O tempora, o mores

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La vicenda di Leonardo Apache La Russa ha monopolizzato l’attenzione pubblica. 

Chiariamo subito che trascende lo scopo di questo articolo parlare degli elementi probatori legati al caso o prendere una posizione a favore o contro imputato e accusatrice: al momento le indagini sono in corso e, comunque, non abbiamo certo la competenza per valutare prove e ragionare di interpretazione delle norme penali.

Eppure alcune riflessioni credo che siano necessarie.

La prima è la schizofrenia della nostra percezione: sballarsi e perdere il controllo va bene, fare le cose che si fanno quando si perde il controllo no; il sesso è una pratica senza se e senza ma poi facilmente spezza l’anima delle persone; c’è un diritto a perdere la testa ma c’è un dovere degli altri a tutelarci se la perdiamo senza neppure doversi sentire in colpa per essersi messi in pericolo; la libertà sessuale è un diritto ma poi il consenso per questo è labile e di difficile prova.

La nostra morale è diventata elastica. A dismisura. Che i nostri giovani facciano sesso con degli sconosciuti incontrati in discoteca non deve essere contestato: sono giovani, è una specie di diritto. Sesso libero. Nessun significato ulteriore. Solo divertimento. 

Sesso come sfogo sociale, come analgesico per le frustrazioni della vita. Come se non avesse importanza.

Ma poi, in verità, importanza ce l’ha eccome. E lo si vede nelle reazioni di una ragazza che, pur asserendo di non ricordare nulla, sull’ipotesi che le cose non siano andate come altre volte, con più lucida intenzione, va (giustamente) nel panico. Quindi il sesso non è uno svago: è una dimensione profonda della comunicazione dell’anima. Che se deviata (volontariamente o no) verso l’irrilevanza, lacera lo spirito. La chat della ragazza che si rammarica duramente contro sé stessa dicendo “… non va bene, faccio troppi casini. Non sono normale” è istruttiva. E certo il profilo che emerge dalle chat (abbondantemente riportate dai giornali) racconta di una persona che è in conflitto con sé per la gestione della propria vita. Che nello sballo (più o meno) quotidiano non trova una felicità ma una causa di rifiuto di sé.

Ma non possiamo non notare che, anche se si dovesse credere alla buona fede del ragazzo, la gestione della sua vita sia poi migliore. Anche ammesso che lui non abbia fatto uso di droghe (come asserisce e sarebbe testimoniato da altri) e sempre ammettendo che non sia responsabile dello stato di “sballo” della giovane, il racconto che emerge è quello di un mondo di ragazzi annoiati dalla vita in cerca di qualcosa di più, qualcosa di irresponsabile. Ragazzi che si incontrano per caso; che senza pensieri e con “normalità” si perdono in droghe e alcool e che poi vanno a letto insieme senza neppure conoscersi, senza significato, senza cuore. 

Un mondo pericoloso per il corpo e per lo spirito. 

Un mondo che non ha regole né protezioni.

È questo il mondo di questa gioventù. Se non ci fosse stata l’ombra del reato, sarebbe però una “non storia”, una cosa normale e banale. La quotidianità di tanti ragazzi e che non “buca” certo i giornali. Una normalità fatta di malattie a trasmissione sessuale, di abusi di droghe e alcool, di un affaticamento fisico e mentale per orari impossibili. Un mondo alla rovescia che premia le apparenze e le sensazioni e disprezza la responsabilità e l’impegno.

