Lo strano incrocio tra banche e democrazie

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In questi giorni sono avvenute due crisi bancarie importanti in due storiche democrazie: una negli Stati Uniti e l’latra nella vicina Svizzera. Hanno un dato in comune: la scoperta (ma lo sappiamo da tanto!!) che in economia, quando volge al brutto davvero, si deve proteggere il più forte altrimenti cadono tutti.

È andata così negli US dove lo stato ha «salvato» i correntisti della Silicon Valley Bank da perdite miliardarie. Che erano dovute al mix di impreparazione degli amministratori della banca, che non avevano pensato alle conseguenze di un tutt’altro che improbabile rialzo di tassi, e di leggerezza di imprese e miliardari che tenevano grandi quantità di denaro in poche (una?) banche. Negli States i conti correnti sono protetti da una assicurazione che, come anche da noi, copre depositi solo fino ad una certa soglia. Oltre no, e in caso di fallimento vengono perse le quote eccedenti dei risparmiatori. Il problema è che, per alcune aziende della Silicon Valley, tali perdite sarebbero state tali da far chiudere i battenti e la conseguente ondata di fallimenti avrebbe potuto minare il sistema. Da lì la decisione di «graziare» tutti i correntisti e, con loro, anche miliardari un po’ «sprovveduti» mettendo tutto a carico dello stato. Solo che negli stessi giorni c’è stata anche la crisi di una «meno nobile banca»: la First Republic Bank di Dallas. Ma per i suoi correntisti nulla. Loro hanno perso i loro risparmi oltre quota garantita. Perché, evidentemente, non erano abbastanza sistemici.

Negli stessi giorni uno dei colossi mondiali del credito, la svizzera Credit Swiss, va in default. A differenza della SVB, il sospetto della malagestione (che altra cosa e assai più grave della impreparazione) è assai concreto. Ma la banca in questione è un delle 100 più grandi del mondo, seconda in Svizzera, con un attivo che è prossimo all’intero PIL del paese elvetico. Quindi non poteva fallire ed è stata «regalata» alla diretta concorrente (sempre elvetica) UBS. Il risultato è che il nuovo gruppo sarà economicamente più grande dell’intero paese in cui ha la sede legale. E c’è da chiedersi come potrà, un paese più piccolo della sua principale azienda e che non potrebbe permettersi né di farla fallire né di salvarla se fosse nei guai, fare sorveglianza su quel soggetto.

La cosa che è stata giustamente evidenziata è che, in questo caso, si è deciso di salvare parzialmente gli azionisti (i danarosi emiri del medio oriente) e di condannare gli obbligazionisti alla perdita totale. Cioè si salva il forte e si perde il debole, come nel caso statunitense.

Che i forti siano più tutelati dei deboli non stupisce nessuno. Ma lo stato, e la democrazia, nasce per questo: per difendere i più deboli dal vantaggio dei forti. E in questo hanno fallito i due stati che hanno le democrazie più antiche. E che hanno una tradizione di indipendenza molto forte. In entrambi i casi ciò che ha determinato il danno è stata l’incapacità di fare sorveglianza. Intendiamoci. La Svizzera non ha mai brillato per trasparenza, ma la sensazione era che il sistema fosse opaco per l’esterno e trasparente per il regolatore interno. Mentre scopriamo che non è neppure lentamente vero. E ora il mondo si interroga su cosa potrebbe succedere se UBS, che con questa acquisizione si appresta a entrare nella top 20 degli istituti mondiali, dovesse sfuggire di mano a tutti i regolatori. Mentre le autorità elvetiche non hanno più alcuna credibilità sul controllo di un tale gigante né per cautela (che non hanno avuto) né per forza bruta visto che il sorvegliato surclassa (economicamente) il vigilante. In America non c’è un problema di queste dimensioni ma la deregulation trumpiana (che è un fatto interno ad un singolo paese seppure particolarissimo per importanza come sono gli Stati Uniti) ha avuto conseguenze sistemiche anche solo per un semplice «raffreddore» come il «quasi crollo» di una banca secondaria anche nell’economia del paese stesso (comunque tra le 100 banche più grandi del mondo seppure in coda alla lista).

