Venti anni fa l’emergenza terbutilazina minacciava gli acquedotti di Lucca, Pisa e Livorno. Ci fu un grande progetto europeo

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Venti anni fa, per la precisione nel mese di settembre 2004, la Commissione Europea concesse al Comune di Lucca un finanziamento di 1.115.254,00 €uro per la realizzazione del progetto LIFE SERIAL WELLFIR.

Fu la risposta, attesa e importante, per affrontare un’emergenza ambientale per molti aspetti nuova nella pianura di Lucca, fino ad allora considerata una gigantesca riserva di acqua potabile, tale da servire non solo i residenti nella stessa pianura anche zone e città più o meno lontane: Pisa, Livorno, ecc.

Cosa era successo?

Tre anni prima, nel 2001, era scattato l’allarme per un inquinamento della falda del Serchio. Le periodiche analisi trovarono la presenza di un pesticida, la terbutilazina, nelle acque del campo pozzi di Sant’Alessio ma anche, seppure in misura minore, a Salicchi e San Pietro a Vico.  La terbutilazina, della famiglia delle triazine, è un erbicida sistemico, residuale antigerminello ad assorbimento radicale. Era il principio attivo maggiormente utilizzato in Italia per il controllo della flora infestante del mais e possiede caratteristiche uniche in termini di efficacia e selettività che lo rendono di estremo interesse nella maggior parte dei programmi di diserbo. Agisce sulla fotosintesi clorofilliana così la pianta muore per accumulo di sostanze tossiche accumulate a causa di un funzionamento anomalo. I sintomi sono decoloramento degli apici e margini fogliari, necrosi e morte. La terbutilazina è un prodotto estremamente residuale e la decomposizione totale della molecola è di circa 8-12 mesi. Le concentrazioni di terbutilazina riscontrate nei vari campionamenti erano al di sotto di quella massima consentita, ma si comprese che la falda era ad elevata vulnerabilità e che le misure di protezione fino ad allora attuate non erano sufficienti a escludere il rischio di un inquinamento tale da rendere necessaria la chiusura dei pozzi. Così scatto l’iter per unire a una campagna conoscitiva una serie di interventi volti a riportare la situazione alla normalità, escludendo in maniera certa e permanente l’eventualità di una contaminazione.

Tre anni dopo, il 31 agosto 2007, a Villa Bottini si tenne il workshop finale del progetto a cui abbi il privilegio di partecipare come moderatore avendo seguito da cronista le varie fasi di quella emergenza ambientale di cui è doveroso fare memoria.

A ripercorrere le varie tappe di quella vicenda per il Comune di Lucca fu Riccardo Pensa «L’emergenza – disse – fu gestita in maniera tempestiva e su più fronti, grazie al contributo differenziato dei vari enti coinvolti che misero in gioco le proprie competenze distinte in un’azione ben coordinata e il più possibile accurata e che tenesse conto dei diversi fattori e delle dinamiche coinvolte nella questione. Così, il Comune provvide ad emettere un’ordinanza che individuando, come previsto dal D. Lgs. 152/99, una zona di rispetto di 200 metri intorno ai pozzi di Sant’Alessio, vietava una serie di attività pericolose per l’integrità dell’acquifero. Non fu consentito disperdere fanghi ed acque reflue anche se depurate; accumulare concimi chimici, fertilizzanti o pesticidi; svolgere nell’area alcune pratiche a rischio quali la raccolta e demolizione di autoveicoli, la gestione dei rifiuti, l’apertura di cave in connessione con la falda, ecc.  Contemporaneamente, si intensificarono i monitoraggi delle acque e si mise in atto una campagna di censimento dei proprietari dei terreni e delle attività agricole in atto nell’area che palesasse anche il tipo di antiparassitari utilizzati, in modo da avere un quadro conoscitivo chiaro a partire dal quale poter decidere le azioni da intraprendere per garantire un’agricoltura compatibile col rispetto della qualità della risorsa idrica».

