Finge benefits e famiglie una questione di prospettiva

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È di questi giorni la polemica sui fringe benefits nella versione che il governo Meloni ha dato nel Decreto Lavoro.

Il punto che viene contestato è la scelta di innalzare i fringe benefits a 3’000,00€ per chi ha figli a carico e non per la generalità dei dipendenti. Scelta naturalmente legata alle limitazioni di fondi disponibili. L’asserita criticità sarebbe la disparità tra i lavoratori che viene creata da tale provvedimento. I lavoratori con figli avrebbero un vantaggio.

È un problema di prospettiva. Di una curiosa prospettiva. Come quei giochi fotografici che fanno apparire le cose molto diverse da come sono.

Avere un figlio comporta dei costi rilevanti. Vestiti, libri, alimentazione, educazione (sportiva, musicale, ecc. che non è coperta dallo stato), medicine… Ci sono un mare di spese, piccole e grandi, che gravano su una famiglia con figli. E, naturalmente, aumentano con il numero dei figli.

Ma avere figli è necessario per la società. Senza nuove generazioni, banalmente, non avremmo nuovi cittadini che eroghino i servizi che tutti utilizziamo. Ma, più fondamentalmente, avere figli, come specie, ci rende umani. Anche per chi i figli non li ha avuti (per scelta, per necessità) sono i giovani, i figli di altri, che sono il senso del futuro, il senso della prospettiva che motiva anche nella nostra vita.

Allora come possiamo non considerare un valore comune da difendere la comunità dei minori. E, con questo, come non considerare l’investimento necessario per la loro crescita, un investimento che deve essere socializzato.

Ma, ad oggi, in Italia, non c’è una tassazione che consideri la disparità di imposizione fiscale che nei fatti si instaura tra una famiglia con figli e una senza. La tassazione è legata eminentemente al reddito con agevolazioni minime per i figli a carico. Il che comporta una tassazione sproporzionale a favore di chi non ha figli.

La costituzione italiana, quando dispone che la tassazione deve essere progressiva, impone un principio: la parte del reddito che deve essere tassata è quella disponibile, cioè detratta dalla quota delle spese incomprimibili legate all’essere in vita. Questa previsione è adottata dal modello di tassazione italiano con la no-tax-area e la successiva tassazione progressiva degli scaglioni. In questa via si garantisce (forse anche in modo sbilanciato per forte tassazione dei redditi alti) che il progresso soggettivo dei redditi sia accompagnato da un progressivo, ma proporzionale, maggiore impegno finanziario a favore dello stato.

Questo principio è però completamente abbandonato per quanto riguarda la tassazione delle famiglie. Queste, infatti, non vengono valutate come insieme di persone ma come singoli percettori di reddito. Col che, i minori, semplicemente scompaiono per il fisco. Si viene così a creare una stortura per cui due famiglie dallo stesso reddito complessivo, paga tasse diverse se a lavorare è un solo membro o se lavorano entrambe (e forse questa stortura ha anche degli effetti positivi sull’occupazione femminile). Ma, soprattutto, provoca una differenza enorme tra il reddito effettivamente disponibile tra famiglie con figli e quelle senza.

Probabilmente non ci sono, attualmente, soldi a sufficienza per impostare un sistema di tassazione famigliare (il cosiddetto «quoziente familiare»). Il che, implicitamente, significa che la disparità è tanta. Così tanta che non piò essere coperta con una finanziaria sola. O, il che è equivalente, che il pareggio di riscossione comporterebbe un tale aumento in capo ad altri da essere troppo esteso. Esteso quanto l’ingiusto livello attuale.

Quindi sì, la prospettiva è tutto: se cerchi l’angolo giusto, le giuste parole, puoi anche trovare il modo di dire che sia iniquo favorire le famiglie. Ma in realtà l’iniquità è quella con cui conviviamo tranquillamente da tanto tempo: quella che premia fiscalmente chi non ha figli rispetto a chi li ha.

Se c’è un contesto in cui lo stato dovrebbe essere rispettoso delle scelte dei cittadini è quello della famiglia. Ma certo non dovrebbe “spingere fiscalmente” contro la generazione dei figli.

Andrea Bicocchi @Andrea_Bicocchi

Foto di Emma Bauso da Pexels

Andrea Bicocchi
Andrea Bicocchi
Imprenditore, editore de "Lo Schermo", volontario. Mi piace approfondire le cose e ho un'insana passione per tutto quello che è tecnologia e innovazione. Sono anche convinto che la comunità in cui viviamo abbia bisogno dell'impegno e del lavoro di tutti e di ciascuno. Il mio impegno nel lavoro, nel sociale e ne Lo Schermo, riflettono questa mia visione del mondo.

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