La grande corsa: proviamo a capire cosa pensano i protagonisti

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Berlusconi è saltato. Di fatto è stato bocciato anche se non sappiamo con quanti voti. Ma sappiamo che era “troppo lontano” dal traguardo per tentare il colpo. Quindi, Il grande alibi dei partiti ora non c’è più.

La sua presenza era oggettivamente un problema per la corsa verso il Colle. Il centrosinistra (che per adesione ormai include anche i M5S) sarebbe deflagrato se Berlusconi fosse stato eletto. E quindi non era possibile nessun dialogo fintanto che quella “pistola” era puntata alla testa della dirigenza di PD e stellati.

Ci si potrebbe aspettare che il dialogo partisse e che le cose ora possano scorrere in modo comprensibile e ragionevole, alla luce del sole.

Oggi, invece, assistiamo ad uno spettacolo difficilmente comprensibile. E non perché le ragioni sono nascoste. Ma perché le ragioni sono anche troppo evidenti.

I partiti hanno fatto Draghi Presidente del Consiglio meno di un anno fa. E in così poco tempo l’Italia sembra, improvvisamente, aver cambiato passo, invertito una traiettoria discendente che durava da oltre 20 anni e che né governi di centrodestra né governi di centrosinistra avevano scalfito. Né tantomeno, quasi inutile sottolinearlo, l’imbarazzante interludio dei governi Conte.

In meno di un anno abbiamo cominciato a vedere il cambiamento che abbiamo atteso per 20.

In altre parole, Draghi ha dato dimostrazione del fatto che la qualità dei governanti è rilevante.

Questo è evidente a tutti ma soprattutto, naturalmente, ai soggetti che guidano i partiti. I quali, tutti, sono stati ministri o primi ministri. E, di conseguenza, soffrono psicologicamente il confronto pubblico con Draghi.

Quindi non possiamo capire questo momento se non capiamo le motivazioni, anche “personali” che muovono le azioni dei principali attori. Chiarite queste, ognuno potrà farsi una sua proiezione della Grande Corsa.

Conte: odia Draghi più di ogni altro. Perché la sua esperienza a Palazzo Chigi è recente. Perché è quello che più viene messo a confronto con l’attuale inquilino. Perché è quello che, in quel confronto, ha fatto la figura peggiore. Perché è quello che ha meno controllo dei propri gruppi: il prototipo del “re travicello”. E, certo, è tra i più “dotati” di orgoglio e amor proprio.

Berlusconi: non vuole Draghi perché non potrebbe davvero dire che è una sua emanazione né che è stato superato nella corsa al Colle da odio e disinformazione. Piuttosto a sorpassarlo sarebbe uno che ha fatto decisamente meglio di lui. E, per Berlusconi, nessuno è meglio di Berlusconi.

Franceschini: non vuole Draghi perché con lui non la spunta. Non riesce mai a farlo apparire meno bravo di sé in Consiglio dei Ministri. E nessuno davvero ritiene Franceschini più intelligente di Draghi. Mentre, quanto a dotazione di orgoglio, ha ben pochi competitori.

Renzi, D’Alema: stesso discorso di Franceschini con l’aggravante che loro sono stati a Palazzo Chigi e ne sono usciti dalla finestra, non dalla porta (sorte che ha accomunato anche Conte). E quindi vorrebbero che anche Draghi facesse la stessa fine. Ma sono dotati anche di intelligenza politica e adattabilità tattica (anche qui analogamente a Franceschini ma forse non a Conte) e quindi possono cambiare direzione rapidamente e salire sul carro di Draghi se avessero sentore che è quello che si appresta a vincere.

Meloni: gioca a fare la grande, forte di un consenso “potenziale” fuori dal palazzo accreditato di un 20%. Ma in parlamento (i cui membri sono stati eletti quando FdI pesava il 6%) ha pochissimo peso. Vorrebbe le elezioni e quindi è pronta a mettersi in gioco per o contro Draghi a seconda di quello che ritiene possa favorire il ritorno alle urne. Probabilmente una delle poche che non ha un problema “personale” con Draghi.

Salvini: cerca di tenere il pallino in mano ma non è facile. Ha uno stile comunicativo e politico iper-diretto e mal sopporta le liturgie. Il che, probabilmente, è uno dei suoi pregi. Ma ritiene che il fine sia più importante dei modi. E, spesso, scavalca le regole per raggiungere i suoi obiettivi. Il che è apprezzato da una parte dell’elettorato ma è oggettivamente rischioso per una carica istituzionale (al ministero dell’interno ne sanno qualche cosa). Strumentalizza troppo il suo ruolo e il suo peso cercando scorciatoie alle procedure e alla costruzione di un vero consenso. Ed è impaziente. Nelle trattative di palazzo finisce spesso per fare la figura del bullo che, poi, viene marginalizzato. In questa trattativa è un rischio esiziale per lui.

