Primarie: culmine della democrazia o morte dei partiti?

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Si sono tenute le primarie del PD. Abbiamo già avuto modo di avere una valutazione politica di Umberto Sereni, nel suo ultimo “bollettino di guerra”, relativa al significato per il centro sinistra di questa elezione.

Resta però un aspetto molto importante da osservare: le primarie hanno ribaltato (e reso irrilevante) il voto degli iscritti. Ossia il leader del partito non è stato determinato da chi si è associato al PD ma da un elettorato assai più ampio e, in quota non irrilevante, neppure elettore del partito.

Questo fatto apre ad una serie di significative conseguenze. La prima delle quali è che l’iscrizione ad un partito è diventata un fatto superfluo anche ai fini della partecipazione alla vita del partito stesso.

La stessa neosegretaria ha usato il PD come taxi dal quale è salita e scesa più volte: prima dall’esterno lo ha contestato (ai tempi di #OccupyPd) poi ha preso la tessera per essere eletta al parlamento europeo, quindi la ha stracciata dicendo pubblicamente di non sentirsi più rappresentata da questo per entrare in Articolo 1. Da questo partito viene candidata alle elezioni regionali dell’Emilia-Romagna dove è la più votata (sebbene la lista che la presenta prenda solo il 3%) e viene nominata vicepresidente della giunta Bonaccini. Da lì viene candidata al Parlamento nelle liste del PD (in quota Articolo 1 ed altri). Quindi riprende la tessera per fare la corsa per la segreteria. Perde nei circoli, poi vince le primarie e diviene segretaria.

Non certo la storia di un rappresentante di partito. Anzi, qualche anno fa sarebbe stata considerata la storia di uno che non ha una radice se non proprio di un opportunista.

Ma oggi va così: non conta una lunga militanza. Anzi, la militanza non conta affatto.

E non è così solo per il PD. Conte è diventato presidente dei 5 Stelle senza neppure essere iscritto al movimento e in deroga ad ogni regola. In Forza Italia è notorio che le cariche di partito sono di nomina diretta di Berlusconi a cui il partito, semplicemente, appartiene. Nella lega di Bossi era notorio che il leader poteva fare e disfare linee politiche e incarichi senza che vi fosse una voce capace di opporvisi e questo si è mantenuto con Salvini. Anche in Fratelli di Italia il cerchio magico è assai ristretto.

In tutti i partiti, i candidati nelle posizioni con maggiore possibilità di elezione sono nominati dai leader in maniera pressoché solitaria e il sistema elettorale, fortemente voluto dai partiti stessi, rende irrilevante la qualità dei candidati o il loro consenso personale ai fini della loro elezione in parlamento. Quindi, in tutti i partiti, troviamo che nelle posizioni che contano ci sono sempre e solo persone direttamente, e personalmente, collegate con i vertici.

Solo che, PD a parte, per arrivare al vertice in tutti i casi devi essere portato dal vertice stesso o conquistare (faticosamente) la maggioranza degli iscritti. Così Conte è stato imposto da Grillo. Salvini ha conquistato la base sfiduciando Bossi. Berlusconi è inamovibile a vita. Il cerchio magico di Fratelli di Italia è fatto in gran parte dai leader che hanno fondato il partito.

La particolarità del PD è che la struttura è scalabile dall’esterno con facilità: il meccanismo delle primarie aperte rende possibile che vinca, come accaduto questa volta, qualcuno che non ha consenso nel partito.

Viene allora da chiedersi cosa serva ancora un partito se non è più neppure lo strumento di selezione e formazione della propria classe dirigente. Voglio dire: è tanto che i partiti hanno abdicato al loro compito di organizzazione del consenso di popolo tramite presenza diretta nella società, ma erano (e in parte sono ancora) comitati elettorali con una base interna che elabora una linea e produce una classe dirigente. Lo fa male, nel senso dei vizi di nepotismo e formazione di clan sopra citati, ma comunque questa classe dirigente e una qualche linea politica la producono. Se la selezione di queste persone avviene all’esterno quello che resta è solo un simbolo, che assume un significato diverso a seconda del segretario di turno. Così lo stesso partito (PD) può fare segretari Renzi, Letta e Schlein in meno di dieci anni. Non esattamente una direzione chiara.

Tre segretari con tre linee a dir poco divergenti su praticamente tutto. Pesino nel modo in cui arrivarono alla guida del partito. Il primo a furor di popolo votato sia da dentro (la base) che fuori dal partito proprio contro l’establishment, il secondo scelto “al caminetto” dai signori delle tessere e richiamato in servizio dalla legione straniera e con la terza, Schlein, che non convince la base ma diviene segretaria lo stesso per effetto del sostegno dei “simpatizzanti”.

Lo stesso partito, gli stessi elettori, che in pochi anni sostengono convintamente linee, posizioni, ideali e progetti agli antipodi.

Che cosa dovremmo allora dire dei valori che il partito dovrebbe rappresentare? Quali sono?

Non è qui importante dire chi è meglio o peggio. Il punto è che da una parte abbiamo nelle primarie un sistema, l’unico fin qui proposto e attuato, per avvicinare la gente, tanta gente, alla vita del partito dopo la crisi degli ultimi venti anni. Sistema che ha mosso circa un milione di votanti e non è certo poco. Dall’altro questo metodo, inevitabilmente, rende obsoleto il concetto stesso di partito e irrilevante la partecipazione attiva alla sua vita.

Così il partito diventa movimento la cui differenza dal primo è proprio che il secondo è un fatto di opinione e non di partecipazione strutturata. Ma il movimento non ha radici e produce linee di pensiero che, in ultima istanza, dipendono esclusivamente dal capo di turno. Che è lo stesso che determina la rappresentanza politica nelle istituzioni che quindi, invariabilmente, gli fa eco. Così i partiti smettono di essere luoghi di elaborazione di progettualità future, di confronto di idee e di elaborazione di complesse (e talvolta sofferte) sintesi e diventano enormi macchine di raccolta di “like” e voti sotto la bandiera dell’«influencer in command».

Al momento non ci sono proposte diverse. Non ci sono partiti che stanno facendo un percorso alternativo: aperti o chiusi, con o senza ricambio, tutti i partiti sono macchine di inseguimento del consenso che non lasciano spazio all’accumulazione culturale e sono totalmente concentrati nell’inseguimento dei “trend topics”, delle parole d’ordine più facili e che possono meglio coagulare un consenso nel breve termine.

C’è da chiedersi dove ci porterà un tale perscorso…

Andrea Bicocchi @Andrea_Bicocchi

Foto di Edmond Dantès da Pexels

Andrea Bicocchi
Andrea Bicocchi
Imprenditore, editore de "Lo Schermo", volontario. Mi piace approfondire le cose e ho un'insana passione per tutto quello che è tecnologia e innovazione. Sono anche convinto che la comunità in cui viviamo abbia bisogno dell'impegno e del lavoro di tutti e di ciascuno. Il mio impegno nel lavoro, nel sociale e ne Lo Schermo, riflettono questa mia visione del mondo.

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