I dieci anni del «San Luca». La storia degli ospedali lucchesi.

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L’ospedale «San Luca» compie 10 anni. Il trasferimento dei ricoverati dal Campo di Marte alla nuova struttura avvenne ufficialmente fra sabato 17 e domenica 18 maggio 2014. Una staffetta che impegnò, con sincronismo e professionalità, gli operatori dell’Azienda Usl, i volontari di Misericordie, Anpas Croce Verde, Croce Rossa e Protezione civile del Comune di Lucca oltre alla Polizia municipale di Lucca.

In vista di questo anniversario possiamo ripercorrere le tappe della storia degli ospedali lucchesi soprattutto quella dell’ultimo secolo.

Nelle epoche più remote a Lucca, come nel resto del mondo, si parlava di xenodochi, foresterie e ospizi. Il concetto di curare i malati in strutture adeguatamente attrezzate risale a migliaia di anni fa, sia in oriente come in Egitto, in Grecia e nell’antica Roma.

Con il Cristianesimo l’assistenza ai malati assunse anche un significato caritativo, dunque, si aprì ai pellegrini e ai poveri. Tali strutture si svilupparono lungo le principali strade di comunicazione percorse dai pellegrini, nei pressi dei ponti, dei monasteri, delle chiese. Anche gli ordini cavallereschi contribuirono alla cura dei malati, dei poveri e dei pellegrini.

Fin dai tempi più remoti anche Lucca ebbe la necessità di assistere pellegrini e mercanti che, percorrendo l’Italia transitavano sul nostro territorio, uno dei centri economici di maggior rilevanza della Toscana.

L’ubicazione della nostra città ha fatto sì che vicino al centro storico si creasse un passo obbligato delle principali vie di comunicazione della penisola. Il suo ruolo divenne fondamentale nell’alto Medio Evo a seguito della presenza nel suo territorio della Via Francigena, passo obbligato fra il nord Europa e il sud dell’Italia. Fondamentale per Lucca anche l’importanza e la devozione per il Volto Santo, Patrono della città ed Effige Sacra venerata anche dai pellegrini che si recavano a Roma, città Santa per eccellenza o da Roma tornavano. Così nella Lucchesia sorsero fin dall’ottavo secolo, nei pressi della città e anche nella sua vastissima Diocesi numerosi xenodochi, che erano ospizi non solo per l’assistenza gratuita ai pellegrini ma anche dei commercianti che viaggiavano con le loro masserizie e gli animali da trasporto.

«Degno di memoria, più degli altri, perché rappresenta forse il più antico Ospizio d’Italia – ricorda il dottor Paolo Finucci nel suo libro: “Contributi per la storia della medicina a Lucca” – è lo xenodochio di San Silvestro (720 d.C), che sorgeva presso la omonima chiesa, posta fuori dell’attuale Porta San Pietro e la struttura era fornita anche di un bagno per i viandanti. Nell’Archivio Arcivescovile di Lucca, si trova una cartapecora datata del 720 che attesta la presenza della chiesa e dello xenodochio proprio in quel periodo. Altro xenodochio, più o meno di quest’epoca, fu quello unito al Monastero di San Michele, presso Lucca. Vanno ricordati anche quello di Capannule, all’inizio della Val d’Era (725), quello di San Colombano (729), lo xenodochio unito al Monastero di Sant’Agata, nella piana di Lucca (750), e molti altri ancora che col passare del tempo presero il nome di Ospedale. Quelli xenodochi che all’inizio ebbero soprattutto il compito di assistenza, di beneficenza e di ristoro in aiuto ai pellegrini che si recavano a Roma, col tempo tuttavia si trasformarono in ospizi destinati anche alla cura degli infermi. Da non dimenticare gli Spedalieri di Altopascio, diffusi per buona parte dell’Europa, che nella loro sede non solo ospitavano i pellegrini, ma erano famosi perché di notte suonavano una campana detta la “smarrita” perché richiamasse, col suo suono, i pellegrini che si erano persi e disorientati nel loro cammino e trovassero rifugio e ristoro negli ambienti che gli Spedalieri gestivano».