Oggi vorrebbe una trattativa schietta con Draghi che gli desse “garanzie” sulla composizione del nuovo governo. Ma le regole democratiche non vanno in questa direzione e Draghi, da buon banchiere, conosce bene il peso e il valore del rispetto delle regole per garantire il funzionamento delle macchine amministrative. Quindi non può e non vuole uscire dalla correttezza del proprio ruolo. È quindi un dialogo in (ripida) salita, tra persone che vedono il mondo da angolazioni opposte. Difficile prevedere quale direzione prenderà Salvini rispetto a Draghi. Di certo, almeno all’inizio, esplorerà ipotesi di Presidenti più malleabili e pronti a “trattare” con lui. Poi, si vedrà.

Letta: è il più flessibile. Come per Conte, la sua leadership è assai poco salda. Non viene messo apertamente in discussione ed è considerato con maggiore stima dai suoi. Ma deve mediare tra anime e sensibilità profondamente diverse. Vorrebbe Draghi perché è la migliore garanzia per il futuro governo e per tutelare l’avanzamento del PNRR anche verso l’Europa. Ma, se si delinea un diverso accordo “largo” e accettabile per il suo partito, è pronto a sposarlo.

Di Maio: dai tempi del “bibitaro” che andava dai Gillet Gialli è un altro uomo. Oggi tiene in mano la maggioranza dei gruppi parlamentari. Ha una discreta “visione” e ha bisogno di tempo per logorare Conte e riprendersi il movimento e, giustamente, non ha impazienza di arrivare a delle elezioni dove verranno sicuramente pesantemente ridimensionati. Inoltre, con Draghi, in questo anno, ha trovato una buona intesa e quindi non gli dispiacerebbe affatto averlo al quirinale in ottica futura.

Giorgetti: da sempre un grande “fan” di Draghi. Non ha un grande potere interno alla Lega, questo è stato reso palese di recente. Ma resta una voce autorevole interna ad una delle forze maggiori in parlamento e, al momento buono, potrebbe giocare un ruolo importante nel fare da “mediatore” tra Draghi e Salvini e a favorire un avvicinamento che aprirebbe le porte del Colle al Primo Ministro.

Il grosso dei parlamentari: vive in modo meno “personale” (e quindi non soffre psicologicamente) il confronto tra “il passato e il presente”. Ma non vuole andare a casa. Ha il problema di arrivare a settembre per “maturare la pensione” (che è il vitalizio che spetta ai parlamentari cha hanno fatto almeno 4 anni e mezzo di legislatura). Quindi queta babele di “peones” è divisa in vari filoni.

Da una parte coloro che sono alla prima legislatura e non hanno credibili possibilità di essere rieletti anche per effetto della riduzione del numero dei parlamentari (moltissimi 5S, molti FI, parecchi PD, molti centristi): voteranno la soluzione che meglio si presta al proseguimento della legislatura. Quindi sperano in un accordo ampio tra i partiti che possa riflettersi in altrettanto ampio consenso per un (nuovo/confermato) governo per l’ultimo anno di legislatura. Perché senza accordo per il governo è la fine della legislatura. Per loro Draghi è un’opzione se raggiunta a larga maggioranza. Ma Draghi è la soluzione anche se vedessero che le cose si complicano e i leader non trovano una proposta che non porti a prove di forza. Tutti hanno presente che se Draghi cominciasse a “salire” da una votazione all’altra, tutti i partiti dovrebbero salire sul carro del vincitore e si avrebbe un “effetto unità” che è una buona garanzia per il completamento della legislatura.

Coloro che la pensione ce l’hanno già ma pure non hanno serie possibilità di tornare in Parlamento (quelli di seconda legislatura che, assieme ai sopra menzionati non rieleggibili, formano la larga maggioranza del parlamento) sentono un po’ meno la “necessità” di un governo a tutti i costi ma seguono le stesse logiche di sopra e, in fondo, a casa non ci vogliono proprio andare.

Poi ci sono quelli che hanno discrete o buone possibilità di essere rieletti. Questi saranno fedelissimi delle segreterie e delle relative indicazioni per non pregiudicare le proprie chances di essere rieletti. Da loro non verranno né proposte né sorprese. Quindi loro sono riassunti nelle posizioni dei rispettivi leader. Ma, per la prima volta nella storia del parlamento, sono la minoranza.

Questo è il panorama. Ognuno giudichi quello che è lo stato delle cose. E anche lo stato di salute della politica.

Un’ultima nota: mai un Presidente del Consiglio in carica ha traslocato direttamente a Presidente della Repubblica. E il motivo è che il secondo dovrebbe essere super partes mentre chi governa, no. Ma anche perché, così, sembra che ci sia una sola persona abbastanza valida nei palazzi del potere per le cariche apicali. E forse è proprio così…

Andrea Bicocchi @Andrea_Bicocchi

(foto da Vlad Lesnov)

Andrea Bicocchi
Andrea Bicocchi
Imprenditore, editore de "Lo Schermo", volontario. Mi piace approfondire le cose e ho un'insana passione per tutto quello che è tecnologia e innovazione. Sono anche convinto che la comunità in cui viviamo abbia bisogno dell'impegno e del lavoro di tutti e di ciascuno. Il mio impegno nel lavoro, nel sociale e ne Lo Schermo, riflettono questa mia visione del mondo.

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