«Si pensò poi a porre rapidamente le basi per una salvaguardia ancora più decisa e sicura della falda del Serchio. In particolare, venne considerato che nel caso dei pozzi di Sant’Alessio, date le caratteristiche idrogeologiche della zona, l’area di rispetto di 200 metri indicata in prima approssimazione dal Decreto 152 potesse non essere sufficiente a garantire che non si verificassero fenomeni di inquinamento della falda. Vennero quindi ipotizzate una serie di valutazioni dettagliate di carattere idrogeologico, pedologico, agronomico e idrochimico che rendessero possibile la formulazione di una proposta di delimitazione più estesa dell’area di salvaguardia che venisse successivamente deliberata dalla Regione, così come stabilito dal Decreto 152. La gestione dell’emergenza comportò anche, chiaramente, che gli enti responsabili ed interessati a diverso titolo alla risoluzione del problema si confrontassero ripetutamente per rafforzare il coordinamento ed intraprendere progressivamente azioni sempre più importanti ed incisive. In tal senso, uno dei passi più significativi fu compiuto quando, nel giugno 2003, si giunse alla stipulazione dell’«Accordo di programma per la tutela delle falde del campo pozzi di Sant’Alessio». L’Accordo fu sottoscritto dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, Regione Toscana, Provincia di Lucca, Comune di Lucca, Autorità di Bacino del Fiume Serchio, Agenzia per la Protezione dell’Ambiente Toscana, e dalle Autorità di Ambito Territoriale Ottimale n. 1-2-5.

L’Accordo di Programma definì dettagliatamente le azioni immediate e a medio termine necessarie per la messa in sicurezza dell’alimentazione dell’acquedotto sussidiario di Pisa-Livorno e dell’acquedotto di Sant’Alessio, nonché i programmi di monitoraggio per il controllo della qualità delle acque della falda e dei terreni che interessavano la falda stessa. 

Nello specifico, sulla base del primo quadro conoscitivo dello stato pedologico e colturale del terreno circostante il campo pozzi di Sant’Alessio e dello stato idrologico ed idrogeologico già predisposto da Arpat, Comune di Lucca, Autorità di Bacino del Fiume Serchio e Geal nelle fasi iniziali della gestione dell’emergenza, l’Accordo assegnò specifiche competenze».

In particolare: Arpat avrebbe provveduto a definire un programma immediato di approfondimenti conoscitivi del contesto ambientale riferito ad accertare:

a) lo stato di contaminazione dei siti contermini alle prese acquedottistiche oggetto dell’Accordo;

b) la perimetrazione del territorio contermine al campo pozzi di Sant’Alessio sul quale l’eventuale spandimento di pesticidi potesse influenzare la falda di alimentazione del campo pozzi di Sant’Alessio;

l’Autorità di Bacino del Fiume Serchio avrebbe provveduto all’istituzione di misure di salvaguardia al fine di evitare ulteriori contaminazioni della falda idrica;

il Comune di Lucca si impegnava a provvedere alla revisione della perimetrazione indicata nell’ordinanza del 2002 e, per l’anno 2003, ad attivarsi con i proprietari delle zone coltivate a mais ricomprese all’interno del perimetro delimitato con la sopracitata ordinanza che non risultavano aver violato le prescrizioni ivi contenute, al fine di definire l’acquisto dei frutti pendenti sulle coltivazioni e comunque a prevenire ulteriori spandimenti di contaminanti sui terreni che potessero ripercuotersi sulla falda;

a Geal l’Accordo affidava il compito di predisporre ed attuare un programma di monitoraggio delle acque con campionamento in corrispondenza dei coacervi con frequenza quindicinale.

L’Accordo prevedeva anche significative azioni a medio termine. L’Autorità di Ambito Territoriale Ottimale n.1 si impegnava, con la collaborazione di GEAL e di concerto con il Comune di Lucca, ad elaborare una proposta di individuazione dell’area di salvaguardia del campo pozzi per poi presentare la proposta alla Regione Toscana; il Comune di Lucca avrebbe predisposto, entro sei mesi dalla stipula dell’Accordo un piano di tutela e bonifica dei terreni che influenzavano la falda idrica del campo pozzi di Sant’Alessio e che risultavano contaminati da residui di attività industriali non correttamente smaltiti; infine, sempre il Comune di Lucca, successivamente all’istituzione della nuova area di salvaguardia, avrebbe provveduto a dare immediata attuazione alla revisione degli strumenti urbanistici vigenti.

Al fine di garantire la massima efficacia delle azioni previste, l’Accordo prevedeva l’istituzione di un apposito Tavolo di Coordinamento la cui segreteria tecnica era garantita dal Comune di Lucca. Al tavolo avrebbero partecipato il sindaco del Comune di Lucca, un rappresentante del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, un rappresentante della Regione Toscana, un rappresentante della Provincia di Lucca, un rappresentante dell’Autorità di Bacino del Serchio, un rappresentante dell’Autorità di Ambito Territoriale Ottimale n. 1 ed il soggetto individuato come responsabile dell’Accordo.         