«Dallo studio delle pergamene effettuato dal Cardella nel 1757 – si legge ancora nel libro del dottor Paolo Finucci – si ha notizia di una quantità considerevole di Ospedali lucchesi sorti tra il 1200 e il 1300 e sarà utile dare una sommaria indicazione dei più importanti, come dello Spedale di San Jacopo di Rivangaio del quale si ha notizia dal 1277, che accoglieva i pellegrini e i mercanti, ed anche dello Speciale di San Pietro di Valdottavo, fondato nel 1396 che alloggiava i viandanti, ma fu abbandonato circa due secoli dopo. Va ricordata anche la Chiesa di San Lazzaro del Pian di Coreglia con annesso uno Speciale (1384) che ricoverava i lebbrosi, mentre lo Speciale di San Pietro Maggiore, fondato da Prete Vanni da Montecatino, albergava i pellegrini. Importante fu la presenza a Lucca dello Spedale di Santa Maria detto di Forisportam perché, assieme alla chiesa fu fabbricato fuori dalla cinta delle Mura di Lucca; poi con l’allargamento della città, si trovò dentro la porta di San Gervaso. Lo scopo di quest’Ospedale era quello di ospitare e nutrire i pellegrini, ma essendo stato unito all’Ospedale di San Luca con una Bolla Apostolica, fu destinato ad alloggiare e alimentare occasionalmente i trovatelli. Nei tempi successivi il suo fabbricato fu definitivamente adibito ad orfanatrofio e fu detto Speciale degli “orfanelli bianchi”. Oltre ai vari Ospedali che potremo definire generici, vi furono anche dei ricoveri per una delle malattie infettive più temute, la lebbra. Se per la lebbra furono presi, in quel tempo adeguati provvedimenti tali da ostacolarne la sua diffusione, non così fu possibile fare contro la peste. Gli Statuti Corporativi che facevano capo alla Corte dei Mercanti, avevano la funzione di esplicare la beneficenza, alleviando le sofferenze delle famiglie indigenti, curando gli infermi, soccorrendo i carcerati, giungendo anche a creare lo Spedale maggiore della Misericordia poi detto di San Luca, fondato nel 1262 col denaro e con l’opera dei mercanti stessi assieme ad altre istituzioni di pietà che eressero anche lo Spedale di Santa Maria di Pietrasanta, che fu poi abolito con bolla papale del 4 luglio 1514».

Non dimentichiamo anche il lebbrosario di San Lazzaro a Lucca, ancora visibile a San Concordio lungo l’omonimo viale, subito dopo il sottopasso autostradale.

L’ospedale Galli Tassi nel tempo si dimostrò inadeguato. In una relazione del dottor Francesco Bandoni che risale al 1867 si parla di mancanza degli spazi necessari alle degenze, e di una serie di carenze, alcune gravi, «che davano il convincimento di vivere in un complesso edilizio vecchio, malandato, ormai inadatto allo scopo, in altre parole sorpassato». Il dottor Bandoni si oppone così all’ampliamento dell’Ospedale perché «si trova nelle peggiori condizioni per poter tutelare la salute degli infermi, dato che esso si trova nella zona più umida della città, che è anche la più maleodorante per la vicinanza di molte concerie e di fabbriche di amido che, in estate, con facilità sviluppano febbri intermittenti e biliose (sic!) a danno dei ricoverati».

