la scena della prorompente carica a passo di corsa dei bersaglieri agli ordini del Magg. Pagliari, che trafilano attraverso la breccia. Il sole e la luce illuminano la scena che effettivamente avviene mentre avanzano rivolti verso est, alle prime luci del mattino. Cammarano si autoritrae in primo piano con il fez rosso al posto del cappello piumato. Accanto a lui a sinistra, c’è un trombettiere, Giuseppe Tumino, che cade in avanti colpito dal fuoco pontificio; dietro è ritratto un altro trombettiere che continua a suonare la carica: è il Bersagliere Niccolo’ Scattoli, trombettiere del 34° Battaglione. Un trovatello senese senza nome, ribattezzato appunto “Scattoli” perché fu lasciato dalla madre fuori da un convento a Siena, dentro una scatola…è uno dei primi bersaglieri che effettivamente varcano la breccia a Porta Pia a Roma il 20 settembre 1870, ed è vicino al Maggiore Pagliari quando è colpito. Cerca anche di soccorrerlo. La sua tromba che suona continuamente “la carica” sotto fuoco, fu determinante per mantenere la spinta offensiva in avanti dei bersaglieri! Lo Scattoli poco dopo la carica, verrà gravemente colpito alla gamba sinistra; poche ore dopo gli verrà amputata. Era già un veterano della Battaglia di Custoza del 1866, nella quale, pur ferito ad una mano, riuscì a portare in salvo un suo commilitone. Pluridecorato al Valor Militare, conosciuto da tutti, dopo la guerra fu assunto subito con un grosso appannaggio dalla famiglia Reale, con l’incarico di “archivista”. Toscanaccio verace, era simpaticissimo e apprezzato per i piccoli episodi scherzosi che faceva; si narra che una mattina mentre era intento a consumare la colazione nelle cucine del palazzo reale, vide passare di spalle una bella e prosperosa signora; lo Scattoli non perse l’occasione e gli allungò un potente e benevolo sculacciotto sul “panettone posteriore”.

La Regina morganatica Rosa Vercellana, “la Bela Rosin”, si voltò e sorridendo all’imbarazzatissimo Scattoli disse: “Ah siete voi Scattoli? Fate, fate pure!” Si vede c’era abituata.

Nel 1928 lo Scattoli parteciperà alla visita di Mussolini a Roma. Morirà nel 1935 ultranovantenne.

Microstorie della Storia. Come l’artiglieria italiana che deve sparare al mattino presto nel punto esatto delle Mura, indebolite nella notte da una mina esplosiva esterna posizionata di nascosto dai genieri (sempre loro, per primi…!).

Il Papa Pio IX aveva preventivamente “scomunicato” il soldato che avesse sparato il primo colpo verso la “Citta Eterna”.

Nella foto la Porta Pia, la vera breccia più a sud, e la villa napoleonica sul retro, con i fori delle cannonate su tutte le mura.

La 5° batteria “Segrè” del IX Reggimento Artiglieria era posizionata nei giardini di Villa Albani prospicente le mura. La comandava un ebreo che se ne impippava allegramente della scomunica; alle 5:15 come da ordini, il Capitano Giacomo Segrè aprì un preciso fuoco di soppressione delle vecchie postazioni di artiglieria pontificie colpendole rapidamente! Mi onora il fatto che il mio padrino portasse lo stesso cognome!

Il pezzo di artiglieria italiana chiamato “Liscate”, da 12 cm. B.R. al comando del Cap. Segrè, che aprì il fuoco sulle mura la mattina del 20 settembre 1870

Dopo il fuoco di controbatteria, Segrè cominciò a colpire le mura nel punto prescelto, con un fuoco ripetuto e costante. Martellante. Ebbe ragione delle mura verso le 9:20 e il varco realizzato permise quindi la carica dei bersaglieri, invero un pò disordinata a causa anche della resistenza pontificia; ma alla fine i bersaglieri italiani entrarono e dilagarono per la città, occupandola! Furono sparati dai cannoni circa 880 proietti, alcuni ancora oggi visibili e piantati nelle mura. Nel punto esatto della rottura è stato eretto un monumento commemorativo disegnato da Carlo Aureli e realizzato da Giuseppe Guastalla.

Chiudiamo questa breve carrellata in onore e ricordo del 20 settembre 1870, con la visione dell’ultimo quadro, sempre del Cammarano. 

“I bersaglieri (il 19 settembre 1870).” Michele Cammarano

In questo bellissimo quadro il Cammarano rappresenta uno dei momenti più importanti della vita del soldato: l’attesa dell’attacco! Si vede nella luce ormai tenue della sera, un accampamento di bersaglieri lungo la Nomentana, e sullo sfondo in secondo piano, ma visibilissimo, l’obiettivo strategico: “La santità der Cuppolone”!

Non c’è necessità di dire altro, il quadro racconta tutto. L’atmosfera dell’accampamento, i soldati stanchi che scherzano tra di loro nell’attesa; uno fuma la pipa, il fascio d’armi con i fucili appoggiati e gli zaini sotto, le trombe in primo piano per guidare le fasi della carica, il bivacco, gli Ufficiali con la sciarpa azzurra che discutono la preparazione; uno indica con la mano Roma. “Domattina all’alba attaccheremo!”

Qui a Lucca, invero, una forte adesione alla Spedizione non si vide assolutamente… La città murata aveva 144 chiese al suo interno, e la forte vocazione cattolica dei lucchesi si fece ben sentire, in retromarcia; anzi, un nobile lucchese parteciperà invece alla difesa papalina.

Toccherà alla Garfagnana e in particolare a Barga, come ci racconta il Prof. Umberto Sereni nel suo bel libro “Per ltalia giusta. Uomini, vicende e memoria del Risorgimento nella Valle del Serchio” a riequilibrare la situazione. Il “Figurinaio” riporta infatti che: “…Ci dicono che Barga il XX Settembre salvò l’onore e il nome delle tradizioni liberali della nostra provincia, e più specialmente di Lucca, legata mani e piedi ai clericali. La montagna fa scuola di liberalismo alla città. I montanari della valle del Serchio, danno lezioni di patriottismo al paese che il Fillungo parte e la Cunetta circonda”.

Viva l’Italia.

Vittorio Lino Biondi

Vittorio Lino Biondi
Vittorio Lino Biondi
Sono un Colonnello dell'Esercito Italiano, in Riserva: ho prestato servizio nella Brigata Paracadutisti Folgore e presso il Comando Forze Speciali dell'Esercito. Ho partecipato a varie missioni: Libano, Irak, Somalia, Bosnia, Kosovo Albania Afganistan. Sono infine un cultore di Storia Militare.

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