Oltre all’indicazione delle misure operative riportate e alla costituzione, come detto, del Tavolo di Coordinamento, l’importanza dell’Accordo di Programma risiede anche nel fatto di aver posto le basi per le iniziative che si sarebbero successivamente concretizzate con la stesura e l’approvazione da parte della Commissione Europea del progetto Serial Wellfir.

L’art. 8 di tale Accordo, nell’ambito degli obiettivi disposti per la tutela del corpo idrico sotterraneo, prevedeva la promozione di attività di sperimentazione e ricerca sostanzialmente rivolti a:

  • determinare i meccanismi di trasporto ed accumulo di sostanze inquinanti nel corpo idrico sotterraneo e nel terreno;
  • comprendere la capacità di accumulo e di persistenza nel corpo idrico e nei terreni degli inquinanti derivanti da attività agricole e zootecniche, ed in particolare della terbutilazina;
  • studiare i meccanismi di bioaccumulo e di tossicità delle sostanze inquinanti derivanti dalle attività agricole allo scopo di tutelare la salute umana e degli ecosistemi;
  • studiare sistemi innovativi di risanamento e bonifica del corpo idrico;
  • individuare tipologie di colture e modalità di gestione agricola a basso impatto.

Fu sulla base di queste idee guida che una parte dei firmatari dell’Accordo (Comune di Lucca, Ministero dell’Ambiente, Regione Toscana, Arpat, Geal) ed altri soggetti coinvolti per creare una sinergia ancor più forte (Lucca Agricola, Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa) si trovarono d’accordo nel predisporre e presentare in occasione della scadenza della selezione LIfe 2003/2004 una proposta di progetto per la sezione “gestione delle acque”.

Il progetto, denominato “Serchio River Alimented Well-Fields Integrated Rehabilitation”, fu presentato nell’Ottobre 2003 e, successivamente modificato ed integrato secondo le richieste inoltrate dalla Direzione Generale Ambiente della Commissione Europea, fu da quest’ultima giudicato favorevolmente e quindi, con Decisione n. C(2004)3331 final/71 del Settembre 2004, finanziato per un importo stabilito in €uro 1.125.254,00.

Particolarmente interessante e approfondito fu lo studio curato da ARPAT relativo alla rilevazione delle attività antropiche potenzialmente in grado di determinare l’immissione di fitofarmaci nell’ambiente, ricerca nella cosiddetta “area allargata d’indagine” così come definita nell’ambito del Progetto e che si estendeva lungo il corso del Serchio, indicativamente nel tratto compreso tra la confluenza del torrente Lima a nord-est e la località Filettole a sud-ovest.

Al momento dell’avvio dell’indagine, era già disponibile una considerevole serie storica di dati che dimostrava la pressoché costante presenza della sostanza attiva ad azione erbicida terbutilazina in corrispondenza di due dei quattro punti di prelievo di acque superficiali posizionati lungo il Serchio (Monte S. Quirico e Ponte S. Pietro), l’occasionale rilevazione dello stesso erbicida in località Piaggione e l’assenza di contaminazione in località Ghivizzano.

Si ritenne opportuno concentrare le attività d’indagine principalmente nella zona compresa tra le località Ghivizzano e Ponte S. Pietro, in quanto era evidente che in questo tratto si registrava la più consistente immissione di inquinante nel corpo idrico superficiale.

I dati disponibili confermavano anche che la terbutilazina era sostanzialmente l’unico fitofarmaco riscontrato nelle acque del fiume e nelle acque sotterranee dei campi-pozzi: la ricerca è stata quindi indirizzata verso l’identificazione dei punti di potenziale utilizzo agricolo ed extra-agricolo di questa sostanza attiva, sulla base delle informazioni acquisite in merito al suo campo d’impiego.

Le indicazioni d’uso portarono ad approfondire la ricerca alle attività industriali presenti su un territorio, la Media Valle del Serchio, fortemente caratterizzato dalla presenza di insediamenti del comparto produttivo cartario.

Per quanto riguarda il monitoraggio delle attività agricole nell’area di studio, oltre alla rilevazione delle pratiche di diserbo, l’indagine venne focalizzata su un campione di aziende agricole significative per dimensioni e per ordinamento produttivo. Per localizzare con certezza i punti di potenziale pericolo e stabilirne eventuali correlazioni con la contaminazione delle acque superficiali, nel corso dell’indagine furono georeferenziati i punti di approvvigionamento idrico sia per gli insediamenti industriali sia per le aziende agricole e, ove possibile, i punti di scarico dei reflui nei corpi idrici superficiali. Infatti, l’obiettivo immediato dell’indagine era quello di tracciare un quadro conoscitivo il più possibile attendibile e dettagliato delle attività dislocate nell’area interessata, necessario alla comprensione dei meccanismi causa-effetto che hanno determinato i fenomeni d’inquinamento.

