Rapporto Caritas: le povertà trovano ascolto.

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È stato presentato oggi pomeriggio nel salone dell’Arcivescovato il nuovo rapporto sulle povertà e le risorse nella Diocesi di Lucca.

Oltre 120 pagine ricche di numeri ma soprattutto di storie, dunque di quanto viene raccontato nei Centri di ascolto della Caritas diocesana.

«Una delle 13 caratteristiche dell’amore cristiano elencate da Paolo nel tredicesimo capitolo della Prima Lettera ai Corinzi – ha scritto l’arcivescovo Paolo Giulietti nella prefazione – riguarda la speranza: la carità tutto spera. Ne fa un acuto commento Papa Francesco in Amoris laetitia 116-117.

Indica la speranza di chi sa che l’altro può cambiare. Spera sempre che sia possibile una maturazione, un sorprendente sbocciare di bellezza che le potenzialità più nascoste del suo essere germoglino un giorno.[...] Implica accettare che certe cose non accadano come uno le desidera, ma che forse Dio scriva diritto sulle righe storte di quella persona e tragga qualche bene dai mali che essa non riesce a superare in questa terra. Qui si fa presente la speranza nel suo senso pieno, perché comprende la certezza di una vita oltre la morte. Quella persona, con tutte le sue debolezze, è chiamata alla pienezza del Cielo. Là, completamente trasformata dalla risurrezione di Cristo, non esisteranno più le sue fragilità, le sue oscurità né le sue patologie. Là l’essere autentico di quella persona brillerà con tutta la sua potenza di bene e di bellezza. Questo altresì ci permette, in mezzo ai fastidi di questa terra, di contemplare quella persona con uno sguardo soprannaturale, alla luce della speranza, e attendere quella pienezza che un giorno riceverà nel Regno celeste, benché ora non sia visibile.

È molto importante questa sottolineatura, soprattutto quando la progressione degli indicatori negativi potrebbe scoraggiare, con la povertà che diventa endemica e le disuguaglianze che colpiscono fette sempre più consistenti di popolazione; con la tentazione di rispondere solo a livello emergenziale o assistenziale, senza puntare sul riscatto e sul protagonismo delle persone: “tanto non c’è niente da fare”, oppure “con quello è fatica sprecata, non cambierà mai”. Una carità fondata sulla speranza non cessa di scommettere sugli elementi di bene, anche piccoli, presenti in ogni situazione come opportunità di promozione e redenzione. Sa infatti che ne vale sempre e comunque la pena, checché ne dicano gli onnipresenti “profeti di sventura”.

Tale atteggiamento è tanto più prezioso ai giorni nostri, dinanzi a una certa colpevolizzazione della povertà e accettazione supina delle inequità, espressioni di quella “globalizzazione dell’indifferenza” che mina alla radice ogni impegno a favore delle persone e delle situazioni più deboli. Fenomeni macroscopici come l’immigrazione, il disagio giovanile, i working poor… si possono fronteggiare solo nel segno della speranza, tali e tanti sono i fattori problematici che essi presentano.

L’orizzonte del giubileo 2025, il cui tema è Pellegrini di speranza, colloca l’azione caritativa della comunità cristiana nella prospettiva del Regno, contenuto dell’anno di grazia del Signore: una società nella quale – secondo il volere di Dio – nessuno sia privato della dignità e dei mezzi di sussistenza, in concordia fraterna e armonia con il creato e il Creatore. La carità cristiana non è riducibile a una prestazione di servizi; è invece profezia a primizia del Regno, espressione dell’amore che scaturisce dalla Pasqua del Cristo. Tutto spera, appunto».

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Nella sintetica guida alla lettura del rapporto si legge:

I dati contenuti nel nuovo dossier sulle povertà e le risorse nell’Arcidiocesi di Lucca – raccolti grazie al lavoro di accoglienza e aiuto svolto dagli operatori, per lo più volontari, presso i Centri di Ascolto – mostrano l’immagine di un territorio che ormai da anni si confronta, come buona parte del resto d’Italia, con l’inasprimento dei fattori di vulnerabilità economica e sociale. Questo fenomeno si traduce, come evidenziato anche dalle statistiche regionali e nazionali, in un incremento delle persone e dei nuclei familiari che sperimentano la povertà, anche grave. È ragionevole affermare che il fenomeno della povertà e quello delle dinamiche riconducibili ai meccanismi di esclusione sociale ad esso connesse, oggi più che mai, sono lontani da un loro superamento. Le tradizionali situazioni di fragilità, che da tempo colpiscono una fetta consistente della popolazione, recentemente sono state ulteriormente esacerbate dal lungo strascico della pandemia, dai precari equilibri geopolitici connessi alle guerre in corso e dalla rilevante crescita dell’inflazione. Complessivamente i dati sulla povertà, inclusi quelli raccolti presso i Centri di Ascolto dell’Arcidiocesi, mettono in luce la difficoltà che le famiglie sperimentano nel resistere ai processi di marginalizzazione legati all’aumento delle disuguaglianze.

