25 novembre: “Mi raccomando, almeno te fai la brava”. Ma non troppo

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Poco alla volta e forse, raccontando da capo e mostrando alternative. Il 25 novembre, la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, dovrebbe servire a questo: a creare possibilità. Anche se il baratro dell’aula vuota del Parlamento mentre si discute una mozione in merito è ormai profondissimo. Riflettendo però, di peggio, oltre a chi non vuole immischiarsi e finge per un giorno, ci siamo noi: le donne contro le donne.

Probabilmente da piccole abbiamo letto troppo di quell’angelo di Beatrice, pura più del cielo, che ha incantato Dante e poco di Elena di Troia. Dall’irresistibile bellezza, di lei si raccontano solo i poteri di malvagia seduzione: è colpevole da sempre delle pulsioni che gli altri hanno provato verso di lei. Come quando le madri ripetono alle figlie “mi raccomando fai la brava, non come quella li”, indicando la collega con la gonna troppo corta e i tacchi a spillo. Come quando una donna particolarmente determinata e responsabile del proprio rumore viene etichettata. Come quando le “vere” donne condannano le altre donne che hanno subito violenza giudicandole per i vestiti, per il loro atteggiamento disinibito, perché troppo provocatorie e perché “così te la vai a cercare”, oppure “mio marito non fa uscire mia figlia di notte”. Ma, primo spoiler: le vere donne sono state inventate solo per giustificare il meccanismo sociale (e subdolo) che ci disegna bisognose di una guida, di un compagno che ci dica cosa è giusto indossare, incapaci di decidere per noi stesse: delle ‘poverine’ insomma.

Invece, banalmente, quando ci stuprano la colpa è solo dell’uomo, non della minigonna o di un bicchiere di vino di troppo. Anche quando ci picchiano o direttamente ci uccidono. Quest’anno si contano 57 femminicidi e la media italiana è di 11 denunce di abusi al giorno (dati della Direzione centrale della polizia criminale, 2021). A Lucca i numeri parlano di 14 femminicidi negli ultimi 15 anni e sono due le donne altopascesi che ricordiamo oggi: Maria Carmina Fontana, uccisa dal marito il maggio scorso e Silvia Manetti, uccisa dal compagno ad agosto. Tutte vittime di una cultura ipocrita che non dobbiamo più alimentare e a cui dobbiamo disubbidire per essere finalmente libere. Libere di essere madri, oppure no; di mostrare il nostro corpo, oppure no; di lavorare o fare le casalinghe, di essere Elena o Beatrice. E’ una consapevolezza che riparte dalla solidarietà reciproca e che non ci lascia sole, com’è successo alla giovane maestra d’asilo cacciata da scuola dopo che il suo ex fidanzato aveva diffuso un suo video hard. Ma, altro super spoiler: a condividerlo alle altre maestre, ad amiche e colleghe è stata un’ altra donna e anche a cacciarla da scuola è stata un’altra donna. Mentre immaginatevi una preside che quel video neppure lo guarda, che sostiene la causa legale a favore della propria insegnante (il Revenge-Porno è un reato dal 2019) e che spiega alla donna alfa e ‘seria’ di turno che la libera sessualità è un diritto. Perché non è normale accettare il rischio che un giorno possa succedere anche a noi, non è normale aver paura di camminare da sole di notte o rinunciare a mostrarsi troppo emancipate per paura di essere giudicate.

Il 25 novembre, fra post sui Social, ‘frasi fatte’ e politici ipocriti, usiamolo per darci una nuova possibilità: non identifichiamoci nel principio maschile, svilendo la nostra complessità con l’unico scopo di piacere e di farci amare. L’aula del Parlamento è vuota, ma dove la politica non c’è (e ultimamente ne sta perdendo di colpi), c’è la civiltà, la diversità, ci siamo noi con l’unica alternativa possibile: l’amore che ama prima di tutto le nostre scelte e i nostri perché. Il resto è violenza. Anche il giudizio è violenza. Almeno scrivendo cronaca quindi, nei commenti, quando passiamo per strada o andiamo al bar per un caffé, non uccidiamoci due volte.

Elena di Troia ce la raccontano cosi, in balia di uomini pronti a deciderne il destino, ma se invece fosse stata consapevole di quello che stava accadendo e l’avesse pure scelto di fuggire con Paride e poi di ritornare di nuovo a Sparta a fianco di Menelao? Elena non si lasciava influenzare dal giusto modo di comportarsi, dagli uomini e Omero la definisce più volte ‘cagna’ per questo. La verità invece è che, dai capelli lunghi e dorati, era autentica e imperfetta anche nelle sue decisioni (Liberati della brava bambina, HarperCollins 2021) e ne ha pagato caro il prezzo visti i decenni di critica letteraria che o la scrivono come ‘colpevole’ o non la nominano proprio. Invece di installare panchine rosse quindi, ripartiamo da qui, perché i numeri sui femminicidi fanno paura e lo Stato è assente ingiustificato, perché la parità di genere per creare consapevolezze e alternative deve nascere prima fra le donne per le donne. Come Elena, facciamo le brave. Ma non troppo.

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