È una finanziaria di destra o di sinistra?

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La prima finanziaria a firma Meloni è stata rilasciata circa un mese fa. Come sempre, in parte è ancora da scoprire perché la mancanza di decreti attuativi e altri adempimenti ne frena alcune previsioni, ne impedisce il consolidamento di altre, lascia ancora delle sfumature da definire. Ma, nel suo insieme, è chiara.

E questa è la finanziaria che il centrosinistra avrebbe voluto/dovuto fare da tempo.

No, non mi sono sbagliato: volevo dire proprio centrosinistra.

Sposta una quota significativa della spesa su ceti meno abbienti o poveri. Il taglio delle tasse sull’IRPEF è solo per i redditi bassi visto che poi si controbilancia con la riduzione delle deduzioni fisali che ne annulla i benefici agli alti redditi. Il taglio del cuneo fiscale è pure limitato sui redditi. Ci sono poi gli interventi a sostegno delle famiglie con il potenziamento degli strumenti già presenti che, merita sottolinearlo, fanno leva sull’ISEE e quindi sono fortemente “progressivi” ossia sostengono prevalentemente (o quasi esclusivamente) i redditi inferiori.

Infine c’è l’aumento di spesa per sanità e pensioni. Se questi sono interventi sociali o meno è lasciato alla libera interpretazione di ciascun lettore.

Per le imprese?

Una riduzione di supporto: il saldo netto tra nuovi incentivi e tagli è negativo.

Parte consistente di questa spesa è fatta in deficit. Il che significa che si spera che il sistema cresca altrimenti accumuliamo debiti. Se la crescita arriva significa che la medicina funziona e si può rendere stabile quello che, per ora, è provvisorio. Se non funziona, cioè se la crescita non arriva, al prossimo turno ci sarà un problema in più da gestire.

E allora una riflessione: è davvero opportuno che “la destra” faccia “la sinistra”?

La domanda è in realtà mal posta. E lo è perché il concetto di “destra” è mal posto. Con questo termine si indica quasi qualunque cosa: dal fascismo/nazismo (parenti stretti dei comunisti) ai populismi vari e giù per le rime fino ai liberisti e liberali. Un mondo vasto ed eterogeneo che talvolta si è in parte alleato e spesso si è combattuto. E che in parte si è anche alleato con la sinistra.

In effetti il termine di destra in questo paese non ha mai avuto una buona stampa e si è sempre riservato agli “altri”: come offesa, maglio, “lettera scarlatta”. È il termine, tipicamente declinato al plurale, “le destre”, con cui voler insultare il rivale politico di turno da parte di chi si sente orgogliosamente di sinistra. Con cui cercare di sbarrargli moralmente il passo verso il governo in nome di un passato delittuoso che non può e non deve tornare.

Ma in effetti “destra”, oggi, non è una definizione di una linea politica. E la destra meloniana è qualcosa di profondamente diverso da quella che, almeno inizialmente, era la destra di Forza Italia.

Il punto è che la destra meloniana è una destra sociale. Nel senso più letterale del termine: una destra che ha come stella polare i ceti deboli e le periferie (da cui la stessa premier proviene) mentre non ha una cultura economica significativa.

E qui sta il problema. Perché c’è da chiedersi se sia funzionale un paese in cui tutte le forze politiche principali siano orientate allo stesso obiettivo economico. In cui la contrapposizione tra le due ali del parlamento sia solo su temi etici ma non sulla ricetta economica.

In generale non esiste una sola soluzione ad un problema di crescita soprattutto in economia. Peggio ancora, non esiste una “teoria” completa dell’economia che dia certezze su cosa si possa fare conseguire quella crescita economica che, invece, è il necessario ingrediente di stabilizzazione delle nostre società.

Quello che sappiamo è che ci serve di potenziare la produzione e aumentare la creazione di ricchezza. E anche di agire in ottica di redistribuzione per far sì che la ricchezza venga poi ridiffusa perché i soggetti abili alla creazione della ricchezza tendono per natura a trattenerla.

