Scuole nei containers, parlano rassegnati alcuni studenti:”Ormai lo abbiamo accettato”

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Non è sempre colpa dell’ormai onnipresente Covid-19, o almeno non questa volta. Anche se non tutti lo sanno, molti studenti di Lucca e della piana facevano lezione nei containers anche prima.  

Abbiamo sentito e letto le dichiarazioni dei sindaci, degli esponenti politici, le critiche di genitori e professori; ma mentre mi chiedevo se fosse giusto o no che le istituzioni in questi ultimi anni avessero investito in strutture provvisorie, ho chiesto il parere diretto degli studenti. Loro, quelli che nessuno ha mai interpellato e che nei containers ci devono stare. Sono giovanissimi è vero, ma la sanno lunga. E sono, inaspettatamente, meno amareggiati di quanto si possa pensare per quella che è una situazione: “Più tragica a discorsi che a fatti”, dicono. Anzi, si lamentano poco e resistono di più. 

A parlare con noi sono alcune ragazze del liceo delle Scienze Umane L.A. Paladini che svolgono le lezioni nelle ‘scatole’ posizionate nel parcheggio dell’ex ospedale Campo di Marte: “Di base – dicono – ci siamo rotti di stare qui dentro. Però ci si abitua a tutto. Rispetto a due anni fa, dove in una classe era entrato pure un topo e c’era l’erba altissima nel giardino, la situazione è decisamente migliorata. Forse il container è più brutto da fuori che da dentro. Anche se questo non giustifica tutti i limiti che la struttura ha e il fatto che da un giorno all’altro siamo stati sfrattati dal centro storico per finire in un parcheggio”.

Ne abbiamo sentite mille. Quindi partiamo da una domanda semplice: com’è fare lezione in un container? 

“Dopo due anni lo abbiamo rivalutato. Diciamo che in tempo di Covid, tutto sommato, non è così male. Ha le sue difficoltà ma c’è un vantaggio: gli spazi molto grandi. Alcune stanze possono ospitare fino a 25 studenti garantendo il distanziamento di un metro fra ognuno degli alunni. Paradossalmente in questa emergenza il container si presta molto meglio di certi edifici classici, più ristretti e con limiti in fatto di dimensioni. Due anni fa quando siamo arrivati la prima impressione è stata terribile. La differenza tra il centro storico e il parcheggio del ex ospedale Campo di Marte si è decisamente fatta sentire. C’erano molti problemi: le tapparelle che non funzionavano, animali che entravano. Si vedeva che era improvvisato. Poi però, sarà perché tutti ci siamo dovuti adattare senza scelta, la situazione è migliorata nel tempo e adesso è quasi accettabile”.  

Quindi stare lì ha anche un lato positivo? 

Dal punto di vista della sicurezza sì. In questo periodo difficile viviamo il container quasi come una giusta soluzione e non solo come uno svantaggio. Forse il problema è più quello che si vede da fuori. Indubbiamente però ci sono ancora molti problemi, non lo possiamo negare”. 

Quali sono?  

Quello della temperatura per esempio: ora c’è ‘un freddo cane’. Per la questione Covid dobbiamo tenere l’edificio arieggiato lasciando aperta sia la porta sull’esterno che quella sul corridoio e quindi l’aria fa troppo riscontro. Le aule poi non sono insonorizzate e, se la nostra classe è tra due classi, sentiamo ‘il casino’ sia da destra che da sinistra e il risultato è che il professore non riesce a dialogare con gli alunni dell’ultima fila. Per non parlare poi di quando piove. Non avendo un vero tetto le gocce cadono direttamente sopra il container e rimbomba tutto. E non abbiamo una palestra. Veniamo prelevati con un pullman della Provincia e portati a fare ginnastica nelle varie strutture che ci ospitano. Ma è tutta roba che ormai per noi è diventata normale e nonostante tutto riusciamo comunque a fare lezione”.  

Ho capito che avete fatto in modo di adattarvi, ma in verità vi manca la scuola? Cosa vorreste? 

La scuola ci manca tantissimo. Noi rivogliamo proprio la nostra scuola, quella strutturata, quella con la palestra. Rivogliamo le classi e i nostri spazi. La biblioteca vicina. Alla fine non è colpa degli studenti se non c’è organizzazione, se c’è stato il Covid o se i lavori al Machiavelli non finiscono mai. Più che adattarci che dobbiamo fare? Per carità non siamo all’inferno, però capiamo anche quei genitori che si rifiutano di iscrivere i loro figli al nostro liceo o le proteste che sentiamo fuori. Il container spiazza. Ma noi alla fine siamo qui, capiamo la situazione e la viviamo come esperienza. Sempre sperando che sia una soluzione provvisoria perché se ci dicessero che dobbiamo restare per sempre la dentro allora no. Assolutamente no. Non è una cosa giusta. Avere una scuola è un nostro diritto e ci piacerebbe contare qualcosa. Ormai hanno smesso anche di raccontarcela”

La sanno davvero lunga sì. E allora il punto non sono i prefabbricati, il punto non è: “La necessità di distanziamento e sicurezza dovuta all’emergenza sanitaria”, come hanno ribadito i vari Enti locali, oppure: “Il numero di iscritti più alto delle aspettative”, come sottolineano alcuni dei presidi. E neanche: “La mancanza di risorse da investire in opere pubbliche da parte del Governo”, come si sente dire. Perché lo sappiamo che non è facile per nessuno e che i problemi ci sono realmente. Il punto sono tutti quei ragazzi che non vedono l’ora di riavere un proprio spazio. Che hanno ubbidito, a differenza di quanto si crede. Che provano ad accettare tutti questi cambiamenti dicendo, anche contro il parere di mamma e babbo e con il freddo in classe: “Non è poi così male”.

Quindi quanti altri escamotage dobbiamo trovare, oltre al Covid-19 che non ci molla, prima di intervenire veramente per le scuole? Loro non se lo meritano. Perché, anche se è scontato dirlo, un Paese che non ha spazio per gli studenti ha già perso tutto.

Poi non ci stiamo a lamentare se: “Dopo il liceo cosa pensate di fare?”

Ci siamo rotti di stare qui. Io all’università penso di andare a Londra”, perché prima o poi ci si stanca tutti di essere sempre le ultime ruote del carro e va bene così.

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