Nel dettaglio il dottor Bandoni evidenzia che al Galli Tassi «la parte che riguarda gli uomini, ha corsie che rassomigliano più a quelle di una Pia Casa di riposo piuttosto che essere il luogo dove l’ammalato dovrebbe ricevere le cure più idonee per portarlo alla guarigione. Manca della libertà indispensabile per togliere dal letto un cadavere senza che gli ammalati vicini se ne accorgano. Nei principali Ospedali d’Europa invece esistono piccole corsie da 12 ammalati, provviste di corridoi laterali utili per portare, con discrezione, i cadaveri alla stanza mortuaria. Nel Reparto degli uomini, i letti sono così vicini tra loro che il puzzo che può esalare un malato, reca molestia al vicino: e se ciò avviene in circostanze ordinarie, quale sarebbe il danno se per disgrazia si sviluppassero malattie contagiose o epidemiche. Nell’Ospedale non c’è una sala operatoria e tutti sanno che le operazioni non si devono fare in corsia alla presenza degli ammalati come avviene ora al Galli-Tassi, sia per ragioni igieniche e perché i lamenti e le urla dell’operato non debbano amareggiare la sensibilità dei compagni di corsia. Manca anche una sala per le malattie croniche perché, quella attualmente destinata a questi pazienti è adatta piuttosto ad accrescere lo stato della malattia invece che portarlo a una guarigione. La stanza per gli alienati di mente sembra più un luogo di pena, piuttosto che un luogo di osservazione e cura per questi infelici. Nell’ospedale Galli Tassi manca perfino l’acqua di fonte, e tutti sanno quanto sia necessaria per gli ammalati, perché l’acqua dei suoi pozzi è ricca di calcare, mentre la nostra città è famosa per l’eccellente qualità e quantità di acqua di fonte. Eppure questa manca nel nostro Ospedale».

Altra cosa evidenziata dal dottor Bandoni, è la mancanza di un apposito luogo di ricovero per gli affetti da malattie infettive e contagiose, come il tifo, il vaiolo, la scabbia, febbre gialla, ecc. «Il reparto delle donne, preso nel suo insieme, è in condizioni assai più infelici».

Ancora quaranta anni dopo la relazione del dottor Bandoni, quando siamo ormai agli inizi del novecento, il punto centrale dell’assistenza sanitaria pubblica per tutto il territorio della pianura di Lucca resta costituito dall’ospedale Galli Tassi che si trovava nel centro storico, negli edifici dove oggi hanno sede il Tribunale, la Procura della Repubblica, l’ufficio comunale Anagrafe, la Polizia municipale e la scuola «Dante Alighieri».

L’edificio che ospitava l’ospedale, è doveroso ricordarlo, era una vecchia struttura conventuale che durante l’ottocento aveva subito consistenti modifiche e ampliamenti per essere riconvertito all’uso ospedaliero. La sua struttura, organizzata con un corpo di fabbrica principale sul quale erano innestate varie ali a pettine, costituiva un esempio di razionalizzazione per la funzionalità delle attività di degenza e per i servizi generali. Le dimensioni dei locali, la loro luminosità derivante dai cortili e dai giardini interni costituivano un primo esempio di approccio a normative igienico sanitarie più moderne ed avanzate rispetto alle precedenti strutture, di epoca anteriore, anche se, come abbiamo visto non tutto era ideale.

Al di fuori della cerchia delle Mura, che all’epoca delimitava rigidamente il confine tra città e campagna, sorgeva ad alcuni chilometri di distanza da Lucca l’imponente edificio dell’Ospedale psichiatrico provinciale, anch’esso realizzato su un’antica struttura conventuale ampliata in modo consistente nell’ottocento.

Soltanto negli anni trenta del secolo scorso la concomitante azione di varie forze produsse una notevole spinta verso un complessivo riassetto delle strutture sanitarie. La politica di assistenza socio-sanitaria realizzata dal regime dell’epoca, la disponibilità di forti finanziamenti statali, la creazione degli istituti previdenziali e le nuove normative igienico-sanitarie ebbero come effetto diretto ed immediato il potenziamento e l’ammodernamento dell’edilizia ospedaliera.

Questo quadro di riferimento nazionale portò a Lucca alla costruzione di nuovi importanti presidi: il Sanatorio di Arliano, il Sanatorio di Carignano e il Sanatorio di Campo di Marte.

