Bollettino di guerra numero 9 – La tribolata storia di Porta sant’Anna – Seconda parte

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Eravamo rimasti alla situazione che si creava dopo che l’Amministrazione Comunale di Lucca era entrata in possesso delle Mura e dell’area di pertinenza, gli spalti, acquistandole dallo Stato. 

L’avvenuto acquisto imponeva al Comune l’onere del loro mantenimento, con un impegno economico che le anemiche finanze comunali non erano in grado di sostenere. 

Per fare cassa si decideva allora di procedere alla vendita delle aree degli spalti sulle quali si indirizzavano consistenti interessi e voraci appetiti. Lucca, dopo che per secoli era rimasta stretta dentro la cerchia delle Mura, aveva necessità di espandersi e non si lasciò certo sfuggire l’occasione offerta dalla messa sul mercato di quei terreni che la circondavano. Antiche e nuove ricchezze, come lo erano quelle degli intraprendenti impresari che si erano impegnati nella commercializzazione dell’olio, erano riversate nell’assalto alla prima area che veniva posta in vendita, quella compresa fra la porta san Pietro e la stazione ferroviaria, dove in una rapida successione venivano alzati palazzi ed edifici che documentavano la vivacità di quegli anni del primo boom edilizio. 

Era in quest’area che l’industriale dell’olio Di Paolo faceva costruire un palazzo con magazzini, adibiti allo stoccaggio delle merci che tramite la vicina linea ferroviaria venivano immesse sul mercato. Sempre nei pressi della stazione ferroviaria l’ingegner Balestrieri, il proprietario della fabbrica della juta di Ponte a Moriano, aveva collocato il capolinea della tramvia che raggiungeva i suoi opifici, per il cui tracciato si era reso necessario aprire un varco nelle Mura all’altezza del baluardo la Libertà. 

La strada all’assalto dell’area degli spalti era aperta. In pochi anni il paesaggio esterno alle Mura mutava radicalmente: quella che per secoli era stata la cintura protettiva delle fortificazione si trasformava in un reticolo di strade con case e opifici ai lati. Vissute per secoli come una materna protezione della sicurezza cittadina, le Mura venivano prese ad essere riguardate come ad un laccio che impediva a Lucca di crescere e di svilupparsi. Non che proprio tutti i lucchesi la pensassero così. Anzi c’era, e la troveremo assi presto, una parte della città, per lo più gente di cultura, che non intendeva assuefarsi a questo stato di cose e persisteva nella considerazione delle Mura come ad un simbolo identitario, al pari di un bene prezioso da tutelare e da conservare per i tempi a venire. 

Sostenuta da ben più pesanti argomentazioni la spinta all’assalto degli spalti condizionava le scelte del governo cittadino e intorno al 1905-1907 l’Amministrazione Comunale approntava un piano di interventi urbanistici per realizzare le condizioni per l’espansione della città. 

È adesso che finalmente arriviamo a Porta Sant’Anna. E la sua storia si rivelerà assai più tribolata di quanto si fosse immaginato al punto da far registrare uno sconquasso che per mesi agitava la sonnolenta vita cittadina. Nel pacchetto degli interventi programmati dall’Amministrazione Comunale che fissava il definitivo tracciato dei viali di circolazione era prevista anche l’apertura di una nuova porta per favorire la comunicazione diretta con il sobborgo di Sant’Anna che andava crescendo a vista d’occhio. 

Se a sostegno di questo progetto potevano essere accampate valide motivazioni – in effetti la porta San Donato che immetteva in quella zona non era affatto funzionale alle esigenze dei suoi abitanti -, l’inghippo che avrebbe portato alla sconfessione dell’Amministrazione Comunale stava tutto nel progetto della nuova porta che era stato elaborato. 