Un mondo che hanno costruito e avallato le generazioni precedenti, dal ’68 in poi. Una moralità, anzi una “amoralità” che ora consuma troppi giovani. Ma non vogliamo ammettere che è un problema sociale. Le cui tracce però vediamo nei casi cronaca: oltre all’avvio caso di Ciro Grillo, il caso degli YouTuber con il macchinone, gli incidenti di guida notturna al rientro dalle discoteche, le mille sfide mortali che ogni settimana diventano virali su TikTok, le risse la sera nei luoghi dello sballo, per arrivare fino ai ragazzi che “dirottano” un’ambulanza pre andare a divertirsi a Riccione. E, soprattutto, al vasto e sommerso mondo dei neet, acronimo inglese (Not in Education, Employment or Training) per indicare la generazione perduta: quella dei giovani che non studiano e neppure hanno un lavoro né lo cercano; che sono privi di stimoli e progetti e che vivono una forma di anoressia dell’anima che consuma il loro futuro.

In questo quadro fuorviante che abbiamo loro propinato come “divertimento” ci sono delle trappole mortali: il sesso libero è tale se consensuale. Ma il consenso non basta che sia espresso: deve essere anche sostanziale. Tradotto, se vai con una ragazza che non è in sé (perché drogata o ubriaca) allora il suo consenso non vale nulla. E questo anche se tu, con la sua situazione di incapacità di decidere della sua vita, non c’entri nulla. Dovresti sapere che il suo stato è alterato e la sua volontà non può essere recepita e astenerti. Ma la verità è che in quelle discoteche sono tutti alterati almeno dall’alcool se non dalle droghe che sono abbondantemente presenti. E sapere se qualcuno è troppo “fuori” è roba da medici professionisti più che da giovani scapestrati.

Dobbiamo essere chiari su questo punto: il problema non è la legge che dice che non ci si può approfittare di chi si è messo in una posizione di inerme inferiorità. Questo è un principio giusto. Il problema è che non possiamo giustificare il libertinaggio (che è quello che facciamo passare sotto lo stemma di libertà sessuale) e al tempo stesso attenderci da ragazzi senza una formazione morale che si comportino da monaci tibetani. O che magari facciano delle “prove di consapevolezza” ai partner sessuali appena incontrati.

Così da una parte inculchiamo il mito del diritto di essere giovani come la fase in cui tutto è lecito, tutto a permesso, tutto è libero. Magari anche sostenendo la liberazione delle droghe (ancorché “leggere” ma comunque abili a sballare). E così creiamo dei soggetti che, proprio perché alterati da sostanze psicoattive, sono incapaci di adeguata lucidità. Dall’altra ci scandalizziamo se le conseguenze di questa amoralità sono macabre o raccapriccianti. E ci consoliamo additando il malcapitato che si trova incastrato nel meccanismo corrotto che abbiamo realizzato per nascondere le nostre responsabilità morali in proposito.

Del caso concreto si occuperà la magistratura e, in fondo, la sua conclusione (vuoi l’assoluzione del sospettato, vuoi la sua condanna) non è davvero rilevante per tutti noi. Ciò che davvero conta e cominciare a rimuovere quelle lenti deformanti che abbiamo messo davanti ai nostri occhi e che ci hanno fatto credere che la morale fosse cosa da bigotti e che non servisse a nulla. Perché se è vero che anche la morale può essere distorta e trasformata in qualcosa di inumano, è certo però che la sua assenza è una prospettiva che riduce l’uomo ad un predatore nella giungla. Che senza una morale condivisa e prudentemente elaborata, il nostro tempo non potrà che essere cupo e dolorosamente costellato di orrori. E che questi orrori colpiranno inevitabilmente soprattutto chi ha meno esperienza e conoscenza: i nostri figli.

Andrea Bicocchi
Andrea Bicocchi
Imprenditore, editore de "Lo Schermo", volontario. Mi piace approfondire le cose e ho un'insana passione per tutto quello che è tecnologia e innovazione. Sono anche convinto che la comunità in cui viviamo abbia bisogno dell'impegno e del lavoro di tutti e di ciascuno. Il mio impegno nel lavoro, nel sociale e ne Lo Schermo, riflettono questa mia visione del mondo.