Anche in questo ultimo anno il numero delle persone che si sono rivolte ai Centri di Ascolto dislocati nei diversi comuni e frazioni dell’Arcidiocesi è molto alto. Sono state censite 2.472 persone. A queste ne devono essere aggiunte altre che hanno beneficiato di forme di sostegno informale da parte di sacerdoti, volontari ecc. senza passare dai Centri di Ascolto. Per alcuni soggetti, infatti, persistono delle difficoltà nel raggiungere i Centri di Ascolto a causa impedimenti fisici, logistici oppure per il senso di vergogna.

Le persone che si rivolgono ai Centri di Ascolto nella maggior parte dei casi sono giovani e adulti, italiani e stranieri, inseriti all’interno di contesti familiari, soprattutto nel caso delle persone che hanno alle spalle un percorso migratorio. Dall’ascolto delle loro storie di vita e dalle loro richieste di aiuto si comprende facilmente che il disagio interessa tutti i soggetti dei nuclei familiari, inclusi di bambini. Le storie di vita narrate presso i Centri di Ascolto sono costellate da una molteplicità di problemi e, sempre più spesso, la fragilità occupazionale svolge un ruolo importante nella riproduzione della condizione di disagio. Circa il 70% riferisce di essere disoccupato. L’assenza di lavoro però non è l’unica condizione di disagio sul fronte lavorativo: anche quando il lavoro è presente, questi, in alcuni casi, non basta a far fronte alle esigenze primarie del nucleo familiare (il 20% può essere definito lavoratore povero). Nel processo di valutazione del livello di benessere complessivo delle persone incontrate, se oltre all’osservazione della dimensione economica, si guarda anche a quella della salute, della qualità dell’abitazione, dell’istruzione e dell’ambiente si osserva il sovrapporsi di molteplici forme di svantaggio che rendono particolarmente grave la situazione di disagio, in quanto la somma dei loro effetti congiunti, frequentemente, è di gran lunga maggiore della somma dei loro effetti individuali.

Il quadro complessivo delle attività realizzate dai Centri di Ascolto della Caritas mostra, ancora una volta, la persistenza di un numero significativo di persone, adulti, bambini e anziani che vivono cronicamente in gravi situazioni di deprivazione. Questo scenario invita a un rinnovato impegno da parte di tutti nello sviluppo di nuove forme di attenzione agli ultimi e di solidarietà sociale. Il presente lavoro vuole quindi rappresentare uno strumento nelle mani del lettore per riflettere, incrementare la consapevolezza circa l’impatto della povertà e contribuire a sviluppare una riflessione intorno alle azioni da intraprendere da parte di ciascuno di noi.

Per quanto riguarda la struttura del lavoro, anche quest’anno il dossier è articolato in due parti.

Il primo capitolo descrive brevemente le principali caratteristiche del fenomeno povertà in Italia grazie allo studio dei dati più aggiornati forniti da Istat e da Caritas Italiana.

Il secondo capitolo è dedicato alla presentazione dei dati raccolti presso i punti di ascolto dell’Arcidiocesi di Lucca durante il 2023. La lettura di queste informazioni è estremamente utile per ricostruire i volti delle persone accolte e le caratteristiche ricorrenti nelle storie di povertà intercettate.

Il terzo capitolo è dedicato ad un approfondimento sulla figura del lavoratore povero. Il tema del lavoro povero interroga tutti: le istituzioni, le organizzazioni del terzo settore, il volontariato e i singoli cittadini, la comunità tutta, rispetto a quali possano essere le più efficaci strategie di contrasto delle povertà quando “il lavoro non basta”. Il fenomeno dei working poors sta assumendo dimensioni sempre più importanti, anche a causa dei rincari diffusi di beni e servizi, soprattutto di quelli di prima necessità. Proprio a questa figura è stato dedicato un approfondimento anche nell’ultimo Rapporto Nazionale Caritas sulla povertà e l’esclusione sociale in Italia. Alla luce della presenza costante di lavoratori poveri presso i Centri di Ascolto dell’Arcidiocesi, il capitolo propone alcune riflessioni sui processi di impoverimento dei lavoratori, grazie anche a una serie di interviste narrative realizzate con persone che vivono questa condizione.