Quello che non sappiamo è come ottimizzare questi due interventi; e quindi è necessario che ci siano alternanza tra fasi di maggior spinta in una direzione o nell’altra. Per questo è opportuno che ci sia alternanza tra linee diverse: una linea liberale che spinga e sostenga chi produce ricchezza e una linea redistributiva che cerchi di diffondere la ricchezza prodotta anche a chi, per vari motivi, resta a margine dei vantaggi creati.

La redistribuzione può essere nella forma dei fondi pubblici dati ai meno abbienti (è il caso di sussidi e bonus) ma anche di spostamento del prelievo sui ceti più abbienti (è il caso della riduzione delle tesse ai ceti più deboli).

L’aumento della ricchezza si fa dando vantaggi e sostegni a chi produce, indifferenti al fatto che sia ricco o povero.

Sotto questo punto di vista il governo Meloni si è inscritto con decisione sotto le insegne dei redistributivi.

Ma se tutti si orientano alla redistribuzione il sistema è davvero più giusto?

Andrea Bicocchi
Andrea Bicocchi
Imprenditore, editore de "Lo Schermo", volontario. Mi piace approfondire le cose e ho un'insana passione per tutto quello che è tecnologia e innovazione. Sono anche convinto che la comunità in cui viviamo abbia bisogno dell'impegno e del lavoro di tutti e di ciascuno. Il mio impegno nel lavoro, nel sociale e ne Lo Schermo, riflettono questa mia visione del mondo.

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8 Commenti

  1. Bella la sua domanda finale, ma ormai la nostra società è impregnata dal mantra della redistribuzione della ricchezza, frutto della cultura cattocomunista tuttora dominante, molto diversa dall’etica protestante così come descritta da Max Veber nel suo “Religione e Società”. C’è poi da aggiungere che quando si parla di coloro che hanno redditi bassi si dovrebbe dire coloro che dichiarano redditi bassi. Non è la stessa cosa.
    massimo di grazia

    • E’ vero: bella la domanda finale.
      Io risponderei: redistribuire il lavoro, non la ricchezza da questo riveniente.
      Lavorare meno , lavorare tutti; mi accontenterei anche di “lavorare tutti”.

    • Eh sì, occorre tenere concettualmente distinte la distribuzione della ricchezza da quella del reddito annuale e poi dalla distribuzione del carico fiscale che sono cose diverse anche se, in quanto strettamente connesse, hanno un effetto complessivo sui singoli cittadini e sulle risorse di uno Stato. Ricchezza e reddito naturalmente sono espressioni diverse di uno stesso fenomeno essendo la prima l’accumularsi del secondo nel tempo. Da ciò
      i rischi delle “patrimoniali”. Inoltre questo accumulo è favorito efficientemente dal punto di vista di una economia nazionale od invece distorto dalle normative fiscali e tributarie e, da ultimo ma non per ultimo, dalla evasione fiscale. Farraginose e sovrapponentesi le prime e molto vasta e radicata la seconda (si parla di una cifra dell’ordine di 80-100 mld annui di euro che, per avere un’idea, da sola coprirebbe l’intera spesa per pagare gli interessi sul debito pubblico anche in prospettiva). Insomma un bel groviglio che la sinistra di ieri non ha districato e la destra di oggi non sembra indirizzata a fare. Certamente (e comprensibilmente) non con la recente manovra finanziaria, ma piuttosto con talune proposte come, ad esempio, il concordato preventivo fiscale con l’Agenzia delle Entrate.

