#StateSereni – I lucchesi alla marcia su Roma.

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Mancano ormai pochi giorni al centenario del 28 ottobre, data accettata ufficialmente per indicare il giorno della Marcia su Roma che portò il fascismo al potere. Con l’avvicinarsi della ricorrenza l’avvenimento è stato rievocato dalla stampa quotidiana, dalle riviste illustrate, da una fitta serie di pubblicazioni e da trasmissioni televisive.
La singolare coincidenza del centenario con la vittoria della destra alle elezioni politiche e la certa assunzione della responsabilità di governo da parte di un’esponente proveniente da queste posizioni ha sicuramente contribuito ad accrescere interesse e curiosità sull’evento 28 ottobre, del quale si sono cercate le cause remote e le più vicine matrici, si sono delineate le caratteristiche, si sono ricostruite le cronache e si è cercato di stabilire le conseguenze.
Raccogliendo sollecitazioni che mi sono venute da più ambienti che mi proponevano di dedicare questo appuntamento settimanale ad una rievocazione del 28 ottobre ho ritenuto di poter recare un onesto contributo di conoscenza fornendo un attendibile racconto della partecipazione dei lucchesi alla Marcia su Roma.
Stando alle cifre che il capo della spedizione, Carlo Scorza, divulgò in un volumetto pubblicato pochi anni dopo quei fatti, furono circa 2’000 i lucchesi e i garfagnini che mossero alla conquista di Roma. Si è sottolineata la distinzione tra lucchesi e garfagnini perché nel 1922 la Garfagnana non faceva parte della provincia di Lucca ed era ancora aggregata alla provincia di Massa. Ma quando nel 1926 Scorza pubblicava il suo libretto le cose erano state ridisegnate e quindi nel suo elenco dei marciatori trovarono posto anche i fascisti della Garfagnana. Che in effetti partirono alla volta di Roma e si intrupparono con le schiere comandate da Scorza.
Per andare a Roma dalla Garfagnana si doveva necessariamente prendere il treno che scendeva a Lucca ed era qui che si imbrancarono con le squadre dei fascisti lucchesi. Di quel treno, stipato da una massa di gente scalmanata mi parlò un amico di mio padre, il castelvecchiese Augusto Lazzerini che, per uno di quei casi che possono cambiare una vita, si trovò alla stazione di Castelvecchio Pascoli proprio quando giungeva il rumoroso convoglio garfagnino. Era poco più di un ragazzo, ma era tutto infervorato di ardore patriottico e nutriva così forti simpatie per il nuovo movimento che dalla madre si era fatto cucire una camicia nera, ricavandola dalla tela di un ombrello. Alla vista di quel treno non ebbe indugi e, insieme ad un amico di uguale sentire, ci saltò dentro e qui venne accolto con calorosi festeggiamenti da chi lo occupava. Quando me ne parlava, a più di cinquant’anni da quel giorno, provava ancora una forte emozione tipica di chi sente di essere entrato nella Grande Storia. Emozione che finiva in amarezza perché i due ragazzi alla stazione di Bagni di Lucca furono riconosciuti dal parroco di Castelvecchio, che era sul treno proveniente da Lucca, e se li prese e se li portò a casa.
Incalzato dalle mie domande di quel breve viaggio aggiungeva qualche particolare come i nomi dei barghigiani che vi erano saliti e poi si dilungava sull’atmosfera festosa che accomunava quegli uomini e soprattutto insisteva nel sottolineare che un forte odore di vino dominava i vagoni.
Da questi particolari si può partire per cercare di definire il modo con il quale molti di coloro che presero parte alla marcia su Roma vissero quell’evento: fu come una scampagnata ed un’occasione da non perdere a nessun costo per dare dimostrazione dell’adesione al nuovo credo politico che era stato abbracciato. Non così per i capi che comandavano la spedizione: questi avevano coscienza della drammaticità della sfida lanciata ed avevano abbastanza chiari i termini della partita: la conquista del potere politico con un atto insurrezionale.
Carlo Scorza, il condottiero del fascismo era sicuramente tra questi e comprese subito che la Marcia su Roma rappresentava anche per lui una grande occasione: per mettersi in mostra e per scalare nella considerazione dei vertici del movimento fascista. Personaggio dalle affinate attitudini criminali e da una pronunciata vocazione affaristica, Scorza non aveva incontrato grandi difficoltà a impadronirsi del fascio di Lucca: non risultava tra i “fondatori”, ma con una serie di mosse spregiudicate aveva fatto fuori tutti i concorrenti, aveva piazzato i suoi pretoriani nelle posizioni di comando ed aveva imposto un dominio assoluto. Nel giro di pochi mesi, lo sconosciuto venuto dalla Calabria, al seguito del fratello impiegato all’Ufficio Imposte, era assurto al ruolo di padrone politico dell’intera provincia.
Per dare dimostrazione di questa condizione di potenza organizzò la mobilitazione dei fascisti per la partecipazione alla Marcia su Roma. Quasi 2’000, una cifra impressionante, nella quale erano confluite, in diversa misura, le forze del partito. Conoscere la loro composizione è di sicura utilità per avere il quadro del radicamento fascista nella provincia. Il quadro presenta significative discordanze che riflettevano le tensioni e le dinamiche che percorrevano quel movimento in fase di impetuosa crescita. Risaltano, in negativo, le sparute presenze dei fascisti di Barga, soltanto 5, quando dalla ben più modesta frazione di Ponte all’Ania ne erano partiti 10. Ed ancor più stride la completa assenza dagli elenchi di fascisti provenienti da Castelnuovo Garfagnana, a fronte delle massicce partenze da Pieve Fosciana, ben 28, guidati Ricciardo Pucci e Fulvio Angelini e di Villa Collemandina 11 e di questi ben 4 appartenenti alla stessa famiglia, i Pennacchi che anni più tardi pagarono a caro prezzo l’ostilità di Scorza.
Queste ombre non riuscirono ad oscurare il successo di Scorza che per le sue doti militari si vide assegnare il comando della piazzaforte Civitavecchia ed in quella veste guidò l’assalto e l’occupazione del quartiere di Ponte Nona, che si fregiava del titolo di Russia romana.
Come premio di tanto impegno i marciatori lucchesi vennero passati in rivista da Mussolini che sfilò davanti a loro a bordo di un’automobile dove avevano trovato posto gli uomini che avevano guidato la marcia. Poi finalmente il “Liberi tutti!” che Scorza ricordò così. “Ogni carrozza è presa d’assalto, ogni automobile stracarica. Caffè, saloni di parrucchiere, bar, alberghi diurni sono zeppi”.
Dagli alberghi diurni alle case di piacere la distanza è impercettibile. Ed è stabilito fin dalla partenza che le scampagnate finiscono in…

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