Raspini:”Vedo meno solidarietà, e certi leader politici non sono un buon esempio”

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L’Assessore Francesco Raspini ha rilasciato un’intervista esclusiva a questa Redazione, chiarendo definitivamente quanto accaduto lo scorso venerdì a Porta dei Borghi e dando un suo parere sulle misure restrittive contenute nel DPCM firmato ieri sera dal Presidente Conte.

Raspini, buongiorno. Dopo quanto accaduto lo scorso venerdì, in virtù del suo ruolo di assessore alla sicurezza, lei è stato il principale interlocutore con i giornalisti: a mente fredda, prima da uomo e poi da politico, ci dà un parere su quanto è successo?

I fatti dello scorso weekend sono stati un brutto episodio. A caldo l’ho definito “increscioso” e non posso che confermarlo. Si può comprendere che dopo dieci mesi di restrizioni la misura sia prossima al colmo, ma non si può giustificare quanto accaduto. Fatta questa doverosa premessa è chiaro che la questione non si esaurisce con una semplice, per quanto ferma e giustificata, condanna. Purtroppo, la spettacolarizzazione dell’accaduto, dovuta in buona parte al meccanismo perverso di condivisione sui social – che nel caso di specie è stato moltiplicato dal ruolo giocato da un noto influencer del gossip – ha impedito finora una riflessione serena. Ma occorre riflettere anche sul contesto in cui sono accaduti quei fatti e cercare di capirne le ragioni e non soltanto giudicare. A mio giudizio il cuore della questione risiede nel fatto che è sempre più difficile applicare le misure anti-Covid bilanciando in modo equilibrato e socialmente accettabile fermezza e comprensione. E non è un problema da poco, considerando che la pandemia è tutt’altro che sconfitta.

Come reputa il comportamento delle forze dell’ordine?

Dal mio punto di osservazione, e anche in virtù della mia formazione professionale, ritengo che le forze dell’ordine abbiamo agito in modo tecnicamente corretto. Capisco che da fuori non sia semplice da comprendere, ma un intervento repressivo immediato non sempre è fattibile o opportuno. Anzi, a volte rischia di essere controproducente e di aggravare la situazione mettendo a rischio l’incolumità degli operatori e dei presenti.

In casi come questi, quali sono i protocolli che le forze dell’ordine devono seguire? È un lavoro concertato?

Dipende sempre dalle circostanze concrete in cui si opera. L’altra sera i Carabinieri e la Polizia Municipale che erano presenti sul posto, seppur defilati, hanno ritenuto più opportuno attendere che la situazione diventasse più gestibile e che, soprattutto, arrivassero altre pattuglie in appoggio per poter allontanare i presenti, cosa è che stata fatta appena possibile. La presenza della videosorveglianza, inoltre, ha consentito di supportare a posteriori una serie di accertamenti che, se svolti integramente in diretta, avrebbero potuto generare disordini. Invece, in questo modo nessuno si è fatto male e i trasgressori sono comunque stati identificati e sanzionati, ivi compresi quelli che hanno portato le casse ed invitato le persone a ballare.

Qualcuno, a destra e a sinistra, sostiene che un assembramento del genere fosse prevedibile. Che ne pensa?

Del senno di poi sono piene le fosse. Per carità, è giusto chiedersi se si è fatto tutto quanto possibile per impedire che tutto questo accadesse e mettere a frutto eventuali errori di valutazione per impedire che si ripetano. Ma nel contesto che stiamo vivendo pensare di approcciare questi fatti come un mero problema di polizia e ipotizzare di risolverli invocando “più controlli” equivale a pensare di svuotare il mare con un secchiello. È giusto prendere provvedimenti e sanzionare anche duramente chi ha sbagliato. E in questo caso è anche stato fatto. Ma poi? Si torna a chiudere tutto? Oppure teniamo aperto, ma con una volante fissa di fronte ad ogni bar per evitare assembramenti? In generale, non si può pensare che la responsabilità personale di ogni individuo sia rimessa esclusivamente alla presenza delle forze dell’ordine. Dopo dieci mesi conosciamo tutti perfettamente le indicazioni da seguire per evitare il contagio da Covid e quello che si è venuto a creare a Porta dei Borghi è esattamente ciò che va evitato in questo momento. Chi trasgredisce sa benissimo che quello che sta facendo è dannoso per sé stesso e per gli altri.