  2. Direi che, come da molti anni accade, anche come fatto da precedenti Governi, la rivalutazione al 100%, salvo errori diritto, da molto tempo, quindi, diritto “rinviato”, delle pensioni oltre un certo importo non è stata effettuata al 100%.
    Questa non completa rivalutazione al 100% di alcune pensioni che ne avrebbero diritto, salvo deroghe da anni succedutesi per legge, mi sembra, posso sbagliare, somigliare all’ennesima patrimoniale su chi abbia pensioni, peraltro, secondo me, ritassate; ritassate in quanto rivenienti da versamenti prelevati alla fonte su stipendi percepiti sui quali già erano state pagate le imposte (mi si scusi l’eventuale confusione dei termini tasse e imposte, così chiamate per praticità): a mio parere le imposte sulle pensioni dovrebbero, quindi, per quanto esposto, essere “zero” euro,
    Se, poi, le rivalutazioni delle pensioni non sono, oltre un certo importo, come da anni, salvo errori accade, neanche effettuate al 100%, a me, fare ciò, sembra somigliare a una patrimoniale.

    Fare ciò non mi sembra neanche somigliare a “redistribuire”: in quanto fino ad un certo importo, le pensioni, da molti anni, sono rivalutate al 100%, come da diritto, salvo errori; mentre, da tempo, oltre tale importo non lo sono. Dove è la redistribuzione?: alcuni hanno avuto il loro diritto soddisfatto, e non una “redistribuzione”, altri hanno visto “leso” il proprio diritto alla rivalutazione al 100%.
    Salvo errori di cui ,eventualmente, mi scuso in anticipo.

    D’accordo per la costituzionalità della imposizione Irpef progressiva, come già accade in Italia (e non proporzionale); ma, allora, non sarebbe bene rivedere in aumento tale progressività sull’Irpef e, poi, evitare le tante “simil patrimoniali” esistenti, dopo tale aumento?
    Se io ho già pagato il dovuto su reddito perché, poi, a seconda di quanto rimanga dopo aver pagato il dovuto, e a seconda di come io lo spenda o risparmi, mi si ritassa di nuovo con eventuali patrimoniali? Indipendentemente dal mio reddito, se ho già pagato su questo, perché, poi, ripagare per redistribuire ai poveri?

    Poveri che, secondo la Costituzione, non dovrebbero esistere, come da diritto sancito al lavoro e, sempre come da Costituzione, diritto a un lavoro dignitoso; perché redistribuire imponendo eventuali patrimoniali su quanto rimanga dopo che si abbia già pagato il dovuto sul reddito, invece di creare, scopo forse anche della politica, opportunità di lavoro dignitoso, a tempo indeterminato e con tutte le garanzie contrattuali previste per essere dignitoso?: la “normalità”, insomma, come era quella dei lavoratori della mia generazione.

    Se ci fossero occasioni di lavoro dignitoso (e, di tale lavoro, ce ne sarebbe tanto bisogno, a vedere quanti, giovani e non solo, si trasferiscono all’estero; e a vedere in che stato versi il SSN cui io avrei destinato il 90% del PNRR) e, se pagare sul reddito non bastasse, allora, invece di ventilare patrimoniali e prelievi da chi più abbia, e lecitamente, guadagnato e già tassato, la domanda, anche da persone come me di sinistra, potrebbe essere: “che senso ha continuare con una “simil elemosina di Stato” ai poveri, invece di fare politiche atte affinché tutti siano autosufficienti con un “loro” lavoro garantito e decoroso come da Costituzione? Che senso ha continuare a proporre patrimoniali, “simil elemosine legalizzate” (anche se esistenti in altri Paesi considerati più evoluti), invece di rendere autosufficienti col lavoro, e non poveri, coloro che lo sono?

