Guerra Israele Hamas: lo stato della situazione.

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In questi giorni si sono alternati eventi piuttosto significativi sulla guerra tra Israele e Hamas. Eventi che hanno cambiato la percezione, ma anche la sostanza, dell’approccio mentale del mondo verso la guerra.

I fatti sono i seguenti: la decisione americana di procedere agli aiuti via aerea; due mozioni dell’ONU di cui una passata e l’altra no; le crescenti proteste contro il governo dentro Israele; la riapertura dei lavori tra mondo arabo moderato e USA per una tregua; l’attacco concluso all’ospedale di Al-Shifa; il secondo attacco contro i locali dell’ambasciata iraniana a Beirut e, infine, l’onda lunga della contestazione studentesca antiisraeliana che, partendo dagli Stati Uniti, è giunta anche nelle nostre università.

Sono, come sempre accade, segnali contrastanti ma delineano un quadro in evoluzione che è necessario comprendere.

Il primo evento è stata la decisione americana di inviare aiuti via aerea alla popolazione. Era un primo importante segnale all’alleato che il modo di gestire il supporto alla popolazione non era più tollerabile. I problemi di logistica via terra sono reali e significativi: strade quasi inesistenti, sicurezza dei convogli a dir poco problematica, assalti di gente disperata che certo non si mette in fila per il pane, il concreto rischio che Hamas si impossessi di tutto per i suoi miliziani lasciando la popolazione senza nulla. E, da non dimenticare, il fatto che l’Egitto non ha minimamente collaborato.

Ma tutti questi reali problemi non giustificano il costo di milioni di persone senza cibo ed acqua. La cosa non era tollerabile e si è quindi deciso di scavalcare Israele e di procedere direttamente: prima via aerea, poi sperimentando soluzioni via mare. È stato il primo segnale che le cose stavano cambiando.

Il secondo evento è stata la proposta di risoluzione presentata dagli USA, che ha raccolto la maggioranza del consiglio di sicurezza ed è stata stoppata solo dal veto di Russia e Cina. La proposta chiedeva un cessate il fuoco umanitario immediato per il mese del Ramadan e il rilascio immediato di tutti gli ostaggi.

Questo prima mozione è stata la più significativa, sebbene sia finita in nulla. Di fatto ha segnato lo spartiacque del processo di transizione verso una possibile base di trattativa. La risposta di Cina e Russia ha scoperto l’ipocrisia delle rispettive posizioni. Non accettare la richiesta di cessate il fuoco di un mese in cambio del rilascio degli ostaggi ha mostrato quanto poco sia importante il tema delle vite che si perdono nella Striscia rispetto alle alleanze con Hamas. E anche del disinteresse verso la sorte degli ostaggi che, è bene non dimenticarlo, sono stati presi, trattati in un modo infamante e tuttora utilizzati come scudi umani. Quando si parla di Hamas dobbiamo sempre ricordare che non è un esercito e neppure una formazione di guerriglieri: è una milizia terrorista che certo non fa prigionieri ma solo ostaggi oltretutto presi tra i civili non combattenti. Non è la stessa cosa…

Dall’altra parte ha anche segnato la rottura diplomatica tra gli Stati Uniti e Israele. La richiesta, infatti, non era stata concordata e non era affatto gradita. Era il segnale forte a Netanyahu che la disponibilità a dargli copertura era finita.

Come detto, la mozione è stata fermata con il veto dopo aver raccolto 11 voti favorevoli e solo 3 contrari: Russia e Cina a cui si è aggiunta l’Algeria. La Guyana si è astenuta.

Poi è arrivata la seconda risoluzione: quella che è passata e che “chiede un cessate il fuoco immediato per il Ramadan rispettato da tutte le parti che conduca ad un cessate il fuoco durevole e sostenibile, il rilascio immediato e incondizionato di tutti gli ostaggi, nonché la garanzia dell’accesso umanitario per far fronte alle loro esigenze mediche e umanitarie. Inoltre prevede che le parti rispettino i loro obblighi ai sensi del diritto internazionale in relazione a tutte le persone detenute, sottolineando l’urgente necessità di espandere il flusso di assistenza umanitaria e rafforzare la protezione dei civili nell’intera Striscia, ribadendo la richiesta di eliminare tutte le barriere alla fornitura di assistenza umanitaria su larga scala, in linea con le norme del diritto internazionale umanitario”. La risoluzione “deplora” infine tutti gli attacchi contro i civili e gli atti di terrorismo, e ricorda che la presa di ostaggi è vietata dal diritto internazionale, ma non contiene alcun riferimento esplicito ad Hamas. È passata con il voto favorevole di tutti membri e con l’astensione degli Stati Uniti.