Mentre i presidi di Arliano e di Carignano vennero effettivamente attivati per la tisio-pneumologia, caratterizzando maggiormente il primo per la prevenzione e il secondo per la cura, il presidio di Campo di Marte, costruito dalla Previdenza Sociale, venne ceduto all’Ente Ospedaliero che poté avviare così il trasferimento del vecchio presidio di via Galli Tassi.

Campo di Marte divenne così il nuovo ospedale di Lucca, rivelandosi peraltro subito insufficiente al fabbisogno di spazio per completare il trasferimento.

Alcuni reparti rimasero quindi insediati nel vecchio presidio del Galli Tassi dove restarono attivi fino al 1982, mentre al Campo di Marte si iniziò subito un’opera di ampliamento dell’unico padiglione allora esistente a cui farà seguito negli anni successivi l’edificazione di nuovi padiglioni.

Negli anni sessanta si realizzò inoltre un unico ospedale tisio-pneumologico nel presidio di Carignano mentre la struttura di Arliano venne utilizzata, alcuni anni più tardi, per finalità sociali con l’insediamento di comunità di lavoro per giovani tossicodipendenti.

Sul fronte Ospedale psichiatrico provinciale di Maggiano, dopo l’entrata in vigore della legge 180 del 1978, la struttura andò incontro a un rapido ed inarrestabile degrado. I ricoverati che erano 1.228 nel 1963 (695 uomini e 533 donne) scesero a 200 nel 1990, a 125 nel 1995, fino agli ultimi 102 che vennero dimessi ufficialmente soltanto il 31 dicembre 1996.

Fino al 1991 erano presenti sul territorio dell’allora Usl 6 i due presidi ospedalieri, Campo di Marte all’epoca con una capacità di 816 posti letto e Carignano con una capacità di 82 posti letto. Il presidio ospedaliero di Campo di Marte ha visto sempre rafforzato il proprio ruolo di principale struttura sanitaria della piana di Lucca e si è progressivamente ampliato e potenziato mentre il presidio di Carignano,   mantenendo  il  proprio   ambito  di competenza nel settore tisio-pneumologico in una realtà fisicamente segregata dal presidio Campo di Marte e mancando di significativi interventi di ammodernamento sia per le strutture che per le attrezzature, ha finito per essere relegato ad un ruolo marginale e comunque di forte dipendenza. Campo di Marte, ubicato nell’immediata periferia a nord-est del centro storico di Lucca, su un’area di circa sette ettari era e resta ben raggiungibile da qualsiasi zona del territorio della Usl. Con il Comune di Lucca venne anche intrapresa una operazione di accorpamento dell’intera area con l’obiettivo di creare un assetto del complesso ospedaliero urbanisticamente più corretto e congruente con il tessuto edilizio e viario circostante. Al termine di questa operazione l’ospedale era dotato di un proprio svincolo indipendente per facilitarne l’accesso, di un parcheggio pubblico con la dotazione di 700 posti auto avendo a confine sul lato est un grande parco a verde.

All’interno dell’area ospedaliera di Campo di Marte c’erano undici corpi di fabbrica principali, di varie dimensioni, oltre a vari volumi tecnici destinati agli impianti e c’erano ancora disponibili alcune aree libere per consentire un buon margine per ulteriori ampliamenti e razionalizzazione dei percorsi e degli impianti.

Per contro il presidio ospedaliero di Carignano, ubicato su un’area di circa sei ettari nella zona pedecollinare della frazione omonima a nord ovest di Lucca, era difficilmente raggiungibile a causa di una insufficiente viabilità di collegamento. Il presidio che venne realizzato all’epoca con funzioni sanatoriali, si trovava al confine tra le zone agricole della piana e la fascia boschiva dei primi rilievi collinari ed era circondato da un parco a verde con alberi di alto fusto; il notevole valore paesaggistico dell’ambiente circostante ha comportato che l’intera zona venisse pesantemente vincolata ai fini di tutelarne l’integrità.