Il compito degli stati in un mondo come il nostro si va facendo via via sempre più complesso: i soggetti da vigilare agiscono in modo massiccio fuori dai confini (e quindi dalle leggi) nazionali, gli effetti esterni (su cui non si può fare nulla) sono sempre più importanti e le politiche scelte hanno impatti anche fuori dei propri confini. Il che ci porta da una parte a un tema di etica politica: valutare quello che fa un governo non solo in relazione ai cittadini che lo eleggono (e che con il voto possono influenzarlo) ma anche degli «esterni» che saranno impattati da tali decisioni; dall’altra si deve tenere conto delle reazioni potenziali dei soggetti danneggiati (a causa dei molti legami che ci interconnettono gli uni agli altri) dagli gli effetti delle decisioni degli stati.

E la domanda vera che ci dobbiamo porre è: come può il sistema democratico, che è basato sul concetto di diritto nazionale, essere lo strumento della gestione di un tale sistema di diritti?

È ancora lo strumento più adeguato?

La domanda ce la dobbiamo porre con urgenza. Noi, in Europa, siamo giù da tempo in un tale contesto, perché qui, a differenza che nelle confederazioni elvetiche o nella repubblica federale oltreoceano, già oggi molte decisioni critiche sono prese senza un sistema elettorale popolare egualitario a sostenerlo.

Andrea Bicocchi @Andrea_Bicocchi

Foto di ROMAN ODINTSOV da Pexels

Andrea Bicocchi
Andrea Bicocchi
Imprenditore, editore de "Lo Schermo", volontario. Mi piace approfondire le cose e ho un'insana passione per tutto quello che è tecnologia e innovazione. Sono anche convinto che la comunità in cui viviamo abbia bisogno dell'impegno e del lavoro di tutti e di ciascuno. Il mio impegno nel lavoro, nel sociale e ne Lo Schermo, riflettono questa mia visione del mondo.

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3 Commenti

  1. Salvo errori, in parole povere, mi sembra sia accaduto questo:
    in Italia, quando iniziarono a evidenziarsi alcuni problemi nel settore banche, si programmò che si sarebbero dovuti distinguere gli istituti in:
    – Banche, quelle destinate ai conti correnti dei risparmiatori;
    – banche d’affari, quelle destinate ai cosiddetti speculatori, ovvero coloro che operavano in borsa, ecc.
    Tutto questo, penso, per tutelare, innanzitutto, come giusto, indipendentemente dal limite di deposito, i correntisti risparmiatori da eventuali problemi derivanti alle banche per operazioni effettuate in campo borsistico e finanziario.
    Se si vuole operare in borsa si sa che si può guadagnare molto o perdere tutto; cosa che non avrebbe dovuto penalizzare e coinvolgere in eventuali dissesti chi si limitava, indipendentemente dall’importo depositato, a tenere, prudentemente, i suoi risparmi su conto corrente.
    Se ne parlò per anni e, poi, non si fece.
    Ciò che si fece, invece, fu di applicare il bailin, proposto, se ben ricordo in sede UE, dall’Olanda.
    E così la completa salvaguardia dei risparmiatori fu persa: eventuali dissesti bancari avrebbero permesso il solo rimborso, salvo errori da parte di Cassa Depositi e Prestiti, per diritto, di 100.000 euro a intestatario di conto corrente, indipendentemente da quanto da questi depositato in eccedenza.

  2. Un ottima analisi Andrea, che ci porta a valutare una situazione, mondiale, delle Banche e della Finanza che praticamente sfugge a gran parte dei cittadini! Quello che è più tragico però, è che lo stato e la politica sono, di fronte a questi eventi, completamente inadeguati!!! Se avvenimenti di questo genere fossero successi in Italia, come pensi che ce la saremmo cavata? C’è qualcuno che controlla e previene?

  3. Condivido anch’io i timori sulla tenuta dei sistemi nazionali, soprattutto del nostro, di fronte a crisi economiche e bancarie di grande entità. Affidarsi sempre allo ” stellone” chissà..

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