Foibe, all’Augusta un pezzo di storie umane ingiustamente dimenticate

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Sui libri di storia non c’è, i professori ne parlano poco. Gli eccidi delle Foibe avvenuti dopo e durante la seconda guerra mondiale per mano dei partigiani Jugoslavi e dell’Ozna (polizia segreta) ai danni di militari e civili italiani della Venezia Giulia, del Quarnaro, dell’Istria e della Dalmazia riemergono solo ora dall’oblio dopo essere stati rinchiusi per anni nei silenziosi ricordi dei sopravvissuti. Solo nel 2004 l’istituzione della Giornata del Ricordo (10 febbraio), voluta dal governo Berlusconi, volta a tenere viva la memoria ‘della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo degli istriani, dei fiumani e dei dalmati italiani dalle loro terre (1943-1945) e della più complessa vicenda del confine orientale’.

Martedì sera scorso (20 aprile) all’Augusta un incontro dedicato che ha visto ospiti il consigliere comunale Fabio Barsanti; Rossella Bari, esule istriana, docente di lettere e presidente del comitato Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia di Pisa; Toni Capuozzo, giornalista, scrittore, blogger e conduttore televisivo. È stato inviato di guerra seguendo in particolare le guerre nell’ex Jugoslavia, i conflitti in Somalia, in Medio Oriente e in Afghanista; Emanuele Merlino, presidente del comitato 10 Febbraio e saggista: ha dedicato numerosi testi a Risorgimento, prima guerra mondiale e Adriatico orientale. Ha moderato l’incontro la nostra giornalista Bianca Leonardi.

Al centro la figura di Norma Cossetto, studentessa dell’università di Padova vittima di stupri e violenze da parte di alcuni soldati partigiani e gettata poi nella foiba di villa Surani fra i corpi di altri istriani. Era il 1943. Negli stessi anni, furono circa 300mila gli esuli che furono costretti ad abbandonare la loro terra perché rifiutavano il nuovo governo comunista. Fra questi anche Rossella Bari, docente universitaria e ospite d’eccezione, che ha ricordato con commozione il dolore dell’abbandono delle proprie tradizioni, la propria cultura; il dolore di chi ha invece deciso di restare morendo in nome della propria identità. Un dolore umano che non ha (e non dovrebbe avere) nessun colore politico. Queste violenze portano un nome: Josip Broz, conosciuto come Tito. La brutalità dei partigiani del maresciallo jugoslavo, mosso da un sentimento ‘anti-italiano’ e antifascista si scagliò sulla gente senza distinzione.

Gli istriani, i fiumani e i dalmati dovettero abbandonare le loro case e i loro averi sotto il controllo poliziesco dei partigiani slavi. Il viaggio era breve, ma diventava lungo per le continue verifiche dell’Ozna. A moltissimi il visto venne negato per ragioni politiche, per vendetta, per odio. Iniziarono allora le fughe clandestine, di giorno e di notte, fra le doline del Carso, in mare, verso la libertà.

A Lucca, come ha ricordato il consigliere Barsanti, si è scelto di guardare anche a questa buia parte di storia, intitolando una strada proprio a Norma Cossetto e alle vittime delle foibe. La mozione, presentata lo scorso gennaio, è stata approvata ad unanimità dal consiglio comunale anche su esortazione del sindaco di Lucca, Alessandro Tambellini.

Schieramenti a parte, la criticità storica merita oggettività e prescinde dalle ideologie. L’Italia del 1943 era in guerra e lo erano tutti, vinti e vincitori e la guerra inevitabilmente versa del sangue, toglie la dignità, il più delle volte ai civili. Nei libri di scuola il dolore, quello subito ingiustamente, dovrebbe essere solo umano, senza distinzioni, perché anche queste pagine buie non siano più dimenticate, ma siano insegnate e rispettate. Nel silenzio moriamo tutti due volte.

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