Nel 1991, in accordo con le direttive della Regione Toscana e secondo le indicazioni del Ministero della sanità, il presidio di Carignano venne dismesso. La pneumologia con i relativi ambulatori venne trasferita a Campo di Marte, all’interno del Padiglione 1, in due ali appositamente ristrutturate. Questa operazione, se aveva recato indubbi vantaggi sul piano della funzionalità del servizio e sulle economie di gestione, causò d’altra parte una ulteriore compressione di tutte le attività già presenti a Campo di Marte.

In sintesi il presidio ospedaliero Campo di Marte si era venuto a costituire in un arco di tempo di circa 45 anni riassumendo al proprio interno una serie ininterrotta di successivi ampliamenti ed addizioni generati nel corso degli anni da situazioni quasi sempre contingenti. In altri termini apparve chiaro, dall’esame dello stato di fatto, che gli interventi si erano susseguiti senza che esistesse un piano organico tendente a riorganizzare e razionalizzare funzionalmente tutte le attività presenti nel presidio. Ogni ampliamento o addizione risultavano dettati della mera necessità di aumentare il numero dei posti letto e/o di introdurre nuovi impianti. Fece parzialmente eccezione a tale prassi la realizzazione del Padiglione 3, con il preciso scopo di avere un edificio dedicato alle attività e specialità chirurgiche. Ma tale padiglione venne ultimato soltanto nel 1988 al termine di complesse vicissitudini connesse con problemi di finanziamento e di appalto.

Il nuovo ospedale di Lucca, nuovamente intitolato a San Luca, fa parte del progetto regionale di quattro nuovi grandi ospedali costruiti all’insegna dell’efficacia, funzionalità, comfort e sicurezza con la formula del project financing. È stato realizzato, come evidenziato nei documenti regionali dell’epoca, «secondo i più avanzati criteri di edilizia ospedaliera, con materiali di primissima qualità e accorgimenti tecnici all’avanguardia. È una struttura organizzata per intensità di cura, per offrire risposte personalizzate ai diversi bisogni di cura e assistenza del paziente, e studiata per affrontare patologie acute e complesse. L’alta tecnologia della diagnostica e delle terapie contribuiranno ad assicurare una sempre maggiore qualità delle cure. Il nuovo ospedale è situato nell’immediata periferia est di Lucca, in località San Filippo. Per raggiungerlo c’è una nuova viabilità, finanziata dalla Regione Toscana che si collegherà alla viabilità di scorrimento della Piana di Lucca, rendendo accessibile l’ospedale sia dal presidio ospedaliero della Valle del Serchio sia dalla rete ospedaliera toscana. Il nuovo ospedale ha 410 posti letto, 20 posti di osservazione breve intensiva, 38 posti di dialisi, 13 sale operatorie, 6 sale travaglio e 4 sale parto».

Il nuovo ospedale secondo la Regione «fa parte di un sistema sanitario articolato e integrato che funziona in modo armonico in una rete di servizi e strutture. Il modello organizzativo che si sta sviluppando prevede, infatti, un decentramento delle attività assistenziali sul territorio e una forte integrazione ospedale-territorio. Il presidio ospedaliero lucchese è anche un importante “nodo” della rete ospedaliera regionale, uno dei 14 principali ospedali della Toscana. Le sue attività sono inserite nei percorsi assistenziali dell’Area Vasta. La nuova struttura ospedaliera, inserita in un’ampia e complessa rete di cura e di assistenza, offre, in ogni circostanza, la cura più appropriata a ogni paziente. Ma questa non è la sola risposta alla domanda di salute del cittadino. Fanno parte della rete dei servizi: Sedi distrettuali, Consultori, Punti prelievo, Medici di medicina generale, Pediatri di libera scelta e specialisti, Continuità assistenziale (ex guardia medica), Punti di primo soccorso, PET (Punti di Emergenza Territoriale), 118, Servizi di assistenza domiciliare, Istituti e case di cura accreditati, Centri di salute mentale, Centri diurni psichiatrici, Strutture residenziali psichiatriche, Centri di riabilitazione, Hospice, Ospedali di Comunità, Residenze sanitarie assistenziali, Puntinsieme, Centri diurni per anziani e disabili, Centri diurno per Alzheimer, Ser.t (Servizi tossicodipendenze), Farmacie.

