Anche a Vicopelago si festeggiò la Vittoria. – ultima parte-

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In occasione del Centenario della Vittoria, celebrato nel 2018, tutti i social, i giornali, i media riportavano le solite frasi fatte come: “La Vittoria mancata”, la “Quasi Vittoria”, la “Vittorio Mutilata”, sempre per la mancata annessione di Fiume!

In realtà la città di Fiume sarà oggetto di un lungo e doloroso contenzioso bellico amministrativo, diretto da D’Annunzio. L’occupazione sfocerà al limite della guerra civile, ma in realtà Fiume non era compresa negli accordi iniziali – il Trattato (segreto) di Londra – del 26 aprile 1915, nel quale si ridisegnavano gli assetti europei post-guerra. I patti son patti. Fiume non c’era e dovette essere “rilasciata”.

Siamo un paese strano. Mai contenti. Sempre critici. Tendenti in genere al negativo.

È così; la devastante ferita del Secondo Conflitto Mondiale c’ha messo il carico; questa vittoria, quella della grande Guerra, passa indietro, più sotterranea, silenziosa, quasi scroccata, indecente, da vergognarsene un po’.

Però esiste. C’è. Abbiamo vinto alla fine. Questa vittoria è presente e viva nella storia di questo paese, anche se ricordiamo piuttosto meglio Caporetto, che Vittorio Veneto.

Anche il Generalissimo Diaz, quello che prende il posto del “Macellaio” Cadorna, quando gli comunicano il grande successo di Vittorio Veneto prodromo dell’armistizio, in perfetto napoletano chiede ai suoi ufficiali di Stato Maggiore, indicando una carta geografica: “Ndò cazzo stà sto Vittorio Veneto?” (è documentato!).

Però sono gli Austro-ungarici, con un giovane ufficiale di madre italiana, Camillo Ruggera (poi si farà «austriacare» il nome in Kamillo e con questo cognome firmerà la copia dell’Armistizio) che vengono a chiedere un armistizio; vogliono arrendersi!

Il capitano Ruggera, il pomeriggio del 29 ottobre 1919, viene a parlamentare ed offrire la resa davanti alle nostre trincee a Serravalle d’Adige, vicino Rovereto; inizialmente viene accolto a mitragliate dai soldati italiani, tante e ben indirizzate da spezzare l’asta della bandiera bianca! La guerra alla lunga è crudele, alla fine non si crede più neanche alla bandiera bianca; poi è tutto a cascata; lui impreca a voce alta in italiano, i soldati smettono di sparare, … gli credono, lo impacchettano, lo bendano con un cappuccio e lo portano al Comando ad Abano.

Questi fa accreditare in serata il Generale Von Webenau, e da lì… le trattative, i dettagli, le condizioni favorevoli a noi, e l’Armistizio.

A Bagni di Lucca intanto le brave donne, sotto la direzione della Evangelica Whipple, continuano a confezionare calze di lana da inviare ai bravi soldati al fronte, come si fa in mille paesi d’Italia. Interessante nella lettera di accompagnamento la precedenza dei valori: la “giustizia” e dopo la duratura pace. Poche idee ma ben chiare!

Sull’altro fronte Austroungarico e tedesco si muore di fame questa è la verità. Il blocco navale dell’Adriatico da Sud e del Mare del Nord impedisce l’afflusso dei rifornimenti; a Vienna non c’è più farina bianca.

L’Imperatore austroungarico Carlo I d’Austria e la sua gentile consorte, una florida ragazzotta di Capezzano Pianore (LU), Zita di Borbone-Parma, l’ultima Imperatrice d’Europa, mangiano pane di segale alla mensa reale; Zita, cattolicissima, sarà poi nominata “Serva di Dio”, è in contatto continuo con il Santo Padre a Roma, e implora continuamente il marito affinché chieda un Armistizio all’Italia, tanto da essere malvista dai notabili di corte; lei italiana, vive un dramma interiore fortissimo.

Alla fine il marito cede…

L’Austria Ungheria si arrende all’Italia.

I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza.

E come già ricordato, è il 14° Reggimento Cavalleggeri che libera Trento, il 3 Novembre; IL 14° che parte da Lucca! Non è un onore da poco per la nostra città!

Il Professor Macchia ha scritto un bel libro sul Comandante del reggimento, il Generale Tarditi da Centallo.

Già che ci siamo sfatiamo alcuni luoghi comuni più diffusi ed errati della Grande Guerra, sulla bocca di tutti coloro che discettano di storia facile, un tanto al chilo, quelli sempre pronti a denigrare e soloneggiare.

…L’italica fame. Siamo un popolo perennemente affamato…

“Avevin fame,…morivin di fame,…‘un c’era il pane,…èn morti di fame…” e via così.

