Ma il mondo sta tornando ad affidarsi ai “seri” invece che ai “buffoni”?

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Avete notato che, improvvisamente, la serietà sembra tornata di moda? È decisamente uno degli “effetti Draghi”.

Se guardiamo alla nostra storia recente, diciamo gli ultimi 20 anni, ecco, li abbiamo passati alla ricerca del più folkloristico dei soggetti che ci salvasse da “ladri” e “grigi”.

Chi sono i “grigi”? Sono gli habitué del potere. Coloro che possono fare di tutto per tenerlo. Sposano idee e posizioni non per convinzione ma per opportunità. Sono sia burocrati, cioè gente che appartiene all’apparato pubblico, che politici: gente che parla bene ma non capisci mai davvero cosa sostiene. Non hanno una visione del “futuro di tutti” ma solo del loro. E questo futuro li deve vedere al potere. Per questo, al mutare delle situazioni, possono dire tutto e il contrario di tutto. Nessun problema. Quanto ai “ladri” non merita neppure parlarne, basta ricordare che il potere lo vogliono eccome.

Abbiamo cercato per anni, dicevamo, di ripulire il mondo da “grigi” e “ladri” abbattendo perbenismo e convenzioni sociali. Contestando l’esistente. E così abbiamo prodotto una politica fatta di “sparate”, trivialità, volgarità gratuite; quasi che se non si è volgari non si è proprio.

Abbiamo cioè ridefinito il “trivio” di questo secolo, la nuova “bettola”: quel Facebook (e altri social) che tanti “influencer” usano come discarica a cielo aperto dove vomitare insulti e grottesche teorie, agire da impuniti, fare i leoni da tastiera.

Con una sola regola: mai pensare davvero.

Intendiamoci, non che i vari social non possano essere altro, che non possano essere uno strumento “nuovo” e positivo di comunicazione e di trasmissione del sapere. Ma sappiamo che, troppo spesso in politica, così non è.

Il problema è che trattare un argomento in modo serio è barboso. Sì, barbosissimo. Perché richiede di leggere varie fonti, di capire delle materie di cui si vuole parlare, di fare approfondimenti su studi e analisi fatte, di documentarsi. Barboso. E poi vi immaginate trattare in modo approfondito un argomento a colpi di 160 caratteri?

Molto più facile guardare un video su YouTube in cui un moderno telepredicatore, usando un linguaggio rude e “folkloristico”, snocciola “verità” che il mondo non vorrebbe vedere o riconoscere. Meglio ancora se suggerendo complesse cospirazioni internazionali o poteri forti che tramano nell’ombra. Volete mettere il divertimento di vedere uno, rosso paonazzo, che abbaia contro chiunque possa aver criticato quello che ha detto, che infila un rosario di parolacce e minacce, che appare un indemoniato.

Magari, in fondo (e forse neanche tanto in fondo), nutriamo più di qualche dubbio su quanto sentiamo, ma almeno lo spettacolo è assicurato.

Non che il mondo sia cambiato tanto nei secoli. Era così anche nel Medioevo, e anche prima e poi dopo, alle corti dei signori e del potere. Una volta si chiamavano giullari. Epperò ben pochi vogliono essere davvero governati dai giullari. I giullari sono giullari. Il loro posto è un palcoscenico dove la loro finzione, per un attimo, può apparire vera. Poi, però, si torna alla vita e loro tornano al loro mondo. Una volta di diceva di cartapesta, ora possiamo dire virtuale.

Allora, dopo le buffonate di qualcuno, che può aver tratto una certa visibilità cavalcando paure e incertezze (vedi l’ampia “letteratura” di buffonate No-Vax), ora, abbiamo bisogno dei “seri”. Che sono anche un po’ barbosi, certo: una conferenza di Draghi non ha la frizzantezza di uno show dal balcone o di una roboante dichiarazione di vittoria contro questo o quel nemico finalmente abbattuto quando magari, in realtà, è a malapena scalfito (la “povertà” dal balcone, il Covid nelle conferenze stampa estive del 2020…).

Perché allora Draghi prende? Perché le sue parole, che certo non sono da “spacca-montagna”, ci piacciono tanto di più di altre più altisonanti?

Perché è vero che studiare è barboso ma se ci possiamo far governare da qualcuno capace ci sentiamo meglio. E, in tempi di crisi, ci fa sentire MOLTO meglio. E allora sentire Draghi che, ricordando Beniamino Andreatta (economista e dirigente della Democrazia Cristiana in un tempo che fu), dice che “le cose che sono necessarie vanno fatte anche se sono impopolari” ci fa piacere e diventa pure notizia. Che poi, se andiamo ad analizzare il contenuto della frase, dovremmo dire che è ovvio e banale. Ma sappiamo che ovvio non è. Né lo è più stato da molto tempo.

In fondo sappiamo tutti che i “seri” sono meglio dei “buffoni”. Solo che coi “seri” è più difficile confrontarsi, coi “buffoni” no, sono quello che si vede, forse pure meno.

Ma ora che il mondo comincia a muoversi di nuovo, ora che le occasioni cominciano ad affacciarsi al nostro futuro, abbiamo bisogno di rinnovare la nostra classe dirigente. Di dare fiducia a chi sappia dimostrare di meritarla. E di uscire da un grigiore da pre-morte per affrontare una navigazione che ci porti in posti migliori. E per questo viaggio abbiamo bisogno di una classe dirigente. Che possa condurci vivi in questi posti migliori.

I “grigi” non vogliono perché a loro il mondo va bene così: sono “grigi” e sono attaccati al potere per averlo, non per cambiare.

I “buffoni”… sono solo buffoni. Certo il potere lo cercano: mica facile passare una vita da giullare sotto gli occhi di tutti. Ma non sanno condurre la propria vita, figurarsi…

I “seri” possono cambiare il mondo, ma hanno bisogno di avere un vero mandato e di un contesto in cui poter realizzare qualche cosa di buono, altrimenti fanno altro. Perché sono soggetti “seri” e sanno fare anche altro. E questo contesto, oggi, ancora, non è facile vederlo. Ma dopo che il “migliore” (copyright di Giancarlo Giorgetti) è sceso in campo, è possibile sperare che le condizioni cambino e che qualcosa si muova. Per il bene di tutti.

Andrea Bicocchi @Andrea_Bicocchi

Andrea Bicocchi
Andrea Bicocchi
Imprenditore, editore de "Lo Schermo", volontario. Mi piace approfondire le cose e ho un'insana passione per tutto quello che è tecnologia e innovazione. Sono anche convinto che la comunità in cui viviamo abbia bisogno dell'impegno e del lavoro di tutti e di ciascuno. Il mio impegno nel lavoro, nel sociale e ne Lo Schermo, riflettono questa mia visione del mondo.

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