Sono fondamentali anche l’integrazione con le associazioni di volontariato, la collaborazione con le cooperative sociali e con gli enti locali. Con la realizzazione del nuovo ospedale molte strutture territoriali trovano posto al “Campo di Marte”, una parte del quale, dopo la dismissione, si è trasformato in una “Cittadella della Salute”.

Il nuovo presidio lucchese è costituito da due fabbricati: l’edificio ospedaliero e la palazzina dei servizi. L’ospedale è dotato di due rotonde d’accesso: una per gli utenti dei vari reparti, una per l’ingresso del personale e il Pronto Soccorso. È poi presente un accesso di servizio per l’uscita delle merci e l’isola ecologica. All’interno della struttura l’atrio centrale è il punto di collegamento, anche attraverso scala mobile, per accedere alle attività e ai servizi. L’area riservata ai parcheggi dispone di 1.025 posti auto, di cui 600 (circa il 60%) per i visitatori e 425 (circa il 40%) per il personale.

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5 Commenti

  1. Bello il lavoro di ricostruzione storica. Complimenti. Peccato che il giornalista ometta di citare il vero scandalo del piccolo nuovo ospedale; la assoluta inefficienza della piattaforma per l’elicottero del 118, sbagliata già in sede progettuale e tutt’ora messa lì come un vero e proprio monumento alla incapacità tecnica del progettista. Peccato davvero… è uno scandalo e ancora più scandaloso che nessuno ancora abbia pagato per questa vergogna. Il “Pegaso” atterra sotto le Mura, davanti allo stadio, in mezzo alla polvere, con uno dispiegamento di mezzi speciali ( automedica, ambulanza Vigili del Fuoco, Polizia ecc), che dovevano essere evitati semplicemente riposizionando sul tetto la piazzola, come hanno molti ospedali. Davvero vergognoso.

  2. Preziosa e bella documentazione della nostra storia di ospedaliera, ma anche e più in generale cittadina. Mostra come, per andare incontro ad esigenze sempre più diversificate e crescenti, essi abbiano subìto nel corso del tempo modificazioni e siano stati organizzati territorialmente e differenziati per attività e funzioni fino a costituire un vero e proprio sistema di ospedalizzazione, assistenza e cura sanitaria.
    Va subito detto che in realtà è sistema più o meno efficientemente, efficacemente, economicamente funzionante. Il contributo non tocca questi temi perché si tratta di una questione diversa. Il fatto incredibile e grave portato in evidenza dal commento di “Mario” non può e non deve distoglierci dal prendere atto che oggi disponiamo comunque di un bene “pubblico”, pur sempre migliorabile come tutte le cose umane. Uso l’aggettivo tra virgolette perché inteso in un senso diverso da quello più usuale. Un bene o servizio è “pubblico” non perché finanziato e fornito da un ente giuridicamente pubblico (anche se nei fatti molto spesso “pubblico” = pubblico), ma in quanto potenzialmente a disposizione di chiunque: un sistema organizzato ad uso collettivo la cui fruizione singola non comporta ulteriori gravami. Altro esempio, tanto per chiarire, è il sistema di illuminazione delle strade cittadine: come tale esso è fruibile da ciascun cittadino e da chiunque altro, come ad esempio un turista, senza che ciò comporti ulteriori costi di qualsiasi natura. Il finanziamento, come nel caso del sistema ospedaliero è con fondi pubblici: purtroppo, diversamente da quanto avveniva nel Paradiso Terrestre, i beni “pubblici” non nascono automaticamente, come i funghi, ma occorre progettarli e porli in essere e ciò richiede impiego di risorse umane, reali e finanziarie. Che, sia detto tra parentesi, è quanto li diversifica dai beni comuni -come, ad esempio, una spiaggia – con i quali sono spesso confusi. Di fatto l’illuminazione cittadina è praticamente sempre offerta dai Comuni con risorse ricavate dalla tassazione. Ma niente toglie che l’iniziativa privata offra essa stessa beni “pubblici”. In campo sanitario molte attività e servizi sono forniti da singoli operatori, società, associazioni di volontariato, ordini religiosi e così via sotto forma di cliniche, case di cura, centri di riabilitazione etc.
    Il concetto di beni “pubblici” ci aiuta a mettere a fuoco il di più che li caratterizza ed è offerto da tali beni. Per farla breve, parafrasando un noto detto, “mille cliniche private non fanno un sistema ospedaliero così come cento conigli non fanno un cavallo”.