    E, mentre mi chiedo perché nonostante già, di fatto, chi più percepisca di reddito più paghi di imposte, come mai i soldi prelevati, sia per il SSN, sia per la Previdenza e quant’altro giustamente attenga allo stato sociale, non sembrano mai bastare?
    Tanto che, a volte, ho l’impressione, posso sbagliare, di vivere in una continua emergenza che si trascina da decenni.
    Come legittimo formalmente da Costituzione, se pagare sul reddito con la progressività attualmente prevista non basti, si alzi ancora di più la progressività delle imposte per sopperire allo scopo “redistribuire ai poveri”; si abbia il coraggio di far vedere al resto del mondo a che livello arrivi la nostra tassazione sul reddito: può darsi che sia giusta anche più progressiva.
    Io preferirei che tutti fossero autosufficienti per aver ottenuto come cosa normale il diritto al lavoro, ed al lavoro dignitoso, come sancito, salvo errori, dalla Costituzione; rimanendo chiaro che, per i casi di, purtroppo, inabilità al lavoro, sia, come mi sembra lo sia, esistente ed operativa la assistenza che, magari finanzierei maggiormente.
    Però sarebbe bene che tale assistenza fosse pagata con la fiscalità generale e non, come mi sembra spesso accada, peggiorando i diritti contrattuali rispetto alle pensioni, od al SSN, pagati dai lavoratori dipendenti: a questo scopo creerei l’INAS, Istituto Nazionale Assistenza Sociale, onde evitare che a volte si paghi l’assistenza tramite i soli lavoratori dipendenti con l’INPS, Istituto Nazionale Previdenza Sociale.

    • Preciso, per quanto possa interessare che, per “patrimoniale” intendo anche le imposte, eventuali, ventilate sulle successioni.
      Ho ascoltato in Tv stimabilissimi ed esimi esperti economisti, distinguere tra eventuale discutibile patrimoniale e, invece, giustezza di alzare (o mettere; sinceramente non so se attualmente sia in vigore) una imposta sulle successioni (motivo: in alcuni altri Paesi esiste; e, allora, se esiste in altri Paesi questo significa che ciò sia giusto? Gli altri Paesi non possono anche sbagliare? Io argomenterei nel merito, invece di esternare se in altri Paesi una cosa esista o meno).
      Secondo me una eventuale imposta sulle successioni è una ingiustificata patrimoniale in quanto il defunto, se la provenienza dei beni oggetto del testamento o, comunque, dei beni lasciati, è lecita, e se su questa il defunto ha pagato le imposte dovute, e se scritto o, comunque sottinteso non essendoci nessuno scritto testimoniante una volontà contraria che, come generalmente logico, abbia acquisito il patrimonio e i suoi risparmi anche nell’interesse dei suoi familiari, rimane logico che il derivato dal suo lavoro, se lecito e tassato, era destinato al benessere suo e della sua famiglia; quindi perché si dovrebbe, alla sua morte, ripagare di nuovo imposte per la destinazione, come da sua logica volontà, dei beni lasciati al benessere dei suoi familiari rimasti in vita?
      Come si può pensare che, alla morte di una persona, i suoi averi non abbiano come destinazione logica coloro ai quali erano, anche eventualmente come successione destinati, ai suoi cari e diventino non più suo/loro, ma dovrebbero essere destinati ad essere tassati prima che i suoi familiari possano accedervi?
      Patrimoniale, secondo me assurda, e assurda, secondo me, la distinzione tra patrimoniale su beni propri e patrimoniale sulla successione; ed ho tentato di argomentare perché non vedo differenza tra patrimoniale per i vivi e patrimoniale tra morti e familiari vivi.
      Insomma, per farla breve: se io desidero destinare in regalo i miei leciti, e già tassati beni ai miei cari, potrò o no farlo senza che costoro debbano ripagare, per me inspiegabilmente, quanto già da me pagato e dovuto? Invece di comprare qualcos’altro, posso risparmiare e regalare il lecito rimanente, dopo la tassazione, del mio lavoro, ai miei cari senza che ripaghino le imposte già da me pagate? Mi riferisco ad uno Stato di diritto.

