REGIONI, ci apprestiamo a votare per alcuni rinnovi. Ma è il momento di interrogarsi: sono davvero utili?

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I giornali in generale, compresi i quotidiani, dati alla mano ormai non meritano più di essere letti, figurarsi a Ferragosto. E invece a sorpresa mercoledì 13 agosto ci è capitato di vedere, occasionalmente, Il Fatto Quotidiano che, ammettiamolo, consente al direttore Travaglio di ricordarsi che si è formato con Montanelli. Bene, quel giorno vi si legge il titolo di un argomento che i giornaloni non trattano mai (e infatti ormai tutti si sono accorti che più o meno sostengono le stesse cose, insomma destra e sinistra – anche frutto dell’attuale legge elettorale – cercano di stare a galla a vicenda).

Eccolo, il titolo: “Le Regioni sono le rughe d’Italia, i sedicenti Governatori spendono soldi elargiti dallo Stato senza doversi procurare le risorse che erogano – così hanno assunto un ruolo centrale nella politica e nei partiti”. Ma come, viene da chiedersi, c’è ancora qualcuno che non è… vittima dell’omologazione di massa? C’è qualcuno che, finalmente, comincia a pensare ad un ridimensionamento del potere dei partiti e delle relative spese? C’è finalmente qualcuno che comincia ad interrogarsi: servono davvero le Regioni? Quali benefici hanno portato alla gente? Economici? NO. Di maggiore efficienza e funzionalità dei servizi? NO – e così via. Evidentemente il solito sistema clientelare impedisce di affrontare il problema…

Ricordate quando negli anni ’70 il Pci accusava Dc e altri di clientelismo? Ecco, ora ex Pci ed ex Dc sono insieme, bell’idea signor Veltroni!
Riportiamo alcuni brani dell’articolo del Fatto:

“Come è stato possibile che istituzioni senza una storia alle spalle e senza un radicamento popolare siano diventate nel giro di qualche decennio così decisive nella politica italiana? È questo uno dei casi clamorosi in cui la maggiore visibilità di una situazione non corrisponde minimamente alla sua utilità”.

Precisazione, la spesa pubblica italiana è così suddivisa: 57% stato centrale, 30% regioni, 8% comuni, 2% province e aree metropolitane, 3% altro.

“Nel giro di pochi decenni le Regioni da Cenerentole delle istituzioni si sono trasformate in luoghi di grande potere e risorse. La tradizione municipalista è stata letteralmente stravolta: Regioni ricche, Comuni poveri. La cosa assurda è che la spesa regionale è quasi interamente trasferita dallo Stato, diversamente dai Comuni che debbono concorrere con le tasse sui servizi alla tenuta dei loro bilanci. I presidenti di Regione spendono senza doversi procurare le risorse che generosamente erogano. Attraverso questa assurda condizione di privilegio i Governatori hanno assunto un ruolo centrale nella politica italiana e all’interno dei partiti”.

Seguono dati che dimostrano il distacco fra politica a cittadini, a livello regionale, e soprattutto quanto la regionalizzazione della sanità ci abbia reso e ci rende diversi, da regione a regione, di fronte alla vita e alla morte! (n.b.: vi ricordate la gestione delle varie regioni al tempo del Covid?). E infine un’altra delle potenzialità tradite dalle Regioni: lo sviluppo complessivo dell’economia italiana.

“Anche in questo campo le Regioni hanno la loro responsabilità per la forte incidenza sul debito pubblico e per la loro scarsa capacità di migliorare i fattori di competitività del sistema. Sta di fatto che le Regioni non sono servite al progresso del sud, non sono state in grado di diminuire la distanza economica e nei servizi con le aree centro-settentrionali. Con la nascita delle regioni nel 1970 il divario è aumentato”.
“Nate con l’ambizione di riformare lo stato centrale e di promuovere una nuova classe dirigente, le regioni si sono trasformate in uno dei principali ostacoli al miglioramento delle funzioni pubbliche e stanno riproponendo una rifeudalizzazione della politica, ancora più accentuata nel sud. E mentre un tempo i politici regionali non vedevano l’ora di passare ad altri livelli, oggi è difficilissimo smuovere un presidente dal suo ruolo, anzi molti di essi vorrebbero restarci a vita. E anche se non hanno ottenuto il terzo mandato, provano con ogni mezzo a condizionare chi gli succederà”.

Insomma, una testata giornalistica che finalmente ragiona di argomenti concreti a livello istituzionale (ad esempio, perché non un’assemblea costituente, quindi non regalata ad un parlamento che dovrebbe rinnovare se stesso!), qualcosa di nuovo per individuare tagli veri – quanto ci costa questo, quali vantaggi ci porta, se i conti non tornano perché non si procede a sforbiciare? La massa dei consiglieri regionali con i loro stipendi da quanto tempo ce la portiamo sul groppone? Altro esempio, perché non proponiamo le Regioni come organi di consultazione e magari li unifichiamo con i senatori? Certo, sono idee buttate là ma non se ne può più; era meglio quando c’erano le Province. Ai tempi di Montanelli il Corriere forse ne avrebbe fatto una battaglia, Travaglio ora potrebbe dimostrare di essere il degno erede.

Lettore 51

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