  3. L’articolo è molto interessante per la ricostruzione storica delle vicende legate alla tutela della salute nel nostro territorio e in particolare al sistema ospedaliero. Istruttivo il commento del professor Mariti: ho trovato meraviglioso e illuminante il finale !!
    Ha ragione il signor “Mario” nel mettere in luce alcune carenze del S.Luca : si potrebbe aggiungere che il nuovo nosocomio, costato un bel po’ di risorse economiche , forse è insufficiente per venire incontro alle esigenze reali del territorio. I posti letto sembra che non siano sempre sufficienti, che il pronto soccorso presenti parecchie pecche… Si potrebbe parlare di questo in un altro articolo chissà !

  4. Interessante articolo.
    Essendomi trovato, purtroppo, recentemente, a dover essere ricoverato in codice rosso per un malore notturno, mancanza di coscienza e ricordo dell’accaduto, mi permetto di andare leggermente fuori tema per parlare del SSN da me, e dal mio datore di lavoro, pagato per trentacinque anni nei quali ho lavorato, tramite trattenute sullo stipendio.
    Per quanto mi riguarda, ho trovato grande professionalità, dedizione e rispetto e, oserei dire, amore verso il paziente e i suoi cari, da parte del personale del 118, e degli infermieri, e delle pulizie (OSS?), e addetti al pronto soccorso e ai reparti.
    La mia impressione è stata invece, potrei sbagliare e eventualmente mi scuso in anticipo, leggermente meno perfetta rispetto all’organizzazione generale: collegamento tra medici e infermieri, dialogo col paziente nelle relative visite.
    Inoltre, dopo le dimissioni, per le visite successive di controllo col SSN, ho trovato imperante quella che a me sembrerebbe, posso sbagliare, una imperante burocrazia; a parte le attese per effettuare le visite e, per un rimbambito vecchietto come me, difficoltà a districarmi tra vie, edifici, uffici, e tra sportelli vari, e ricette per le visite prescritte che “non vanno bene”, magari per una parola in più o mancante (esempio: “prima visita” o “visita”), come se io dovessi conoscere le regole inviate ai medici, ricette “errate” per cui mi si rimprovera, a me ultrasettantenne, come se fossi un bambinetto discolo, scolaro da mettere dietro la lavagna in castigo, perché non scritte a dovere da chi di dovere; inoltre computers e telefoni che si chiamano per problemi vari burocratici di procedure da eseguire con gli stessi, da uffici posti a dieci metri di distanza tra loro.
    Attese varie perché “i computers non vanno, non c’è linea”.

    Domanda: ma la digitalizzazione non doveva servire a rendere più semplici e veloci le cose?