La seconda parte del dossier contiene due ulteriori approfondimenti qualitativi. Il primo è dedicato alla povertà minorile ed educativa e il secondo alle condizioni di disagio e bisogno della popolazione detenuta all’intero della Casa Circondariale di Lucca.

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A illustrare il rapporto 2024 ai cronisti c’erano, oltre all’arcivescovo Giulietti, Don Simone Giuli, direttore Caritas Diocesana di Lucca, la dottoressa Arianna Pisani, responsabile Osservatorio povertà e risorse nella diocesi di Lucca e la professoressa Elisa Matutini, sociologa dell’Università Ca’ Foscari di Venezia.«I dati contenuti nel Dossier 2023 sulle povertà e le risorse nell’Arcidiocesi di Lucca – ha detto don Simone Giuli, direttore della Caritas diocesana di Lucca – fotografano un territorio che ormai da anni si confronta, come buona parte del resto d’Italia, con l’inasprimento dei fattori di vulnerabilità economica e sociale. È ragionevole affermare – continua Giuli – che il fenomeno della povertà e quello delle dinamiche riconducibili ai meccanismi di esclusione sociale ad esso connesse, oggi più che mai, siano lontani da un loro superamento. La fragilità persistente è stata esacerbata dal lungo strascico della pandemia, dai precari equilibri geopolitici connessi alle guerre in corso e dalla rilevante crescita dell’inflazione». Venendo alle storie e ai volti delle persone accolte nei punti di rilevazione – 32 Centri di Ascolto (CdA), 2 empori e 5 associazioni – dislocati nei diversi comuni e frazioni dell’Arcidiocesi, scopriamo che nel 2023 sono state censite 2.472 persone(2385 l’anno precedente). Si tratta del numero più alto mai registrato dall’inizio delle attività dei CdA. A queste ne devono essere aggiunte altre, non quantificabili, che hanno beneficiato di forme di sostegno informale da parte di sacerdoti, volontari, etc… che non sono passati dai CdA per vergogna o per difficoltà logistiche. Circa una persona su due frequenta il CdA da più di quattro anni. Molto diffuso è il fenomeno del ritorno ai CdA dopo un periodo di miglioramento della propria condizione di disagio.

Profili

Tra i percorsi di impoverimento si possono individuare quattro profili. Il primo riguarda i nuclei familiari composti da persone coniugate o conviventi con gli figli piccoli, il cui impoverimento prende avvio da difficoltà legate al lavoro. In questo profilo si trova la maggior parte dei lavoratori poveri incontrati nel 2023. In uno scenario di questo tipo si possono verificare situazioni in cui i nuclei familiari non riescono ad arrivare a fine mese nemmeno quando entrambe le persone adulte hanno un’occupazione. Il secondo profilo di persone è costituito da nuclei familiari monogenitoriali e, in modo particolare, da quelli che hanno come figura adulta di riferimento una donna. Le lavoratrici, pur avendo titoli di studio mediamente più elevati degli uomini, avvertono più difficoltà rispetto ai maschi nel trovare un’occupazione e conservarla. Anche le retribuzioni tendono ad essere estremamente contenute. Il terzo coinvolge soprattutto le persone che vivono da sole, senza figli, in maggioranza maschi italiani over 50, che hanno sempre faticato a trovare un’occupazione perché interessati da una pluralità di fattori di fragilità, tra i quali anche problemi di salute. Il quarto e ultimo profilo è costituito da coloro che non sono più in età da lavoro e che percepiscono una pensione non adeguata alle proprie esigenze. 

A questi quattro profili generali, vi sono due altri elementi statistici che delineano i volti incontrati nel 2023 dai CdA: una persona su due accolta è straniera, con tutte le difficoltà che questo comporta. Inoltre all’interno dei nuclei familiari aiutati vi risiedono un numero consistente di minori: nel 2023 1456 minori conviventi con il nucleo familiare in difficoltà e 88 minori non conviventi. Ad esse devono essere aggiunti 684 maggiorenni conviventi con il nucleo familiare che richiede aiuto.

