#StateSereni – Giovani Mariti, un’occasione perduta? Ma la Fondazione Cassa potrebbe rimediare…

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Un altro capitolo della serie infinita di “Lucca immemore e ingrata”. Questa volta è toccata al regista Mauro Bolognini, del quale alla fine di giugno ricorrevano i cento anni della nascita, a subire da parte della nostra città gli effetti di quella sua pronunciata vocazione al “braccino corto” quando si tratta di tributare riconoscimenti a coloro che l’hanno onorata.

Il pistoiese Mauro Bolognini è solo l’ultimo in ordine di tempo di questa serie, ma il suo caso merita senz’altro una sottolineatura perché si tratta proprio di un’occasione persa. Tanto più stridente ed amara se teniamo conto della coincidenza con l’appuntamento di Lucca Film Festival che poteva fornire l’adeguata vetrina alla celebrazione di Bolognini.

Per i lucchesi, e per fortuna sono ancora tanti, che, come me da un po’ hanno superato la Quota 70, sarà sufficiente evocare il titolo del film che Bolognini girò a Lucca nel 1957 per far loro ricordare le eccitanti emozioni che provarono nei giorni che la città fu trasformata in un set cinematografico. Quel film si intitolava “Giovani Mariti” e raccontava con misurata eleganza e sincera partecipazione le vicende di quattro amici in una delicata fase di passaggio della loro esistenza: fine della gioventù spensierata e ingresso nell’età delle responsabilità.

Non era la prima volta che Lucca veniva adottata dal cinema come luogo (oggi si dovrebbe dire location, ma mi rifiuto) d’ambientazione per storie di sapore provinciale: proprio “La provinciale” si intitolava il film che Mario Soldati vi aveva girato nel 1953.  Ricavato da un racconto di Alberto Morava era impreziosito dai nomi dei protagonisti Gina Lollobrigida, allora la diva più celebrata, e Gabriele Ferzetti, uno dei belli dell’epoca.  

Il cast dei “Giovani Mariti” non era da meno: due bellissime, Sylva Koscina e Antonella Lualdi, un bellissimo, Antonio Cifariello, e due che gli reggevano la parte: il francese Gerald Blain, poi protagonista ne “Il Gobbo” di Carlo Lizzani, e Franco Interlenghi che già era venuto a Lucca per “La Provinciale”. Insomma ce n’era abbastanza per agitare quella Lucca sonnacchiosa e intimorita che finalmente sperimentava la sensazione di stare dentro a quel mondo dei sogni che era il cinema.

Le cronache dei quotidiani di allora, che riservavano intere pagine a quello che succedeva intorno al film, riferiscono di una grande animazione, soprattutto da parte giovanile, ma non solo, che ora per ora seguiva regista e attori impegnati a girare le scene. I fotografi del tempo, il grande Alcide Tosi per primo, erano come scatenati alla ricerca di immagini da fissare con l’obiettivo. Ovviamente le loro preferenze andavano alle attrici e tra questi la più ricercata era la radiosa Sylva Koscina che provocò non pochi turbamenti sui lucchesi di quel tempo: c’è ancora chi ricorda il suo spacco di gambe messo bene in mostra mentre scendeva dalla opulenta cabriolet, simbolo di ricchezza che Mara, questo il nome assegnatole dal film, ostentava. Ricchezza e bellezza che Ettore, Antonio Cifariello, riuscirà a fare sue.

Affidata ad un vero maestro del bianco e nero come Armando Nannuzzi la fotografia riuscì a dare al film quel senso di intima narrazione di piccole storie che era nelle intenzioni di Bolognini e dei suoi collaboratori, tra i quali figurava anche Pier Paolo Pasolini, che già aveva dato prova di saper cogliere la magica temperie di Lucca. Quasi sicuramente si devono a lui le scene notturne nelle quali si svolgevano le ultime baldorie dei quattro amici, (la poesia che aveva dedicato a Lucca era una celebrazione di Lucca lunare), ma di certo possiamo ricondurre a Pasolini anche quelle liriche rappresentazioni di Lucca che davano al film un’impronta struggente. Più che un fondale passivo, Lucca era in realtà una sostanza attiva del film. Era insieme lo specchio di una condizione esistenziale e la materna partecipe dei tormenti di quel gruppo che della città, dei suoi riti, delle sue strade, del suo fiume è innamorato.

Mai, forse come con “Giovani Mariti”, Lucca è stata rappresentata nel cinema nella sua più intima e più vera essenza di luogo dell’anima, capace di stabilire un colloquio di amorosi sensi con coloro che riescono a percepirne, la straordinaria ricchezza spirituale che la percorre. Le immagini che il film propone, tutte virate in grigio, che è il colore evocato da D’Annunzio nella poesia che dedicò a Lucca, sono come tante raffigurazioni di questa condizione incantata: la via dei Fossi, sotto la pioggia, piazza Anfiteatro deserta nella notte, l’osteria sul fiume, piazza San Martino luminosa e splendente, la passeggiata delle mura, un’infilata di Corso Garibaldi che sembra promettere un’impossibile fuga da Lucca-Circe, maga di infiniti incantesimi.

Insomma ce n’era e ce n’è abbastanza perché, nel centenario della nascita di Mauro Bolognini, venisse onorato per questo meraviglioso dono che ci fece orsono quasi settanta anni fa. Non è avvenuto, e va a disdoro di chi avrebbe il compito di valorizzare il patrimonio storico-culturale della città.

Non è stato fatto, ma forse si può ancora rimediare. In questo senso mi permetto di rivolgere al presidente della Fondazione Cassa di Risparmio Marcello Bertocchini, del quale sono note competenza e passione cinefila, il suggerimento di predisporre, all’interno della programmazione di San Francesco, una serata con la proiezione di “Giovani Mariti” che consenta a quelli che lo videro di ritrovare emozioni perdute e per coloro che non ebbero quella fortuna di conoscere una testimonianza d’arte, un commosso e commovente tributo alla nostra città. Che aiuterà tutti ad apprezzarla come merita. 

Umberto Sereni

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