La risoluzione adottata dall’ONU è stata un colpo di quelli che fanno male per Israele. Non per gli effetti diretti ed immediati: sebbene la deliberazione abbia effetti “normativi” la sua formulazione è abbastanza vaga e consente facilmente di essere aggirata. Anche perché Hamas, a rilasciare ostaggi, non ci pensa proprio e se non viene attuata da una delle parti anche l’altra può, in qualche modo, giustificarsi nel disattenderla.

Ciò che davvero conta è il peso morale della determinazione: il fatto che il mondo abbia dato a Israele un “cartellino rosso” per la gestione della guerra. E il fatto che l’alleato americano non sia più disponibile a coprire gli eccessi di una guerra urbana tra i civili. Per ora restiamo nell’alveo dei segnali ma di quelli che pesano.

Anche il ruolo dei paesi arabi moderati è però variato. Quasi simmetricamente al cambio di postura americano, che si è fatto meno vicino ad Israele e più attento alla popolazione palestinese, anche i paesi arabi moderati (Qatar, Arabia Saudita, Emirati Uniti) hanno potuto cominciare a giocare un ruolo meno vicino ad Hamas e a fare più pressione per una tregua che obblighi anche la fazione terroristica a concedere sul piano degli ostaggi. In questo quadro vanno letti i colloqui di Doha, compresi i balletti vengo-vado-vengo della delegazione di Tel-Aviv. Un contesto difficile ma che apre a qualche spiraglio.

L’attacco all’ospedale e ai locali dell’ambasciata iraniana, vanno nella direzione opposta, ovviamente, ma possono anche essere letti come il segno di una consapevolezza che i tempi delle azioni militari si stanno esaurendo. Sono tentativi dell’esercito di massimizzare i risultati in termini di leader uccisi e infrastrutture distrutte prima che la “finestra di possibilità” si chiuda. Nella pur drammatica brutalità della guerra sono comunque indicazioni di un cambiamento.

Sono però altrettanti macigni che resteranno sul percorso della pace, quando arriverà. Perché il vero problema oggi è che la miopia con cui Israele ha gestito il conflitto, indipendentemente dalle motivazioni che la hanno causata e dal cinismo del premier Netanyahu nel portare avanti tutto questo per i suoi interessi, si trasformerà in una poderosa iniezione di odio che durerà almeno una generazione. Una specie di deposito di scorie radioattive che non saranno gestibili semplicemente. In questo senso Hamas ha vinto la sua guerra e ha raggiunto il suo scopo.

Di questo è cosciente una larga parte dell’opinione pubblica israeliana che attua una protesta contro il governo che sta montando di giorno in giorno. È una protesta contro il premier e contro l’attuale maggioranza che, dicono i sondaggi, già da tempo non è più maggioranza nel paese. Solo il fatto di trovarsi in tempo di guerra ha consentito loro di resistere al potere.

In linea con questo, ma in modo scomposto e sgrammaticato, vanno considerati anche i moti studenteschi americani e, ancora più sgrammaticati e scomposti, quelli nostrani.

Confondere Hamas con dei partigiani vuol dire non capire nulla dei moti partigiani e ancora meno di quello che accade nel mondo arabo integralista. Vuol dire non avere nessun rispetto per la libertà di espressione, per i diritti civili, per i diritti delle donne e delle minoranze, per la democrazia e per la vita in generale. Hamas non è la Palestina. E accusare Israele di tutto questo facendo finta di dimenticare il ruolo non proprio trascurabile che Hamas ha avuto e tuttora ha, sarebbe ridicolo se non fosse prima insopportabilmente ipocrita e pregiudizievole. Considerare di interrompere i rapporti con le università di Israele quando non lo abbiamo fatto con Cina e, in gran parte, neppure con la Russia è il segno di una dualità di comportamento che non è accettabile.

Israele non sta facendo bene: non sta rispettando quelli che sono i nostri standard (inteso come mondo occidentale) in fatto di diritti e rispetto della vita. Ma considerarlo come uno stato canaglia, come e peggio di stati che calpestano quotidianamente la vita e i diritti delle persone, non è accettabile. Come non lo è pensare che quello che avviene là possa essere paragonato ad uno scontro tra due soggetti di pari dignità o di pari follia.

Andrea Bicocchi
Andrea Bicocchi
Imprenditore, editore de "Lo Schermo", volontario. Mi piace approfondire le cose e ho un'insana passione per tutto quello che è tecnologia e innovazione. Sono anche convinto che la comunità in cui viviamo abbia bisogno dell'impegno e del lavoro di tutti e di ciascuno. Il mio impegno nel lavoro, nel sociale e ne Lo Schermo, riflettono questa mia visione del mondo.

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