Si è celebrata sabato scorso, 3 maggio, la Giornata mondiale della libertà di stampa che venne istituita dall’ONU per ricordare la Dichiarazione di Windhoek (Namibia) del 3 maggio 1991, un documento in cui si afferma che la difesa della libertà di stampa, del pluralismo e dell’indipendenza dei media sono elementi fondamentali per la difesa della democrazia e il rispetto dei diritti umani. Principi che, nel mondo occidentale, sembravano scontati ed acquisiti.
In occasione della giornata di sabato Carlo Bartoli, presidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti, ha sottolineato come «ad oltre trent’anni di distanza ci ritroviamo invece a dover ribadire con forza la necessità di difendere quanto sancito dall’ONU e scritto a chiare lettere nella nostra Costituzione repubblicana, nei documenti fondamentali dell’Unione Europea e di altri paesi avanzati. Negli Stati Uniti, per citare un esempio, abbiamo assistito alla cacciata dei giornalisti dell’Associated press dalle conferenze stampa della Casa Bianca, il luogo più rilevante al mondo per i media. È stato necessario chiedere l’intervento di un giudice per ottenerne la riammissione. Le due terribili guerre di Ucraina e Gaza, che si sommano ai tanti conflitti dimenticati come quelli del Sudan e del centro Africa, hanno causato il più alto numero di vittime fra giornalisti e fotoreporter. A questo va aggiunto l’inaccettabile blocco dell’accesso da parte della stampa internazionale su Gaza, che impedisce un racconto completo dei massacri e delle tragedie che si stanno consumando, soprattutto ai danni di donne e bambini. Per non parlare degli ingiustificati e inaccettabili attacchi contro quei giornalisti e quei programmi di approfondimento che provano a raccontare la tragedia di Gaza, la cui portata non può essere ridotta ad una tabellina con il numero quotidiano di morti. Al contrario di quanto accade in Ucraina dove, seppur con le pesanti limitazioni di una situazione di guerra, riusciamo a sapere le storie e i racconti della sofferenza del conflitto, su Gaza è calato un velo di silenzio nonostante gli appelli dell’ONU».

«Non va meglio a casa nostra. Possiamo dire – prosegue Bartoli – che abbiamo alle spalle un “annus horribilis”. Querele temerarie e azioni giudiziarie intimidatorie contro i giornalisti si sono susseguite da parte di esponenti del mondo politico, imprenditoriale e istituzionale; mentre l’unica prospettiva di riforma del reato di diffamazione è quella che prevede il pesante aumento delle sanzioni pecuniarie, in aggiunta a un’altra serie di norme penalizzanti per i giornalisti come quella che imporrebbe di svolgere il processo nel luogo dove è stata sporta la querela. È stata data un’ulteriore stretta alle fonti giudiziarie con il provvedimento che vieta la pubblicazione, anche solo di stralci, delle ordinanze di custodia cautelare. Nel frattempo, si susseguono gli attacchi contro il giornalismo di inchiesta e i tentativi di scoprire le fonti giornalistiche, con buona pace del segreto professionale. Abbiamo appena appreso che Francesco Cancellato, direttore di Fanpage, non era il solo giornalista ad essere stato oggetto di intercettazioni con il sofisticato spyware militare fornito dalla società Paragon; insieme a numerosi attivisti dei diritti umani. Con lui un altro collega, sempre di Fanpage ha subito lo stesso trattamento. Un’attività esplicitamente vietata sia dalle norme europee che dalla legge italiana. Ma quanti sono i giornalisti spiati in Italia? Chi lo ha deciso in spregio a tutte le leggi e ai principi della democrazia e perché? Troviamo inspiegabile l’apposizione del segreto di Stato sulla vicenda e chiediamo risposte a fronte di una vicenda gravissima e inaccettabile. Tutto questo costituisce un peso sempre più grave sulla libertà di stampa e l’indipendenza del lavoro giornalistico. Limitazioni che si intrecciano con una crescente situazione di precarietà e incertezza lavorativa di tante colleghe e colleghi, fattori che incidono moltissimo sull’autonomia dei giornalisti. Stiamo attraversando una fase delicata per la nostra democrazia, dobbiamo esserne ben consapevoli e non avere incertezze o timidezze nel difendere il ruolo costituzionale che svolge l’informazione professionale. Un bene comune che non è un privilegio di una corporazione, ma rappresenta il diritto dei cittadini ad una informazione libera, corretta e plurale. Un diritto da difendere insieme».

