Sindaco di Italia

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Da tempo, ormai da molto tempo, si discute tra i partiti e non solo, ovviamente, della possibilità di eleggere direttamente il Presidente del Consiglio.

La forma di governo così come delineata in Costituzione è forse la parte che dopo settanta e più anni ha bisogno di essere modificata.

Le ragioni sono sempre quelle: necessità che il corpo elettorale individui il responsabile delle decisioni di governo; facilità per il governo di far passare dal corpo legislativo (Camera e Senato), le proprie politiche senza indugio; capacità dello stesso di essere sul “pezzo” della sempre più veloce realtà globalizzata senza ritardi, mediazioni estenuanti tra le parti sociali ed i corpi intermedi che però, non ce lo scordiamo, sono stati voluti ed esaltati nella nostra Carta Costituzionale post fascista nei principi del pluralismo ideologico ed istituzionale, quasi che la necessità primaria fosse quella di non concentrare nelle mani di un solo uomo la maggior parte del potere.

Queste considerazioni iniziali, che farebbero propendere per una riforma costituzionale che porterebbe alla elezione diretta del cd. Sindaco di Italia, hanno però come tutte le scelte dirimenti una serie di elementi positivi e negativi, se confrontati con l’esistente.

Gli elementi positivi sono presto detti: laddove tra i partiti si dovesse realizzare una convergenza tale per questo tipo di riforma, è evidente che la legge elettore dovrebbe essere quella attualmente in vigore, almeno per le città più grandi per l’elezione del Sindaco.

Infatti, l’estrema chiarezza del sistema a doppio turno permetterebbe inizialmente di votare il candidato preferito ed al ballottaggio, nella frequente ipotesi che nessuno raggiungesse la maggioranza assoluta dei consensi, quantomeno il meno “sgradito”, con la conseguenza istantanea di conoscere un secondo dopo l’esito del voto, il nuovo Presidente del Consiglio.

Tale sistema avrebbe tra l’altro il pregio di evitare la contrattazione, infinita, per la formazione del governo del Paese, con la conseguenza che ai partiti non rimarrebbe che, in base al consenso ricevuto e misurato al primo turno, decidere la propria componente ministeriale.

Il corpo elettorale già conosce ed apprezza questo sistema che è rapido ed essenziale, facilmente comprensibile e che, tra l’altro, laddove le coalizioni di partiti siano omogenee, potrebbe portare rapidamente ad un bipartitismo sulla scorta dei sistemi anglosassoni.

Tutto bene, tutto bello? A mio personale avviso NI.

La Costituzione Repubblicana, proprio per la ragione accennata precedentemente, vuole che il Potere degli organi dello Stato sia diffuso ed al centro della famosa tripartizione di Montesquieu stia l’organo Parlamentare, laddove è plasticamente rappresentata la Sovranità, con il meccanismo della delega, del Popolo.

Per questa ragione Il Parlamento non può diventare sic et simpliciter il “passacarte” del Governo. Purtroppo, a significare questa preoccupazione, tutti gli ultimi governi (da decenni, ormai) hanno incrementato fino al parossismo la prassi dell’uso della decretazione d’urgenza – con la quasi inversione del ruolo legislativo – e della cd. Questione di fiducia, che, ovviamente non solo riduce i tempi della discussione parlamentare, ma azzera la possibilità per la minoranza di svolgere a pieno titolo il proprio compito.

È vero che si potrebbero modificare i Regolamenti Parlamentari che, come dice il nome, regolano lo svolgimento dei lavori delle Camere, ma resterebbe indubbio che la compressione eccessiva del potere di interdizione e di controllo della minoranza ne uscirebbe troppo compromesso. Un disvalore per il sistema democratico.

Non basta a mio avviso a superare questa censura il fatto che il governo sarebbe pienamente identificato con le proprie scelte e che, ne potrebbe pagare il fio, nel caso fossero sgradite al corpo elettorale al vaglio delle successive elezioni.

Altro elemento da valutare con estrema attenzione sarebbe poi, la cd. mozione di sfiducia. In parole povere, una volta eletto il Sindaco, è sicuro di governare per cinque anni a meno che il consiglio comunale non lo sfiduci con una propria mozione. Cioè la maggioranza in consiglio decide di suicidarsi e si va a nuove elezioni.

Tale regola potrebbe essere trasportata così com’è in sede nazionale?

Sappiamo bene che i parlamentari sono, comprensibilmente, riluttanti allo scioglimento anticipato delle legislature. Le eventuali forti frizioni in sede governative potrebbero dare luogo ad una serie infinta di rimpasti dei Ministri con la conseguenza di inficiare in modo rilevante l’azione di governo.

Ogni Nazione ha una sua storia istituzionale e ad essa, credo, ci si dovrebbe approcciare con grande prudenza e consapevolezza, perché noi italiani siamo più vicini allo spirito dei Guelfi e Ghibellini che ad accettare serenamente la vittoria degli avversari politici.

Insomma, il bilanciamento dei poteri dello Stato non può a mio avviso essere oggetto di campagna elettorale, anche laddove vi siano contributi interessanti e suscettibili di essere vagliati, ma dovrebbe essere oggetto del lavoro interdisciplinare di un Ministero ad hoc con l’obbligo di riferire al Parlamento dello stato dei propri lavori.

Meglio ancora sarebbe eleggere, per un tempo limitato, con sistema proporzionale puro una Camera costituente che in un tempo dato provvedesse alla rivisitazione della Costituzione per poi sottoporla a Referendum Costituzionale.

Armando Pasquinelli

Capogruppo Lega

Consiglio Comunale Lucca

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