    Invece, per fortuna era molto che non mi recavo a visita, perlomeno nel settore pubblico, quello da me pagato coi contributi, come detto, per trentacinque anni (solo trentacinque, per fortuna) ti ritrovi, oltre a quanto già esposto,
    grazie alla digitalizzazione,
    ad effettuare una visita ove, perlomeno nella mia esperienza ove effettuato la trafila (non so in altre realtà), la visita consiste in qualcosa tipo “ha più avuto lo stesso problema?”, forse senza neanche essere guardato in viso, mentre una medico scrive furiosamente al computer e, se provi a chiedere spiegazioni, o a voler esprimere una domanda su alcuni sintomi, ti senti rispondere con o un mugugno, oppure con qualcosa tipo “stia zitto un attimo, non vede che sto scrivendo?”, “lei non sta zitto un momento”, oppure “questo lo deve chiedere al medico di base” ecc. (quanto esposto è un misto di varie esperienze con medici specialisti diversi di diverse strutture).
    Praticamente, oltre alla per me mortificante esperienza di sentirmi, a torto o ragione, trattato come uno scolaro indisciplinato solo perché chiedo qualcosa che vorrei sapere in in merito alla mia salute, mi ritrovo, dopo la visita che mi è sembrata più il guardare uno scrivano da non distrarre con domande sui miei sintomi, a sentirmi licenziato con un foglio di carta ove, una volta, ho trovato anche qualche refuso tra cui due errori di trascrizione dei valori di alcune analisi, salvo errori. Refusi che, immagino, poi rimarranno, se non corretti, a perpetua memoria nei miei dati registrati nei computers?
    Probabilmente la colpa è mia, che cercavo, nonostante gli inviti ad aspettare, – ma cosa – di parlare ed avere notizie sulla mia salute, distraendo il medico mentre scriveva al computer, invece di attendere il momento in cui venivo salutato col foglio stampato in mano; foglio che leggevo solo una volta uscito, e ove c’erano tutte le notizie “utili al mio caso”.
    Ora, io non voglio dire che tutto il SSN sia come quello da me “percepito” nelle mie particolari esperienze in pochi casi e in poche strutture; però mi sembra che il rapporto tra medico e paziente non dovrebbe essere sostituito da quello tra medico e computer; altrimenti, perlomeno per quanto mi riguarda, i dubbi mi rimangono e, poi, devo recarmi, per chiarirli, dai privati.
    Non voglio neanche colpevolizzare chi abbia disposizioni che, di fatto, “impongono per necessità di tempi” tali tipo di visite;
    però, se la digitalizzazione è necessaria, mi piacerebbe fosse interpretata in maniera diversa.
    Probabilmente anche la “medicina difensiva” per cui ti rispondo solo in merito alla mia specializzazione e, forse, meno dico e meno rischio, ha ormai la sua influenza nei poveri medici che alcuni vorrebbero onnipotenti.

  5. In relazione al mio precedente commento sul SSN, laddove scrivo:
    “… Non voglio neanche colpevolizzare chi abbia disposizioni che, di fatto, “impongono per necessità di tempi” tali tipo di visite;
    però, se la digitalizzazione è necessaria, mi piacerebbe fosse interpretata in maniera diversa.
    Probabilmente anche la “medicina difensiva” per cui ti rispondo solo in merito alla mia specializzazione e, forse, meno dico e meno rischio, ha ormai la sua influenza nei poveri medici che alcuni vorrebbero onnipotenti. …”

    vorrei modificarlo così:

    “… Non voglio neanche colpevolizzare chi abbia disposizioni che, di fatto, forse “impongono per necessità di tempi” tali tipo di visite; e capisco il comportamento che possa sembrare “frettoloso”
    di persone stressate da un lavoro ingente; e, quindi, non mi sento di colpevolizzarle.
    Però, se la digitalizzazione è necessaria, mi piacerebbe fosse interpretata in maniera diversa.
    Probabilmente, forse, anche la “medicina difensiva”, per cui ti rispondo solo in merito alla mia specializzazione e, forse, meno dico e meno rischio, ha ormai la sua influenza nei poveri medici che alcuni vorrebbero onnipotenti? …”.

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