A proposito di globalizzazione

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Abbiamo visto che la crisi di Taiwan, assieme alla crisi in Ucraina, stanno cambiando il modo di vedere le cose sul tema della globalizzazione.

Vorrei tornare su questo tema per fare qualche considerazione in più.

La globalizzazione fino ad oggi

Negli anni la globalizzazione ha avuto molti detrattori e critici. Il tema ricorrente era che l’occidente sfruttasse le economie povere per razziare il lavoro a basso costo e arricchirsi su di loro. Nel tempo la critica era anche virata anche sulle razzie ambientali – la possibilità di produrre senza rispettare vincoli ecologici e senza doverne conseguentemente sopportare i costi.

Queste critiche non erano infondate ma la realtà è più complessa.

È un fatto che la globalizzazione è stato lo strumento di redenzione di milioni (miliardi?) di persone che vivono nei paesi poveri. In alcuni di essi, almeno.

La globalizzazione della produzione ha infatti realizzato uno strumento tramite il quale è stato materialmente possibile coinvolgere paesi poveri nel gioco economico. E questo coinvolgimento ha creato la crescita di questi paesi. Questa crescita ha creato ricchezze che hanno liberato dalla povertà interi popoli. Non nego certo che questo processo abbia avuto delle criticità (anche molto importanti) anche e soprattutto in temi di dignità delle persone (e in particolare di bambini). Ma è stato praticamente l’unico e largamente il più efficace strumento di innalzamento delle masse dalla povertà che sia mai stato attuato in tutti i tempi.

Il problema è che questo coinvolgimento necessita di un governo locale stabile e capace di fare e attuare programmi lunghi. E solo una piccola parte dei paesi poveri ha avuto questa caratteristica. Quindi gli altri sono rimasti fuori e restano poveri.

Questa stabilità è praticamente assente in tutta l’Africa. È assente anche in gran parte del mondo arabo (con poche significative eccezioni). Ed è a macchia di leopardo nell’Almerica Latina.

Ma dove è stata presente (i casi di Cina e India sono emblematici), ha consentito uno sviluppo enorme.

Fin qui le buone notizie.

L’assioma del benessere

Le cattive sono che l’occidente ha fatto una scommessa e l’ha persa.

Quello che ha fallito è l’assioma su cui si basava tutta la politica estera occidentale negli ultimi 30 anni (e quella tedesca in particolare): «coinvolgiamo le nazioni nel progresso economico e il benessere ottenuto le costringerà a “comportarsi bene”». È fallita l’idea che esportando il benessere avremmo esportato la democrazia che ne è il necessario complemento. Era questo l’assioma del benessere.

Non ci siamo quindi troppo preoccupati se questi paesi avessero dei sistemi politici orientati alla pacifica crescita globale. Né che fossero compatibili con noi.

Abbiamo dato per scontato che una popolazione che “assaggia” il benessere non vorrà tornare indietro. Abbiamo cioè pensato che il principio democratico (è il popolo che comanda) dovesse valere anche per loro. E così non è.

Quello che sta succedendo è che stiamo riscuotendo i frutti malvagi di una globalizzazione che è stata condotta in un modo fideistico credendo in un assioma non verificato.

Vista la scarsità di paesi che potessero garantire continuità agli investimenti e un progetto politico di sviluppo economico, si è scommesso su quello che c’era, senza farsi domande e accontentandosi delle garanzie di breve periodo. E sperando nell’assioma del benessere.

Siamo così diventati dipendenti da paesi non pacifici e non amici se non apertamente ostili. Quindi la nostra sicurezza economica oggi è legata al capriccio di potenti che non cercano necessariamente un benessere generalizzato dei propri paesi.

La fine dell’età dell’innocenza

Ora la globalizzazione lascerà inevitabilmente il posto ad una contrapposizione mondiale tra blocchi: le democrazie da una parte e le non-democrazie dall’altra. Non potremo certo tornare ad una età dell’innocenza pensando che la Cina non sarà imperialista, che la Russia non sarà espansionista e che l’assioma del benessere funzioni davvero. Il nostro tempo naïve è finito per sempre.