Ambiti

I tradizionali ambiti dell’impoverimento riguardano: istruzione, lavoro e casa. La grande maggioranza delle persone accolte presso i CdA dell’Arcidiocesi dispone di un titolo di studio basso. Il 3,2% riferisce di non avere alcun titolo di studio, mentre il 16,7% ha solamente la licenza elementare (19,3% degli italiani e il 14,6% degli stranieri). Una persona su due ha la licenza media inferiore. I maschi hanno titoli di studio più bassi rispetto alle femmine. Gli stranieri mediamente sono maggiormente istruiti (il 22% ha un diploma di scuola media superiore contro il 13,3% degli italiani) ma i loro titoli di studio spesso non sono riconosciuti in Italia. La disoccupazione, tra quanti incontrati dai CdA, è al 27,6% per gli italiani e al 37,5% per gli stranieri, complessivamente il 65,1% è senza lavoro. Tra le persone incontrate presso i CdA le uscite monetarie utili per coprire le spese legate all’abitare spesso sono sproporzionate rispetto alle entrate mensili, anche nei casi in cui vi siano due persone che percepiscono un reddito. Circa una persona su due vive in affitto. Coloro che dispongono di una casa di proprietà sono solo il 10% del totale (evidenziando un ulteriore calo rispetto al passato). Coloro che usufruiscono di una casa di edilizia popolare sono il 12,7% (20,1% degli italiani e 6,2% degli stranieri). In molte aree dell’Arcidiocesi anche il reperimento di un’abitazione costituisce un problema rilevante a causa del fenomeno delle case sfitte, degli affitti stagionali e per l’atteggiamento di diffidenza nei confronti di persone con redditi contenuti e di nuclei familiare composti da persone straniere.

APPROFONDIMENTI

Come ogni anno il dossier contiene anche degli approfondimenti qualitativi su aspetti specifici. I temi affrontati sono: la povertà minorile e educativa, l’in-work poverty, ovvero la condizione di coloro che vivono in povertà assoluta pur svolgendo un’attività lavorativa e il lavoro di sostegno e inclusione realizzato in carcere con le persone che stanno scontando una pena definitiva.

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1 commento

  1. La civiltà di un paese si giudica da come tratta i poveri in assoluto, i“working poors”, gli anziani, gli immigrati, i rifugiati, i carcerati, insomma i vulnerabili ed i fragili in genere. Chi per una causa od altra “non ce la fa” a vivere una vita dignitosa, e paga con la sofferenza e assai spesso anche con l’esclusione sociale.
    Leggo qui sopra: “I tradizionali ambiti dell’impoverimento riguardano: istruzione, lavoro e casa”. L’esclusione da questi “mondi” porta ad “essere fuori” dal quel consorzio umano e civile al quale apparteniamo come esseri umani. Pochi giorni fa, soltanto come esempio, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità di una legge regionale veneta sull’accesso alle case popolari ritenendo “diritto sociale inviolabile” quello alla casa.
    Bene, dunque, tutte le attività caritatevoli organizzate, oltre alla solidarietà individuale. Ma le nostre società sono ormai troppo articolate e complesse perché il problema venga davvero risolto per tali vie. Occorre riconoscere e ricordare che la “povertà” oggi raggiunge, nei suoi molti rivoli e risvolti come il Rapporto documenta incisivamente, dimensioni quantitative importanti che si possono ricondurre a soglie accettabili creando diffuse occasioni di lavoro, costruendo case di civile abitazione e cura, asili, scuole, ospedali e carceri e molto altro, dotando il tutto con personale dignitosamente retribuito. Questo implica e richiede quella particolare forma di solidarietà sociale che si estrinseca nel corrispondere le imposte e le tasse. Da questo punto di vista la maggioranza dei contribuenti è in regola. Ma molti, troppi farabutti e mascalzoni non lo sono: vogliono e di fatto ottengono i benefici del vivere in una società organizzata senza contribuire ad essa per la loro parte. In base alle dichiarazioni del 2023 (su dati 2022) per l’imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef) solo il 20% dei contribuenti contribuisce per circa il 65% del gettito in Italia (fonte: Il Sole-24 Ore di oggi 24 Aprile 2024).
    Questo è ’normale? Si noti bene che si tratta di corrispondere il dovuto alla società in cui si vive in cambio dei benefici che se ne ricavano. L’altra grossa questione – “dare ai poveri togliendo ai ricchi”- non è qui nemmeno lontanamente in causa.
    La civiltà (e la solidità) di un paese si giudica anche da questi punti di vista.

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