Ogni nome sui lucchetti è una donna vittima di femminicidio, piazza della Pupporona è zona fuxia

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Sonia, Clara, Deborah, Rossella, Lidia, sono alcuni dei nomi che si leggono sui lucchetti ‘appesi’ alla ringhiera intorno alla fontana di piazza San Salvatore. Conosciuta dai lucchesi come piazza della Pupporona, le attiviste di Non una di meno Lucca, l’8 marzo scorso, per la Festa della donna, l’hanno scelta come zona fuxia. Ogni nome è una donna vittima di femminicidio.

Un simbolo non di amore – come i lucchetti che una volta erano sul ponte Milvio a Roma, ma per ‘rompere il silenzio’: solo da gennaio a marzo di femminicidi se ne contano dodici. Gli ultimi lucchetti il 27 maggio: tre donne e il quarto di un uomo, Mirko Farci, morto mentre cercava di difendere la madre.

“La zona fuxia – dice Non una di meno – è un luogo transfemminista dove ci ritroveremo ogni volta che sarà commesso un femminicidio e non solo. Abbiamo scelto la piazza per la statua sulla fontana, che raffigura una Naiade (la Pupporona). Ninfa che nella mitologia greca era protettrice delle acque e dotata di facoltà guaritrici. Un essere immortale, come immortali sono tutte quelle donne che non sono più tra di noi, ma di cui porteremo altissimo e feroce il grido. Lì, alla ringhiera che circonda la statua abbiamo messo dei lucchetti fuxia rappresentanti le vittime di femminicidio”.

Le zone fuxia di Non una di meno sono ormai presenti in molte città italiane, nate quasi tutte dopo il primo lockdown, dove si è registrato un forte aumento dei casi di femminicidio e rappresentano un luogo di protesta e unione contro la violenza di genere, per la parità e i diritti.

La narrazione mediatica e istituzionale ci parla di ‘eccessiva gelosia’ o ‘raptus’, minimizzando il più delle volte i fatti e riconducendoli a situazioni private, isolate, accidentali, patologiche, quando in realtà sappiamo che la violenza sulle donne e il femminicidio sono prodotti di una società patriarcale i cui effetti si riversano in tutte le dimensioni della nostra vita – continua -. Dai luoghi di lavoro, dove la retribuzione è inferiore a quella di un uomo, ad una farmacia o un ospedale praticante l’obiezione coscienza, lesiva della nostra libertà di scelta; dalle scuole, in cui non vi è educazione sessuale ed affettiva, ad una formazione liberticida che non mette in discussione i ruoli e le identità di genere. La nostra lotta ha come obiettivo di non dover più appendere alcun lucchetto a quella ringhiera. Lottiamo l’otto marzo, ma lottiamo tutti i giorni contro le stesse istituzioni politiche ed economiche che ci regalano le mimose un giorno all’anno stendendo un raccapricciante silenzio sulle violenze praticate ogni giorno”.

Sul valore dei simboli si discute molto e l’opinione è divisa in due: per qualcuno sono ‘esuberanti’ e privi di concretezza, secondo altri sono necessari. Di certo c’è che comunicano sempre un messaggio: per Non una di meno i lucchetti in piazza della Pupporona sono un piccolo gesto contro l’indifferenza che ancora circonda la violenza di genere, un modo per non dimenticare che c’è ancora tanto (troppo) da fare.

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