COLTURAN. TRATT.
mais538
grano36
oliveto19
frutteto17
vigneto/oliveto15
vigneto12
vigneto/frutteto8
incolto8
fagiolo8
Lilium7
vigneto/frutteto/oliveto5
seminativi4
vite/incolto3
oliveto/bosco2
non dichiarato2
gladiolo2
frutteto/oliveto2
piante ornamentali1
TOTALE689

I risultati dell’elaborazione condotta sulle comunicazioni di diserbo dimostrarono un considerevole utilizzo delle pratiche di diserbo chimico nelle coltivazioni di mais delle zone non collinari del Morianese, delle località Cappella e Monte San Quirico in prossimità della Freddana, della zona di Sant’ Alessio e località limitrofe e della zona di San Pietro a Vico, confermando sostanzialmente quanto scaturito dal rilevamento a campione delle aziende agricole presenti nel territorio.

Più in dettaglio, i dati rilevati hanno indicato un utilizzo di terbutilazina nel 40% dei trattamenti praticati. Vennero esaminate circa 200 comunicazioni di diserbo agricolo relative alla zona di studio. La maggior parte delle comunicazioni conteneva un elenco di più trattamenti, relativi a località e a periodi diversi. Vennero individuati quasi 700 trattamenti ricadenti in località considerate rilevanti ai fini dell’indagine e relativi a un periodo compreso tra febbraio 2004 e luglio 2005. La quasi totalità delle comunicazioni riguardava località del comune di Lucca, mentre solo otto erano relative a località della Garfagnana o della Media Valle, per lo più relative a oliveti e a colture di piante ornamentali. I trattamenti comunicati vennero raggruppati per coltura:

SOSTANZA ATTIVA  (O ASSOCIAZIONE)N. TRATT%
Terbutilazina14527,0
S Metolaclor+Terbutilazina6712,5
Nicosulfuron5710,6
Metolaclor5610,4
Fluroxipyr478,7
Dicamba + Rimsulfuron438,0
Mesotrione438,0
Pendimethalin438,0
Dicamba203,7
Alachlor+Terbutilazina61,1
Benfuracarb61,1
Isoxaflutole30,6
Mesotrione+Dicamba+Nicosolfuron10,2
Tefluthrin10,2
TOTALE538100,0

Dai dati è possibile rilevare come quasi l’80% dei trattamenti comunicati riguardi colture di mais, mentre le restanti domande sono riferibili prevalentemente a coltivazioni arboree (vite-olivo-fruttiferi) e in minima parte a grano e ad altri tipi di colture.

Facendo riferimento alle sostanze attive utilizzate per il diserbo, la terbutilazina è risultata presente in purezza nel 27% del totale dei trattamenti del mais che sono stati oggetto di comunicazione. Sommando a questo valore la percentuale di diserbi con formulati che contengono terbutilazina in miscela si ricava che, complessivamente, questo principio attivo è utilizzato nel 40% circa dei trattamenti dichiarati. Per quanto riguarda invece le colture arboree, il glifosate risulta praticamente l’unico principio attivo impiegato.

Per quanto riguarda il diserbo extra-agricolo, in tutte le richieste di nulla-osta esaminate veniva dichiarato l’utilizzo di due sole sostanze attive, oxadiazon e glifosate, con netta prevalenza della seconda.

A chiusura del progetto il manager, l’ex dirigente comunale Mauro Di Bugno, ringraziò tutti “i compagni di questo viaggio” augurandosi «l’inizio di un’attività corale e sempre più efficace di tutela dalle falda del Serchio e del paesaggio del Parco fluviale».

Oggi è possibile seguire la situazione delle falde idriche lucchesi dal sito: https://sira.arpat.toscana.it/app/f?p=115:3:0 che riporta manca dati del monitoraggio ambientale delle acque sotterranee comprensiva delle misure quantitative acquisite dal Servizio Idrologico Regionale, nella forma di report interattivo. Frequente, scorrendo i vari pozzi trovate la dicitura che si tratta di corpo idrico “probabilmente a rischio”.

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