Intanto l’annuale classifica di Report sans Frontieres vede l’Italia slittare di tre posizioni dal 46esimo al 49esimo posto nell’ultimo anno, ma dieci anni fa eravamo precipitati al 73esimo posto. Nel report di RSF si legge: «La libertà di stampa in Italia continua a essere minacciata dalle organizzazioni mafiose, in particolare nel sud del Paese, nonché da diversi piccoli gruppi estremisti violenti. I giornalisti denunciano anche i tentativi dei politici di ostacolare la loro libertà di occuparsi di casi giudiziari attraverso una “legge bavaglio” che si aggiunge alle procedure SLAPP, prassi comune in Italia (SLAPP è l’acronimo che significa Strategic Litigation Against Public Participation, e cioè causa legale strategica contro la pubblica partecipazione). Il panorama mediatico italiano è sviluppato e vanta un’ampia gamma di testate che garantiscono una pluralità di opinioni. Il settore radiotelevisivo comprende diverse emittenti televisive pubbliche e radiofoniche, oltre a numerose testate private. Questa pluralità si riscontra anche nella carta stampata, che comprende quasi 20 quotidiani, circa 50 settimanali, numerose riviste e diversi siti web di informazione».

Guardando al contesto politico italiano il report di Report sans Frontieres prosegue: «I professionisti dei media a volte cedono all’autocensura, sia per conformarsi alla linea editoriale della propria testata giornalistica, sia per evitare una causa per diffamazione o altre forme di azione legale. Questo può essere aggravato per i giornalisti di cronaca nera e giudiziaria dalla legge bavaglio votata dalla coalizione di governo del Primo Ministro Giorgia Meloni, che vieta la pubblicazione di un ordine di custodia cautelare in carcere fino al termine dell’udienza preliminare. I sindacati dei giornalisti condannano anche la crescente ingerenza politica nei media pubblici. Circa il quadro giuridico un certo grado di paralisi legislativa sta frenando l’adozione di diverse proposte di legge volte a preservare e persino migliorare la libertà giornalistica. Questo spiega in parte le limitazioni che alcuni giornalisti incontrano nel loro lavoro. La criminalizzazione della diffamazione e le numerose procedure SLAPP limitano la libertà giornalistica. Guardando al contesto economico i media dipendono sempre più dagli introiti pubblicitari e dai sussidi statali. Anche la carta stampata sta affrontando un graduale calo delle vendite. Inoltre, l’annunciata acquisizione di una delle principali agenzie di stampa italiane, l’Agenzia Giornalistica Italiana, da parte di Antonio Angelucci, deputato della maggioranza al potere e proprietario di diversi altri importanti quotidiani italiani, evidenzia la minaccia della concentrazione dei media e dei conflitti di interesse. Il risultato è una crescente precarietà che mina pericolosamente il giornalismo, il suo dinamismo e la sua autonomia».
Infine sul fronte del contesto socioculturale nel report di Report sans Frontieres si legge: «La polarizzazione della società durante la pandemia di Covid-19 ha colpito i giornalisti, che sono stati vittime di aggressioni verbali e fisiche durante le proteste contro le misure sanitarie. Questa polarizzazione persiste, cristallizzandosi attorno a questioni politiche o ideologiche legate all’attualità. E per la sicurezza? I giornalisti che indagano sulla criminalità organizzata e sulla corruzione sono sistematicamente minacciati e talvolta sottoposti a violenza fisica per il loro lavoro investigativo. Le loro auto o case vengono talvolta distrutte da incendi dolosi. Campagne di intimidazione online vengono orchestrate contro coloro che si occupano di queste questioni. Circa venti giornalisti vivono attualmente sotto scorta permanente della polizia dopo essere stati oggetto di intimidazioni e attacchi».