Alla luce di quanto accaduto nella nostra città, ci dà una sua opinione sulle misure restrittive adottate dal Governo e su quelle che, a quanto pare, verranno adottate? Mi riferisco, in particolare, alla proroga del divieto di consumo nei locali dopo le 18 e all’introduzione del divieto di asporto per i bar dopo le 18 e per i ristoranti dopo le 22.

È difficile rispondere. La ricetta giusta non è stata ancora trovata in nessun paese del mondo. Il problema non è decidere a che ora interrompere la somministrazione o l’asporto o fare a gara per farsi attribuire la zona gialla, come se questo dipendesse dai meriti di qualche governatore più bravo di altri a tutelare gli interessi dei propri cittadini. Il punto è avere un quadro d’insieme chiaro che, invece, spesso manca. La gente avrebbe bisogno di essere rassicurata sul fatto che le mani sul timone son ben salde e che la nave non è alla deriva anche se il vento tira forte e le onde sono alte. E invece troppo spesso si procede per tentativi. Ed è rischioso, perché questa fase per certi versi è ancora più difficile di quella che abbiamo affrontato in primavera. Il clima sociale nel paese, e anche nella nostra città, è profondamente cambiato. Dieci mesi di emergenza sono lunghi. L’accettazione pressoché unanime delle misure restrittive, la solidarietà verso lo sforzo dei sanitari, la grande coesione e disciplina che hanno caratterizzato i primi mesi hanno lasciato spazio ad un quadro più frammentato. Il problema è aggravato dal fatto che, spesso, le Istituzioni hanno dato un’immagine non all’altezza della gravità della situazione. Gli scontri continui tra Stato e Regioni, quelli tra i partiti (si veda da ultimo questa incredibile crisi di governo), il cattivo esempio dato da certi leader politici. Se si chiedono sacrifici si deve in primo luogo dimostrare autorevolezza.

Non sarebbe, forse, il caso di aprire un dibattito politico sulla necessaria convivenza con il virus?

Senza dubbio, ma senza limitarsi alla “convivenza”. Occorre prepararsi fin da subito a costruire un futuro migliore che dovrà tenere conto, in primo luogo, delle fragilità e delle ingiustizie che il virus ha reso ancora più evidenti. Per farlo ci vogliono visione, unità e coraggio di superare gli steccati ideologici per lavorare insieme con l’obiettivo comune di dare una prospettiva di speranza alle persone. A Lucca abbiamo cercato di farlo con i tantissimi provvedimenti messi in campo. Soprattutto stiamo cercando di portare avanti un dialogo con alcuni pezzi dell’opposizione che hanno capito che nel mezzo di una pandemia bisogna far prevalere la responsabilità per il bene comune, evitando di perdersi in guerriglie dannose. E un’ultima cosa: la “convivenza con il virus” non può essere declinata solo dal lato del pur importantissimo sostegno dell’economia. Perché la caduta del PIL è importante ma non meno rilevante della crisi che stanno soffrendo la scuola, l’università, il mondo dello sport, i luoghi della cultura, dell’arte e della musica. La pandemia, purtroppo, segnerà per sempre un’intera generazione di studenti. La Dad ha consentito di mandare avanti, in qualche modo, i programmi scolastici. Ma non può sostituire l’universo di relazioni, esperienze, emozioni – in una parola di vita! – che un giovane fa negli anni delle superiori o dell’università. Il “tempo dei costruttori” auspicato dal Presidente della Repubblica può affermarsi soltanto in un rinnovato clima di concordia e coesione sociale che può aversi, certamente, con una grande attenzione ai bisogni materiali delle persone, con aiuti economici e misure per favorire la ripresa. Ma senza dimenticarsi delle ferite immateriali, non meno profonde e forse meno rimarginabili, che questo tempo ha inflitto soprattutto ai più giovani ai quali è stato incolpevolmente sottratto un pezzo importante di vita.

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