Aborto, troppi obiettori in provincia. Si muore per l’Ivg clandestina. Serve una lista di medici a favore

-

In Italia ci sono circa venti ospedali pubblici dove non è possibile abortire perché il 100 per cento dei ginecologi, anestetisti e personale non medico è obiettore di coscienza. Lo dicono i dati di un’indagine, ancora parziale, dell’associazione Luca Coscioni pubblicata sul quotidiano Open. Ce n’è uno anche in Toscana, l’ospedale di Lunigiana e all’ospedale Versilia, su 16 ginecologi ospedalieri, 15 sono obiettori (più del 93 per cento). Nella provincia di Lucca in generale, la percentuale supera l’88 per cento.

Per quanto riguarda l’Asl Toscana nord-ovest dunque, l’iter per abortire senza obiezioni passa nella maggior parte dei casi per i consultori (o presidi specializzati), alcuni dei quali offrono un accesso diretto alla pratica, mentre in altri è necessario prenotare una visita ginecologica tramite Cup. Il medico rilascerà a seguito un certificato che attesti la volontà della donna di interrompere la gravidanza e fornirà le indicazioni sul giorno e la sede cui recarsi per la pre-ospedalizzazione. Nel nostro distretto sono 5 le strutture a disposizione, nessuna nella provincia di Lucca: la Casa della Salute a Calenzano, il presidio sanitario in via Rossini 2/0 a Campi Bisenzio, il presidio Alfa Columbos a Lastra a Signa, il presidio Acciaiolo a Scandicci e la sede distrettuale Gramsci a Sesto Fiorentino.

E’ un dibattito ancora molto acceso quello sull’etica dell’aborto, che scende nelle strade, che divide non solo la politica, ma anche le donne stesse. Seguendo la storia, la prima norma nell’ordinamento italiano a disciplinare formalmente l’obiezione di coscienza fu la legge numero 772 del 15 dicembre 1972 (la cosiddetta Legge Marcora), seguita dal relativo regolamento di attuazione (numero 1139 del 28 novembre 1977): Norme di attuazione della legge 15 dicembre 1972, numero 772, sul riconoscimento dell’obiezione di coscienza. I primi ‘obiettori’ si rifiutavano di prestare il servizio militare obbligatorio in violazione dell’obbligo coattivo eventualmente imposto. Passando poi per la ‘lotta’ contro la sperimentazione sugli animali, l’obiezione di coscienza è entrata anche nell’ambito dell’interruzione volontaria di gravidanza (IVG).

Una pratica, che definirei piuttosto una ‘conquista’, disciplinata dalla legge numero 194 del 22 maggio 1978, che ha permesso alle donne di essere tutelate, prima di tutto a livello sanitario, nel loro diritto di non voler essere madri. Prima di quel giorno, per dirla in minimi termini, gli uomini che non volevano diventare padri erano liberi di “scappare” rinunciando ad ogni tipo di responsabilità, mentre le donne che sceglievano un’altra vita il più delle volte morivano o rischiavano l’infertilità a causa dei metodi di aborto non sicuri o praticati con strumenti non chirurgici (sono un esempio gli aghi da maglia).

Quarantatre anni dopo, ci siamo sì evoluti da quel 22 maggio, ma forse non abbastanza perché gli aborti non sicuri sono ancora una delle principali cause di lesioni e di morte tra le donne di tutto il mondo, anche nei paesi in via di sviluppo come il nostro. Gli ultimi dati Istat infatti, relativi al 2017-2018, rilevano che in Italia, se pur la tendenza sia in calo, gli aborti clandestini registrati ogni anno variano dai 12mila ai 15mila e questo non solo perché la maggior parte dei medici negli ospedali, appellandosi all’obiezione di coscienza, nega alle donne la possibilità di esercitare un loro diritto, ma anche perché c’è ancora poca informazione sul “tabù del secolo” e sulle pratiche anticoncezionali.