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1 commento

  1. Premesso che, come giustamente scrive il post, è una schizofrenia della percezione pensare che “… sballarsi e perdere il controllo va bene, fare le cose che si fanno quando si perde il controllo no…”.”; diciamo subito che sballarsi “non” va bene, essendo perseguibile per legge; se si pensa sia una legge ingiusta, la si cambi; ma non mi sembra il caso.
    Sballarsi produce, oltre ad altri vari eventi, problemi che possono portare alla morte propria od altrui per incidenti, ed a danni fisici gravi con aggravio sia dei costi, poi da tutti pagati, sia dei tempi, altrimenti dedicabili a curare chi le malattie non se le cerca al SSN. Anche perché il nostro SSN non gode attualmente di ottima salute, senza indagare su chi lo abbia ridotto in tale stato.
    Una volta, specialmente nei fine settimana, per fare un esempio, vedevo pattuglie delle forze dell’ordine ferme a lungotevere a Roma dove, la sera tardi, evidentemente sballati, giovani vari correvano ad alta velocità impazziti e sporgendosi fuori dal finestrino e fuori di testa, con la musica a palla; quindi il reato veniva per quanto possibile contestato dalle pattuglie che li fermavano e si cercava di prevenire l’incidente.
    Attualmente, a Roma, nelle zone da me frequentate, vedo poche pattuglie a prevenire l’incidente; dopo aver legiferato il reato di “omicidio stradale” ho l’impressione, posso sbagliare, che i controlli preventivi siano diminuiti; me lo confermano le stesse autorità quando, segnalando eventuali illeciti, a volte mi dicono che mettono in nota in quanto le pattuglie attualmente sono tutte occupate e facendo a volte capire, anzi dicendolo a volte chiaramente, che avrebbero bisogno di più personale.
    Non ho motivo di dubitarne. E lo trovo strano, ascoltando alcuni politici che parlano di disoccupazione e di “poveri” da assistere. Perché non assumerli nelle forze dell’ordine, invece di dare loro un reddito di cittadinanza?
    Mi chiedo se tutte la pattuglie occupate, spesso per incidenti gravi, non sarebbero meno occupate se tali incidenti gravi non accadessero grazie alla prevenzione degli stessi, sanzionando e ritirando patenti, come accadeva una volta.
    Il reato di omicidio stradale punisce i colpevoli ma, purtroppo, non riporta in vita le vittime; e neanche restituisce loro eventuali danni fisici irreversibili.
    Quale è lo scopo di legiferare, anche sulle sostanze stupefacenti o sull’abuso di quelle legali se, poi, non si mettono al massimo a disposizione delle forze dell’ordine i mezzi per farle rispettare sempre, e non a posteriori quando l’incidente è ormai accaduto?
    Si legifera continuamente con novità e aggravamenti di pena ma, quando si ascolta la notizia data delle nuova ennesima legge, sorge subito spontanea alla mente la domanda, giusta o sbagliata che sia “va bene; e, adesso che c’è la nuova legge, verrà pedissequamente fatta rispettare? Si assumeranno più persone nelle forze dell’ordine a tale precipuo scopo?”.
    Una persona uccisa da un incidente causato da un drogato, quale che sia la droga, anche forse uno smartphone male usato, non riporterà certo in vita la vittima; neanche quando chi ha causato l’incidente sarà arrestato per omicidio stradale.
    A mio parere occorre
    “prevenire”,
    assumendo personale nelle forze dell’ordine e mandandolo con pattuglie sul territorio a controllare lo stato psichico di chi guida e, se necessario, ritirando patenti o sanzionando: basta con gli spettacoli che vedo dalla finestra, giovani in evidente stato di ubriachezza che, alle due di notte, dopo aver passato la serata in un locale con musica all’aperto e cocktails, urlano e farneticano a voce alta prima di mettersi alla guida.
    Prevenire. Anche con l’educazione che dovrebbe in primis spettare ai genitori e, poi, anche a se stessi.

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