Gli insulti fascisti alla memoria dalmata-giuliana. 

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Quest’anno saranno 80.  

80 sono gli anni passati dalla fine della guerra.  

80 sono gli anni passati da quando degli italiani furono costretti con la forza a lasciare tutto ed ad emigrare da una terra che non era più italiana per cercare rifugio in una patria che non sembrava volerli. 

80 sono gli anni che sono passati da quando questi concittadini furono trattati come nemici, concentrati in campi profughi e costretti a vivere in condizioni precarie, coperti dal disprezzo di alcuni e dalla silenziosa quiescenza di altri. 

A Lucca ne arrivarono molti per le dimensioni della città. E furono trattati meglio che da altre parti. 

A Lucca furono un migliaio sui 250’000 – 350’000 profughi complessivi. Furono alloggiati in aree del centro storico: presso la manifattura e nel Real Collegio. Ci vorranno 10 anni perché fosse dato loro un alloggio degno di questo nome. 10 anni in cui furono stipati in spazi insufficienti e inadeguati. In quello che, a tutti gli effetti, può essere equiparato ad in campo profughi in centro a Lucca. 10 anni in cui vi era quasi imbarazzo a sostenere questi concittadini che erano stati espulsi dalle loro case e che avevano perso tutto. 

80 anni sono molti. Chiunque, a quei tempi, aveva l’età per essere responsabile di qualsiasi cosa è morto.  

Dopo questo tempo dovremmo pensare che questa vicenda sia consegnata alla storia. Che l’Italia possa chiudere i conti con quel periodo. Che si possa guardare a quegli eventi senza tingerli più di partigianeria politica. E che il dolore di quei tempi possa essere sublimato: raccogliere la pietà che merita e non essere strumento di odio. Un odio ingiusto già allora: finalizzato a giustificare il regime comunista in Jugoslavia e nulla più. Perché credere che tutta la popolazione dalmata-giuliana di nazionalità italiana fosse parte attiva delle gerarchie fasciste è risibile. E perché ormai dovremmo considerare che anche con il fascismo dovremmo mettere un punto di fine alla polemica politica.  

L’Italia non ha mai avuto un passaggio di pacificazione storica. Anche qui per motivi politici: ai comunisti faceva comodo avere uno spauracchio per poter coalizzare i propri contro un nemico, per lo più immaginario (almeno a partire da 50 anni fa…). E ai democristiani (che storicamente erano più a sinistra che a destra) non dava fastidio avere un avversario demonizzato alla propria destra. Spingeva inesorabilmente una parte di elettorato conservatore nelle proprie fila. 

È sbagliato non comprendere davvero un movimento, quello fascista, che affascinò una parte maggioritaria della popolazione. È sbagliato accreditare la visione che le elezioni non le vinsero mai ma che sempre furono i brogli a garantire il potere.  

È sbagliato e pericoloso.  

Perché fa credere che fosse una specie di singolarità della storia, un evento unico e irripetibile che non aveva collegamenti con la realtà di allora. Mentre invece fu un fenomeno che coinvolse molte nazioni, ciascuna in modo autonomo (anche se, naturalmente, gli eventi culturali di un luogo influenzano ed ispirano gli altri). E fu un fenomeno che ebbe molti punti in comune con il comunismo, particolarmente sovietico.  

Oggi stiamo pensando che dovremmo fare un’opera di pacificazione con il periodo degli anni di piombo, con gli assassinii di quei terribili anni ’70 del secolo scorso. Una pacificazione con una cultura violenta e omicida che contagiò la società italiana 50 anni fa. Con una cultura della violenza che era molto simile a quella che portò il fascismo al potere ma più elitaria e più violenta. E i cui esponenti sono ancora vivi e in grado di influenzare l’opinione pubblica. 

Ritengo che oggi quella cultura, quella brigatista, sia stata vinta. Che non costituisca più un reale pericolo per la nostra democrazia, sebbene esistano ancora dei nostalgici comunisti che giustificano quanto accadde. E, per conseguenza, ritengo che sì, dovremmo chiudere quel capitolo con una specie di pacificazione culturale almeno con chi avallò e giustificò quel pensiero (con chi fu omicida e ancora vive e rivendica ciò che fece ho più difficoltà). 

Ma a maggior ragione ritengo incomprensibile l’incapacità di raggiungere una pacificazione culturale con le ideologie che furono sconfitte 80 anni fa. Pacificazione che si estrinseca nello smettere di usare termini come fascista per denigrare un avversario e nel comprendere che il fascismo fu un fenomeno a cui aderì la maggioranza della popolazione di allora. Un movimento che affascinò; che promise (senza naturalmente mantenere) un mondo migliore che la gente voleva; che coinvolse e convinse molti, moltissimi. La sua successiva trasformazione in dittatura e la discesa in guerra cambiarono le cose e indussero molti a rivedere le loro idee.  

Eppure, negare che quelle idee ebbero un fascino è il miglior modo per consentire che altre e simili idee possano attecchire in futuro. E il non  riconoscere con pietà la sofferenza di nostri concittadini è il seme della disgregazione del tessuto sociale. 

Andrea Bicocchi
Andrea Bicocchi
Imprenditore, editore de "Lo Schermo", volontario. Mi piace approfondire le cose e ho un'insana passione per tutto quello che è tecnologia e innovazione. Sono anche convinto che la comunità in cui viviamo abbia bisogno dell'impegno e del lavoro di tutti e di ciascuno. Il mio impegno nel lavoro, nel sociale e ne Lo Schermo, riflettono questa mia visione del mondo.

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