Prendendo ad esempio la nostra città, di recente una farmacista, Maria Rosaria D’Atri, ha negato ad una ragazza la possibilità di ritirare EllaOne, pillola del giorno dopo, definendosi ‘contraria’: “È scientificamente provato che quando lo spermatozoo feconda l’ovulo siamo di fronte alla vita […]. Io difendo la verità – dichiarava al Tirreno -, sono per la vita e rivendico il diritto alle mie idee”. A seguito della vicenda, dopo il sit-in di Non una di meno, perché “l’obiezione di coscienza sulla contraccezione di emergenza (così è dichiarata dall’Aifa la pillola del giorno dopo) non è consentita per legge”, una nota scritta dai consiglieri lucchesi Marco Martinelli e Simona Testaferrata definiva Donne con la ‘d’ maiuscola” solo quelle contro ogni pratica abortiva rimarcando quella tendenza a giudicare a priori.

Ma se “sul mio corpo decido io“, allora forse c’è ancora bisogno di chiarire l’ovvio: una donna è libera, il giorno dopo, o anche il mese dopo, di non voler essere madre e non sarà questa consapevolezza a qualificarla migliore o peggiore. E’ libera tanto quanto un medico, secondo la legge e finché esisterà il diritto all’obiezione di coscienza, è altrettanto libero di rifiutarsi di praticare l’aborto perché tale pratica è in contrasto con la propria tavola di valori. Quello che, in ottica democratica, è superfluo da entrambe le parti è il pregiudizio. Il sensazionalismo di certe dichiarazioni genera infatti molti click, ma non informa, non crea dibattito e coscienza critica.

E allora in casi come quello della dottoressa D’Atri che si fa?  Il Comitato nazionale per la Bioetica  ha dichiarato che nell’ambito del “rispetto dei principi costituzionali si debbano considerare e garantire gli interessi di tutti i soggetti coinvolti: la donna, che deve ricevere l’indicazione di un’altra farmacia dove ottenere il prodotto richiesto e della farmacista, che deve poter assecondare la sua coscienza – un diritto che ha fondamento costituzionale nel diritto generale alla libertà religiosa e alla libertà di coscienza, sempre nel rispetto degli altri diritti fondamentali”.

Questa ‘bella dichiarazione’ manca però di praticità: non c’è un report ufficiale, dettagliato e consultabile, che segnali singolarmente medici privati e strutture pubbliche in cui è possibile praticare l’aborto, un elenco di farmacie dove poter ritirare il contraccettivo di emergenza, se nelle strutture viene usata la pillola abortiva RU468 (utilizzabile entro i primi 49 giorni di amenorrea) e per l’ultimo, ma non meno importante, manca un piano di sostegno soprattutto per le ragazze più giovani, il più delle volte lasciate sole di fronte ad una scelta così difficile. Potremo anche aggiungere che i contraccettivi dovrebbero poi essere venduti gratuitamente e la sessualità insegnata senza vergogna.

Allora bisogna operare ‘dall’alto’ (in politica se ne parla solo per riscuotere consensi), fornire le giuste indicazioni e informazioni utili alle donne che decidono di praticare l’Ivg, per tutelarne la salute sia fisica che mentale. E’ questo lo scopo degli striscioni nelle piazze, degli hashtag sui social, dei lunghi articoli: l’autodeterminazione.

(Se potessi concedermi una riflessione a titolo esclusivamente personale direi che l’era della Donna’, con la ‘d’ maiuscola solo se non rinuncia alla responsabilità di essere madre per nessuna ragione è del tutto anacronistica. Si diventa madri per desiderio, non per dovere. E non è “più facile”, perché anche le scelte consapevoli e sentite sono prima di tutte storie di vita e hanno il loro prezzo da pagare. E’ un atto d’amore rispettare sempre se stesse e la propria volontà. E questo vale anche per gli obiettori, almeno finché, appunto, la nostra Costituzione consentirà l’obiezione di coscienza. L’unico dovere che abbiamo è quello di concederci e concedere di scegliere l’unica vita che vorremo).

Share this article

Recent posts

Popular categories

Recent comments