Una camicia di Ghisa

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Cosa conta di più in un capo di abbigliamento come una camicia? Che non sia spiegazzata o che sia comoda?

La domanda, un po’ oziosa, è il paragone per chiedersi che Europa vogliamo.

Se la nostra risposta è che la cosa importante è che la camicia sia sempre impeccabilmente stirata, la proposta di una camiciola fatta di buona ghisa è un’ipotesi da prendere in considerazione. La garanzia della permanete uniformità e impeccabile stiratura è più che una promessa commerciale, è una virtuale certezza. Ed anche quella di una rapida pulitura in caso di macchie, un di più da tenere in considerazione.

Potremmo immaginare di dargli i colori più sgargianti. Anche quelli metallizzati e luccicanti od opachi secondo l’ispirazione del momento. Le forme potrebbero essere audaci o classiche, nascondere o evidenziare a piacere. Sarebbe una tecnica costruttiva capace di liberare la fantasia di creativi e stilisti. Potremmo realizzare uno stile completamente innovativo e totalmente libero. Qualcosa di unico al mondo.

Certo, qualche problemino potrebbe anche esserci. Che so, potrebbe essere vista come un po’ scomoda nella quotidianità. Un tantino rigida, per dire. Senza contare che, anche nel migliore dei casi, finirebbe con il pesare almeno una ventina di chili…

L’Europa che viviamo, quella di cui facciamo esperienza, è tristemente somigliante alla splendida camicia di ghisa della premessa. Piena di promesse di grandezza centrate su una progettualità così poco umano-centrica da far impressione.

Se dovessimo fare un elenco delle principali innovazioni che l’Europa ci ha dato ci viene in mente, in rapida successione: GDPR, il regolamento sul clima, la selva di certificazioni in ogni settore produttivo. Forse a qualcuno verranno in mente persino i tappini di plastica. Una furia regolatrice che ha un impatto rilevante nella quotidianità delle persone e ancora di più nella quotidianità delle imprese.

Certo sarebbe miope fingere di dimenticare cose di fondamentale importanza come l’unione doganale, Schengen o l’euro. E non possiamo dimenticare neppure aspetti forse un po’ più marginali, ma non poi così tanto, come le tariffe di roaming intra-UE, l’Erasmus per gli studenti, il 112 per le emergenze, l’esistenza dell’IBAN.

Eppure è innegabile che l’Europa non sia un organo di rappresentanza dei cittadini ma un organismo, dotato di vita propria e che trae nutrimento da complesse ed opache interazioni tra governi, gruppi di interesse, grandi aziende e grandi lobbies. Una specie di essere vivente che non risponde ad un elettorato. Una burocrazia che ha un suo linguaggio, un sistema di valori non condiviso e un set di obiettivi che hanno poco a che fare con i desideri delle popolazioni europee e molto con autoreferenzialità e con la presunzione di sapere autonomamente cosa è giusto e cosa no.

Le elezioni europee sono le meno sentite non solo in Italia ma in tutta Europa. Ed essere europei non è un sentimento di appartenenza che la gente riconosca.

È vero che l’Europa è il più grande mercato mondiale. Ma è altrettanto vero che è un esperimento incompiuto e che ha perso il suo obiettivo ideale. Nessun partito e, soprattutto, nessuna famiglia europea proclama l’obiettivo degli stati uniti di Europa. Nessuno vuole una maggiore integrazione dei cittadini e delle sovranità. Non certo i conservatori, che in Italia sono il partito della Meloni, e meno di tutti i sovranisti di ID (in Italia Lega). Ma neppure i popolari (che in Italia sono soprattutto FI ma anche altri piccoli). E già questo taglierebbe la testa ad ogni aspirazione. Il problema è che neppure i socialisti pensano ad un tale esito.

Quindi nessuno vuole davvero uno stato Europa, federale o meno. Nessuno vuole perturbare davvero lo status quo tra le grandi famiglie europee.

In questo senso è emblematico il fatto che i programmi elettorali di tutti sono vaghissimi, a parte alcune opzioni di fondo (comunque piuttosto generiche riguardo ai relativi piani di attuazione) come aumentare il peso degli stati o diminuirlo. Ma mai che si dica come operativamente lo si voglia fare.

Basta guardare i messaggi dei partiti: PD “insieme per l’Europa che vogliamo”; FI “una forza rassicurante”; Lega “cambiamo l’Europa prima che cambi noi”; FdI “con Giorgia l’Italia cambia l’Europa”; Calenda “l’Europa sul serio”; Bonino “l’Europa la cambia chi la ama di più”; i 5 Stelle “l’Italia che Conta” (che vince il premio per il peggior doppio senso…).

Tutti si caratterizzano per la vuotezza dei contenuti, la genericità delle affermazioni e la mancanza di concretezza. Oltre all’accento sul cambiamento, segno evidente dell’insoddisfazione che l’istituzione Europa è in affanno presso la cittadinanza (almeno italiana).

Nella realtà il tema portante è: vinciamo noi o vincono loro; un governo di coalizione o un governo di parte. Si tratta di ragionamenti su chi avrà il potere, non su cosa fare di questo potere.

La nostra Europa è in crisi di identità. Lo è da quando è affondato, proprio sul voto popolare, il progetto costituzionale europeo per il voto referendario di Olanda e Francia. E ha definitivamente smesso di essere credibile quando la Gran Bretannia è uscita dal progetto. Difficile immaginare una Europa con Kiev e Bucarest ma senza Londra.

Se questo non è più un progetto politico ma solo un progetto di area economica dovremmo dircelo e porre i dovuti limiti alla potestà regolatoria di questo accordo commerciale. Se invece è ancora un progetto politico, allora dovremmo chiederci quale sia il destino che stiamo cercando di attuare e come garantire quella democrazia che, a parole, dovrebbe essere alla base dell’Europa ma che, nei fatti è almeno zoppicante, divisa come è tra burocrazie e governi che hanno pesi non proporzionali alle cittadinanze.

Credo che le elezioni condotte senza chiarezza portino le persone ad avere una giusta sfiducia in un sistema che non le garantisce. Queste elezioni non cambieranno questa convinzione.

Andrea Bicocchi
Andrea Bicocchi
Imprenditore, editore de "Lo Schermo", volontario. Mi piace approfondire le cose e ho un'insana passione per tutto quello che è tecnologia e innovazione. Sono anche convinto che la comunità in cui viviamo abbia bisogno dell'impegno e del lavoro di tutti e di ciascuno. Il mio impegno nel lavoro, nel sociale e ne Lo Schermo, riflettono questa mia visione del mondo.

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1 commento

  1. Tutto condivisibile. Purtroppo questa tornata elettorale , molto più che in passato, si è ridotta solo ad una verifica dei rapporti di forza tra i vari partiti : a me il 26 % , vediamo se quell’altra supera il 20 % … quell’altro rimarrà sotto il 10% o sarà superato da quell’altro che ora è sull’8% .. Si fanno riferimenti a simboli che poco hanno a che fare con lo spirito europeista e con gli ideali democratici.
    E’ una vera tristezza.D’altra parte se alcune forze politiche non credono a priori al progetto europeo, è inutile sfasciarsi la testa. Un vero peccato , perchè decenni fa lo spirito dei padri fondatori dell’Europeismo era nobile e , comunque, l’Europa, nonostante le sue innegabili imperfezioni, ha garantito un periodo di pace e relativa prosperità sino ad ora. Mala tempora currunt , sed peiora venerunt ! .

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