Oggi sappiamo che le superpotenze della non-democrazia sono pericolose e sono aggressive. Che non rispettano il fair play internazionale. Che non hanno tabù o comportamenti proibiti.

E, soprattutto, che non temono di perdere una parte, anche significativa, del proprio benessere.

La globalizzazione che abbiamo portato avanti, priva di un filtro di valori condivisi e solo economica, ha portato quei paesi a un rapido sviluppo, non solo economico e sociale, ma soprattutto di competenze. Perché oggi quelle nazioni sono diventate strategiche soprattutto per una popolazione di “esperti” (decine di migliaia di persone) che non si possono trovare facilmente neppure da noi in occidente.

Il problema è che le competenze saranno difficili da sostituire. Richiedono decenni di formazione e un sistema scolastico a vari gradi.

E, al tempo stesso, dobbiamo renderci conto che non possiamo non sostituirle. Che non possiamo essere così esposti ai capricci di oligarchi e oligarchie.

Ora si apre un nuovo capitolo. Tutte le grandi nazioni e federazioni (con queste includendo anche la comunità europea) hanno avviato programmi di reinsediamento di produzioni strategiche in occidente. E il percorso continuerà.

Le opportunità per l’occidente e per l’Italia

Come sempre, le crisi di un sistema sono anche opportunità. Quella che si apre è una stagione rischiosa e complessa di riorganizzazione di catene di fornitura, di spostamento di competenze da paesi instabili a paesi stabili, di opportunità di crescita (nel sostituire le produzioni di alcune aree del mondo) e di rischi di collassi economici.

E l’Italia ha una opportunità in questo, ma non parte certo favorita. Anzi.

Per noi si tratta di capire come finanziare investimenti cospicui e rafforzare (rifondare?) un sistema formativo sull’orlo del collasso.

Una sfida da far “tremar le vene e i polsi” ma con in palio opportunità di crescita economica favolose. Una stagione in cui il nostro paese potrebbe giocare un ruolo ma necessiterebbe di una visione chiara del prossimo futuro.

Il futuro della globalizzazione

A livello mondiale, però, l’alternativa attuale alla globalizzazione precedente è semplicemente il rinchiudersi nella cittadella fortificata dell’occidente con una contrapposizione da Guerra Fredda o quasi con il resto del mondo. E il coinvolgimento economico dei paesi poveri può essere solo su tematiche non strategiche e, quindi, a basso contenuto tecnologico. Il che comporta poco valore aggiunto e crescite limitate. Una visione a cui nessuno, al momento, sa offrire una alternativa credibile e sostenibile e che non contempla nessun reale progetto di avanzamento del mondo tutto.

Il mondo è diventato più piccolo, più egoista e più pericoloso. È il prezzo dell’instabilità e della violenza.

Ora dobbiamo porci in questo nuovo contesto con un profilo definito. Con coscienza di quello che siamo e provare a inventare nuovi modi di relazionarci positivamente con il mondo delle non-democrazie. Relazione che è sfida aperta ma che deve vederci con l’atteggiamento di chi cerca di fare proselitismo. Di chi cerca di conquistare al fronte delle democrazie nuovi soggetti.

Dobbiamo porci due domande: quale è il valore della democrazia? E cosa siamo disposti a fare per difendere questo valore?

Andrea Bicocchi @Andrea_Bicocchi

Andrea Bicocchi
Andrea Bicocchi
Imprenditore, editore de "Lo Schermo", volontario. Mi piace approfondire le cose e ho un'insana passione per tutto quello che è tecnologia e innovazione. Sono anche convinto che la comunità in cui viviamo abbia bisogno dell'impegno e del lavoro di tutti e di ciascuno. Il mio impegno nel lavoro, nel sociale e ne Lo Schermo, riflettono questa mia visione del mondo.

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