Quella atavica finta-fame è un “leitmotiv” ricorrente tra i nostri anziani; ma non trova alcuna rispondenza. La Prima Guerra Mondiale non porta la fame per gli Italiani al fronte. La Prima Guerra è “statica”, il fronte si muove di pochissimo, le retrovie sono intatte! È la Seconda Guerra mondiale che invece, grazie al progresso della motorizzazione, diventa guerra “dinamica”; in 15 mesi gli Alleati percorrono la nostra penisola, la guerra di movimento distrugge infrastrutture e raccolti, e travolge tutto. Lì sì che moriamo di fame! Ci sfamerà la generosità degli americani.

Dopo però la sconteremo. Non c’è niente a gratis.

I soldati italiani nella Grande Guerra al fronte mangiano, sempre. È la qualità del pasto che lascia a desiderare, questo è vero; non la quantità. Nelle retrovie viene cucinato un unico pasto, composto da carne pomodori e pasta (la cosiddetta sboba!), e cotto il pane; una volta cucinato come una specie di “gulasch”, viene trasportato nelle casse termiche (in quel tempo il rivestimento era in amianto), fino alla prima linea. E qui, a causa di molti fattori, lunghezza del percorso, cannoneggiamenti, tiro di cecchini ecc., il cibo cucinato non arrivava mai caldo, ma sempre in ritardo e quindi freddo; veniva quindi sporzionato nelle gavette; queste erano “riscaldate” con gli “scaldarancio”, rudimentali fornelletti alimentati da rotolini di tessuto intriso di paraffina, una confezionatura effettuata delle donne riunite nei vari comitati assistenziali delle città.

Arrivano le prime scatolette di cibo sigillate! Una invenzione della guerra.

Ne verranno distribuite 200 milioni, da consumarsi, su autorizzazione, in carenza di rancio caldo. L’eccedenza poi verrà riutilizzata e distribuita ai nostri soldati in Africa del Nord, 25 anni dopo! Avariata…

I grandi rifornimenti agli Alleati arrivano, grazie ai porti tirrenici liberi e aperti, al contrario dei porti adriatici dell’Austria-Ungheria interdetti e chiusi dal ferreo blocco navale che la Regia Marina effettua alle Bocche del Cattaro e che impedisce l’afflusso logistico dei rifornimenti. I nostri soldati invece mangiano sempre il pane, grazie ai granai della Pianura Padana, delle Puglie, della Campania. Dove non c’è il fronte. La Guerra è sul fronte Nord Est. Le altre zone d’Italia sono tranquillissime.

Gli Imperi invece nel 1918 muoiono letteralmente di fame, han finito tutte le riserve.

Noi abbiamo anche il vino, la grappa, i sigari, le sigarette e il tabacco, forniti in abbondanza dalle Regie Manifatture Tabacchi; il tabacco è fornito inizialmente come lenitivo delle sofferenze, poi si diffonde rapidamente tra la truppa.

La tradizione per la quale non si devono accendere tre sigarette con un unico fiammifero ha origine dalla guerra di trincea (italiana o ungherese, non è certo); alla prima sigaretta accesa il cecchino nemico punta il fucile, sulla seconda sigaretta prende la mira e alla terza spara e uccide lo sfortunato di turno, appunto il terzo! Meglio spegnere il fiammifero alla seconda…

Il caporale Alessandro Ruffini pagherà caro il vizio del fumo, perché il 3 novembre del 1917, incrociando il generale Andrea Graziani lo saluta, senza togliere di bocca la pipa; il generale Graziani, infuriato per questa mancanza di rispetto, lo farà fucilare su due piedi! Poi dicono che il fumo non fa male…

Nel ’31 però quel tal generale Graziani cadrà misteriosamente da un treno e morirà per l’urto sulla massicciata… Sangue chiama sangue.

E poi ancora con i luoghi comuni: le scarpe di cartone; I soldati nella Grande Guerra avevano scarponi alti di cuoio grasso, il Modello ‘12, con i chiodi. Le fasce mollettiere garantivano una ottima tenuta del calore, migliore delle calze.

Erano ottime calzature, certamente non di cartone pressato, ma in vacchetta, con la suola chiodata; il problema era invece il freddo che penetrava attraverso i chiodi, perché le suole erano in cuoio (non avevamo la gomma…) e per non consumarle venivano spessorate con dei chiodi rovesciati.

La critica delle scarpe di cartone è da attribuire al Regio Esercito Italiano della Seconda Guerra Mondiale, dove, purtroppo questa leggenda diventa tragica realtà e le calzature verranno realizzate, grazie alla autarchia, con le suole in “Cuoital” costituito cascami di cuoio, lattice e cartone pressato. Lo sciagurato regime spedisce i soldati in Russia, dove a migliaia perderanno gli arti inferiori per congelamento.