Non appena venivano conosciuti i suoi disegni e veniva valutata l’entità dell’intervento risultava chiaro che una volta realizzato quel progetto avrebbe recato una ferita alla cinta muraria, sottoposta ad uno squarcio che ne interrompeva la continuità. Ce n’era abbastanza per far scattare la protesta dei “difensori” dell’integrità delle Mura che ingaggiavano una vigorosa battaglia tesa a far recedere dai suoi propositi l’Amministrazione. Lo scontro andava avanti per mesi e faceva emergere l’arrogante insipienza degli uomini ai quali era stato affidato il governo cittadino. Forti del consenso della maggioranza consiliare, fra la quale si distingueva per la rumorosità delle sue parole un ricco proprietario di macellerie, i governanti non badavano alle critiche e marciavano spediti per la loro strada. Atteggiamento che sollecitava i “difensori” ad intensificare la loro iniziativa promuovendo una mobilitazione che trovava le adesioni delle personalità più in vista della cultura italiana.

Strumento della chiamata a raccolta in difesa delle Mura era la rivista “Rassegna Lucchese”, fondata e diretta dal letterato Domenico Luigi Pardini, dalla quale era nata la Società per la Difesa dei Monumenti lucchesi, di cui era magna pars Alfredo Caselli, il “biondino” che aveva fatto del suo caffè in via Fillungo il presidio della cultura e dell’arte. Era dal Caselli che partivano le sollecitazioni a intervenire in difesa delle Mura di Lucca ed era poi la “Rassegna” che le pubblicava dando l’adeguato risalto a quelle dichiarazioni che gettavano il discredito sui governanti lucchesi. Rispondevano all’appello in difesa delle Mura Giovanni Pascoli , Gabriele D’Annunzio e Giosuè Carducci, allora venerato come la massima gloria nazionale. Coerente con il suo stile leonino Carducci aveva parole di fuoco per i governanti lucchesi, nei quali vedeva gli eredi di quei meschini merciai che aveva sbeffeggiato nella “Faida de Comune” e diceva di loro che:

“Vogliono scoronare anche Lucca del suo bel cerchio che era sorto per accordo di natura ed arte in vista mirabile. Ma non profitta a Questi vili meccanici nemici d’ogni gentile e puro operare.” 

Con l’intervento di Carducci la questione cessava di essere un problema locale ed assumeva una dimensione nazionale e coinvolgeva il governo, al quale spettava l’ultima parola in fatto di tutela dei monumenti storici.

Per il governo cittadino si profilava una sonora batosta, ma prima di recedere dalle loro intenzioni gli “aperturisti” le provavano di tutte ed arrivavano al punto di sfidare in nome dell’autonomia municipale l’autorità governativa alla quale contestavano il diritto di occuparsi delle cose di Lucca.

La conclusione di questa vicenda, assai istruttiva per conoscere mai dismesse attitudini, sarà trattata nel Bollettino di guerra numero 10 della prossima settimana.

PS. Anche questo articolo è del genere “Tagliarini fatti in casa” perché proviene in buona parte dal libro di Roberta Martinelli, Lucca e le sue Mura, edito nel 2013 dalla casa editrice Publied di Lucca.

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4 Commenti

  1. Ringrazio il Professore Sereni che anche questa settimana ci ha regalato una chicca sulla storia delle mura . E come sua abitudine nel dare i meriti, con citazione sulla pasta fatta in casa ( come da buona forchetta) ammette di aver scopiazzato dal libro di Roberta Martinelli.

  2. Sarebbe bello che alla fine della serie degli articoli, gli stessi venissero raccolti (il link di ciscuno) in un’unica pagina/rubrica per poterli ritrovare facilmente.
    Come sempre il Professore riesce a salire in cattedra e spargere un po’ di cultura e conoscenza, almeno della nostra città, a quelli “ignoranti” come me. Grazie

  3. Come sempre lo storico prof.Umberto Sereni,ci fornisce con dovizia di particolari uno spaccato di storia cittadina,corredato da eventi,fatti persone ed enti coinvolti.
    peraltro è riuscito a colmare una mia lacuna, quando mia moglie che non è lucchese,mi chiede:
    -Ma quando e da chi è stato venduta quella parte di spalti oggi occupati daun’azienda vivaistica,che il comune vorrebbe ricomprare? adesso posso dargli una risposta adeguata.

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