  3. Certamente chi evade non è il lavoratore dipendente o il pensionato regolarmente remunerato e tracciato, che paga le imposte e le tasse alla fonte; altra cosa potrebbe essere, eventualmente accadesse, per chi lavori in nero o lavori evadendo le imposte del tutto: non essendo tali redditi tassati alla fonte, qualcuno, eventualmente, potrebbe pensare che tanto vale tentare; ma, finché non comprovato, mi sembrano un po’ tutte e solo illazioni. Anzi, trovo scandaloso che si debba scomodare il presunto evasore a perdere tempo e, a volte, denaro, per dimostrare la sua innocenza, peraltro cosa difficile dimostrare ciò “che non si è fatto”, anziché provare la sua colpevolezza.
    Ma, finché ci si diverte con le lotterie varie e degli scontrini per scovare chi paghi cappuccino e cornetto in nero, anziché scovare eventuali evasori per milioni, o addirittura miliardi, di euro col colletto, forse, bianco…
    Intanto, io, che insisto a pagare in contanti i miei tracciatissimi soldi rivenienti da tracciatissima pensione, non posso più scalare dal 730 le spese mediche private, peraltro costretto a farle da privati per non attendere mesi, dopo aver pagato per trentacinque anni il SSN, se insisto per principio a volerle pagare in contanti fino al tetto previsto per legge (poi con assegni bancari), nonostante queste spese sanitarie siano tracciatissime da fattura regolare, trasmessa in copia all’Agenzia delle Entrate, immagino, come accadeva prima della “caccia ai cappuccini e cornetti” quando, giustamente, essendo tracciate, tali spese medico sanitarie si potevano scalare dal 730 pur se pagate in contanti, dato che erano tracciate da regolari fatture su cui si pagavano le imposte.
    Ma un principio della libertà di fare, lecitamente, quel che si vuole del proprio denaro tracciato, coniato non da malfattori ma da regolari Banca d’Italia e/o BCE, val bene una detrazione negata.
    Per la cronaca: sono anni che non mi capiti un barista, o un negoziante, che non mi faccia regolare scontrino; non so dove abitino coloro che dicono di non riceverlo… o che facciano documentari ove, eventualmente, “nessuno” lo rilasci!

  4. Dimenticavo, nel mio precedente commento, di dire che, probabilmente, tali “premi e cotillon di varie lotterie per scontrini” di chi paghi con carte di credito invece che, lecitamente nel tetto previsto per legge, in contanti, andranno poi a carico dei contribuenti, compresi coloro che, come me, non vorranno usufruirne o, comunque, non ne usufruiranno.
    Quindi, io, contribuente, dovrò pagare per dare premi a chi abbia gusti, nell’ambito del lecito, di pagamento diverso dai miei.
    Viva la democrazia, naturalmente.
    Non mi piace molto, l’impressione che ho, posso sbagliare e, eventualmente, mi scuso, che sembrino da molti, considerati, tutti coloro che paghino, lecitamente, nel tetto previsto per legge, in contanti, quasi alla stregua di evasori?
    Ma se io trovo più comodo e sicuro un metodo di pagamenti legale, nel rispetto del tetto al contante, rispetto ad altri metodi, sarò libero di farlo senza dover come contribuente “pagare” per dare premi a chi abbia gusti di pagamento diversi dai miei?
    E sarò libero di detrarre dal 730 visite eseguite presso studi medici privati (onde non attendere mesi per il SSN da me sovvenzionato in 35 anni di lavoro) anche se pago in contanti nel tetto previsto per legge, e la fattura rilasciata dimostra chiara tracciabilità del pagamento dell’IVA? In questo caso no, o pago con carte, bonifico, assegno bancario, oppure no, nn posso detrarre la spesa per visita medica.
    “Continuiamo a farci del male…”; e a pagare le campagne.
    Viva la democrazia, naturalmente.

  5. Sono d’accordo col prof :Mariti.,oggi parlare di destra e di sinistra non ha più senso.é necessario vedere chi è in grado di fare per il bene del paese e chi no.
    Si prenda esempio dal comune di Lucca,c’è che è rimasto alla guida per 10 anni e non ha fatto niente e c’è chi da pocoal governo della città staf facendo o proponendo di fare cose che saranno fondamentali per far si che lucca cambi volto positivamente.

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