Ancora…: le “uniformi colorate con i gradi scintillanti al sole”…

Ma quando mai? Il Regio Esercito, assai lungimirante, dall’inizio del XX secolo aveva adottato la nuova uniforme Mod. 1909 color mimetico, il “grigio-verde” che si attagliava perfettamente al nostro teatro operativo, con i gradi a bassa visibilità. Altro che “colorate e scintillanti”!

L’attagliamento, la foggia, il modello erano pratici e funzionali; giubba abbottonata internamente per evitare che si impigliasse, tubolari cuciti sulle spalle per tener fermo il fucile, gradi color scuro a bassa visibilità. È vero invece che lo Stato Maggiore non pensò all’elmetto (dettagli…una mera dimenticanza…) rimediato di corsa acquistandolo dai Francesi, nostri alleati che ne cedettero un quantitativo limitatissimo; l’elmetto «Adrian mod. 15». Era stato studiato per i pompieri parigini! Per questo ha due alette “sgrondatoio” inclinate davanti e dietro.

Distribuito inizialmente in numero di 5 per compagnia, se lo accaparrarono subito gli ufficiali… Poi le esigenze di guerra, rapidamente, fecero produrre dalle industrie nazionali un modello simile, il Mod.16, semplificato; tanto funzionava male lo stesso. Era leggerissimo, in lamiera stampata monoblocco, 670 gr. contro l’elmetto Stahlhelm mod.16 tedesco che pesava oltre 2 kg.! (veniva la cervicale, ma parava le schegge di granata molto meglio!).

Al fianco del nostro soldatino la borraccia, in legno. Legno di pioppo, perché la fibra ha numerose celle vuote e in tal modo agisce da camera isolante, come un primordiale thermos. Si chiama borraccia Modello “Guglielminetti” dal nome del suo produttore, un torinese. Le istruzioni stampate sui fazzolettoni distribuiti alla truppa dicono di riempirla con acqua e un poco di aceto. Questa è una bevanda dissetante, amarognola, che ha il pregio, oltre a dissetare, di disinfettare l’acqua impedendone l’impuditrimento a contatto con il legno. Si chiama” la posca”.

Chi come lo scrivente ha frequentato, con scarsissimo impegno a onor del vero, alcune sporadiche lezioni di catechismo, ricorda che i soldati romani, cattivoni, sul Golgota offrirono a Nostro Signore Crocefisso, prima di morire, una spugna intrisa di acqua e aceto.  Questa bevanda acida, amara, che abbiamo sempre considerato essere stata una offerta di cattiveria, era in realtà l’unica bevanda che i soldatacci avevano a disposizione sul cocuzzolo del Golgota, dove si erano portati dietro un orciolo di legno contenente questa “posca”! Tutto qui. Dopo 2000 anni è sempre quella che è riportata nei manuali di addestramento dei soldati italiani.

Andiamo avanti con i luoghi comuni.

I volontari!

I famosi ragazzi del ’99 che partirono volontari! Ma quando mai?

Sempre con questa paranoia del “volontariato”. Quanti danni ha fatto questo “volontariato”, mal interpretato e peggio gestito, travisando i nobili scopi sociali e umanitari per i quali era stato originariamente pensato.

La famosa “Classe 1899” partì perché furono rapidamente coscritti, chiamati alle armi per ripianare gli spaventosi vuoti organici dopo la disastrosa ritirata di Caporetto; altro che volontari!

Se non partivano, andavano i Carabinieri Reali a prenderli!

Erano poco più che bimbetti, ragazzini di 18 anni e anche meno! I ragazzi del ’99.

Piccoli, sguazzavano nelle uniformi, il fucile ’91 con la baionetta inastata era più alto di loro… molti di loro non avevan conosciuto neanche una donna da vicino.

Ci penseranno i bordelli da campo, con generose e remunerate signorine a colmare questa lacuna, per quelli che rimarranno vivi…

Tenevano le sigarette in mano proprio da principianti, ma si comportarono benissimo in azione.

Sul Piave, dopo la disfatta di Caporetto fermarono i tedeschi, non gli austriaci.

Sono i tedeschi che sfondano a Kobariz, chiamati in rinforzo dagli austroungarici, perché non ce la fanno più e vogliono dare un segnale forte contro gli Italiani.

Gli ufficiali tedeschi, durante le ricognizioni iniziali, indossano cappotti e berretti austriaci, per non farsi vedere e svelare la sorpresa.

Nonostante tutto, due soldati tedeschi vengono catturati poco prima della offensiva, e le carte topografiche con gli schizzi operativi che hanno addosso, rivelano che l’offensiva ci sarà, e a breve! I nostri Comandi non ci credono.

Rimangono stupiti del fatto che i dei prigionieri possiedono insieme alle carte, la bussola e il binocolo. Un caporale e un soldato semplice che sanno leggere la carta e la bussola? Impossibile!

Inconcepibile per i nostri capi! Infatti si son visti i risultati…

Per fortuna ci pensano i giovani ragazzi del ’99, assieme agli altri, a fermarli sul Piave. L’ultima linea di difesa nazionale.

Dei ragazzi del ‘99 scriverà in un Ordine del Giorno il 18 Novembre del 1917, il Generale Diaz Comandante Supremo: I giovani soldati della classe 1899 hanno avuto il battesimo del fuoco. Il loro contegno è stato magnifico.

Li ho visti i ragazzi del ’99.

Andavano in prima linea cantando.

Li ho visti tornare in esigua schiera. Cantavano ancora.

Altro che volontari!

Torniamo al nostro 4 Novembre a Lucca e alle celebrazioni di fine guerra..

Cento anni fa fu deciso di ricordare questo anniversario con una grande partecipazione popolare; si aprirono sottoscrizioni e si costruirono monumenti, Viali, Parchi della Rimembranza, targhe commemorative; ogni cimitero aveva il suo piccolo monumento o pietra ricordo dei caduti di quella località. Persino a Brandeglio o a Casoli, sperduti paesini della provincia, che oggi i nostri ragazzi senza navigatore non riuscirebbero a localizzare!

Cento anni dopo, a Lucca, son riusciti a far cadere la data del Centenario nella giornata finale dei Comics. Fenomeni!

A Lucca la notizia dell’armistizio con L’Austria Ungheria “il secolare nemico”, (tanto secolare che fino a 3 anni prima era alleato con noi attraverso il patto della Triplice Alleanza), venne accolta con tripudio!

Così come i giorni seguenti la notizia dell’armistizio generale dell’11 novembre, a Compiegnè con la resa definitiva della Germania.

A Lucca si parte pertanto con il Comitato; c’è sempre un Comitato per queste cose, e noi non siam di meno. Le sottoscrizioni procedono, vengono mobilitate le scuole, e tutte le associazioni. I rendiconti sono precisi e dettagliati.

Si sceglie di realizzare, tra gli altri, il Parco della Rimembranza a Mutigliano, dove ha sede una Colonia per gli Orfani di Guerra.

Tutte le realtà cittadine concorrono a queste sottoscrizioni, privati cittadini e anche le scuole! I materiali sono forniti dalla Premiata fabbrica di mattonelle “Tessieri” sul Giannotti.

Anche il Comune di Lucca non volle esser da meno e fece realizzare un bel bassorilievo marmoreo con i nomi dei dipendenti caduti, dal giovane scultore Pinzauti; venne subito autorizzato il rimborso di L. 3.000 per le sole spese vive, e ancor di più venne apprezzata la fornitura a titolo gratuito del blocco di marmo necessario offerto dalla ditta Nord Carrara; a Lucca quando le cose sono “a gratis”, son tutti felici! La scultura fu posizionata nella parete di fronte alla prima rampa di scale del Palazzo Civico.

Terminiamo qui queste brevi note sulla Grande Guerra a Lucca, per passare successivamente ai reparti militari che si succederanno nella nostra città.

In particolare parleremo nelle prossime puntate dei due Reggimenti di Cavalleggeri il già citato 14° “Alessandria” e il 16° “Lucca”, e della sconosciuta “Brigata LUCCA”, con i loro percorsi storici, a volte curiosi, molto spesso interessanti e tragicamente coraggiosi!

Vittorio Lino Biondi
Vittorio Lino Biondi
Sono un Colonnello dell'Esercito Italiano, in Riserva: ho prestato servizio nella Brigata Paracadutisti Folgore e presso il Comando Forze Speciali dell'Esercito. Ho partecipato a varie missioni: Libano, Irak, Somalia, Bosnia, Kosovo Albania Afganistan. Sono infine un cultore di Storia Militare.

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3 Commenti

  1. Complimenti , come al solito un articolo molto interessante.
    Sono contenta che abbia parlato del contributo dato dalle donne alla Grande Guerra , proprio oggi 8 marzo , giorno in cui celebriamo la ” festa delle donne”.
    In futuro consiglio di analizzare ulteriormente questa tematica.
    Buon lavoro!!

  2. Complimenti Colonello. Interessante leggere aventi di storia spiegati con semplicità ma con maniacale precisione nel Riportare date, nomi, fatti.

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