Elezioni 2025: facciamo un bilancio dopo il referendum.

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È fatta. Abbiamo prodotto il nostro voto annuale.

In effetti era anche il secondo turno delle amministrative. E per il centrodestra, come osservato nel commento al primo turno, non è che ci sia da festeggiare. Il centrosinistra stappa lo spumante anche a Taranto e al centrodestra resta solo la roccaforte della Basilicata.

Francamente pochino. Segno sempre più evidente di una inconsistenza dell’organigramma partitico che dovrebbe seriamente preoccupare e occupare le leadership nazionali dei partiti di centrodestra. Ma non è così.

Se non ci fossero stati i referendum oggi tutti i giornali parlerebbero della sconfitta del centrodestra.

Ma i referendum ci sono stati… e sono stati un disastro.

Un disastro annunciato.

Già in partenza erano referendum su materie che non erano particolarmente sensibili e che non necessitavano di un forte intervento. Ogni statistica sul lavoro parla di un sistema che funziona meglio di una volta. La gente trova lavoro più rapidamente di prima; i sostegni alla disoccupazione sono più generosi e più estesi di una volta; gli occupati a tempo indeterminato crescono e sono al valore più alto di sempre. Davvero difficile sostenere che fosse una materia per cui ci fosse necessità di un intervento.

Poi andrebbe anche notato che lo strumento dovrebbe servire come chiamata per le distorsioni gravi, per le situazioni che richiedono una presa di coscienza collettiva di alto profilo non per chiamate identitarie. Se si snatura (ripetutamente) uno strumento costituzionale poi non ci si deve stupire se questo perde efficacia. Né si può gridare all’emergenza democratica se la gente diserta una chiamata identitaria fatta alle spese della nostra costituzione.

Fatto questo preambolo merita osservare alcune cose.

La Schlein ha scommesso forte sui referendum. Era convinta, dopo e per effetto del successo della manifestazione su Gaza, di riempire le urne. Non ha esitato a politicizzare il referendum. E, nei suoi commenti post voto, insiste su questa politicizzazione.

“Per questi referendum hanno votato più elettori di quelli che hanno votato la destra mandando Meloni al governo nel 2022”, la dichiarazione della segretaria del PD.

E Igor Taruffi, fedelissimo della segretaria PD: “L’obiettivo del referendum è raggiungere il 50 per cento e quel risultato non è arrivato. Ma dal punto di vista politico, su 15 milioni di italiani andati alle urne, circa 13 milioni si sono espressi a favore. Quando sei al governo e un numero di cittadini superiori a quelli che ti hanno votato, ti chiede di cambiare una legge, una riflessione la devi fare.”

Ancora, Francesco Boccia, altro leader pasdaran della segreteria Schlein: “Quindici milioni di italiani hanno partecipato dicendo con chiarezza che le politiche del lavoro del governo non vanno. Io penso che sia un grande risultato.”

La sinistra ha quindi avocato a sé tutti i voti espressi nei referendum. Il che è, ovviamente, una forzatura visto che chi ha votato no o scheda bianca non era necessariamente d’accordo con la segretaria del PD e che potrebbe anche esserci qualcuno che ha votato sì per convinzione senza che sia necessariamente un elettore del centrosinistra.

Ma indubbiamente la politicizzazione del voto ha portato a alle urne un mondo orientato a sinistra. E il dato è che i voti presi in valore assoluto dalla sinistra al referendum sono non troppo dissimili dalle proprie possibilità elettorali complessive. Il che è coerente con la narrazione Schlein. Ma anche con una scarsa riflessione del popolo elettorale verso i contenuti dei referendum sul lavoro.

Il voto è stato espresso perlopiù per ragioni identitarie: appartenenza alla CGIL e al PD e agli altri pezzi dei partiti di centrosinistra che, volenti o nolenti, hanno seguito-subito il forcing politico-referendario, non per una reale comprensione dei contenuti. Molti di quelli che hanno votato hanno seguito una generica narrazione sulla negatività del job-act in sé piuttosto che capire cosa davvero dovesse significare il contenuto dei singoli interventi. A corroborare questa affermazione va osservato che i risultati dei quattro referendum sul lavoro sono stati quasi delle fotocopie: 12.25 milioni di sì per il reintegro, 12.04 per le indennità di licenziamento, 12.22 per le tutele dei contratti a termine, 12.01 per la sicurezza del lavoro. Alla fine le domande sono state recepite come sì o no al job-act. Ed essendo un quesito che, per ammissione degli stessi leader di partito di area centrosinistra, ha coinvolto solo i propri elettori, è risultato che la maggioranza dello stesso centrosinistra rinnega il provvedimento che era stato il più significativo di un’epoca di governo. E forse l’unico che avesse mai guardato alle aziende non come a nemici ma come a uno strumento dell’affermazione del benessere. Forse colpisce che, nelle variazioni dello “zero-virgola” che ci sono tra i risultati dei referendum sul lavoro, quello che ha raccolto meno è quello sulla sicurezza; quello che ha raccolto di più è quello sul reintegro. Ma, oggettivamente, sono micro-variazioni utili solo per un po’ di polemica politica.

Ma il dato più forte, inevitabilmente sottolineato da tutti, è che chi ha preso la scheda elettorale, in un caso su quattro, dopo aver votato in blocco di sì agli altri referendum ha votato no al referendum sulla cittadinanza.

In parte questa difformità di voto si spiega con il fatto che questo quesito non è stato visto come parte del pacchetto “politico” e quindi è stato considerato nel merito. In parte rappresenta una differente sensibilità dell’elettorato del centrosinistra su questo tema. Una sensibilità che, evidentemente, non è in linea con quella della segreteria Schlein (ma va ricordato che il M5S e Giuseppe Conte non sono pro immigrazione). In parte, infine, con la debolezza della richiesta: l’abbassamento del periodo di residenza in Italia da 10 a 5 anni non è certo la fonte dei problemi di integrazione degli immigrati e dà la sensazione di una svalutazione del valore della cittadinanza.

Andrea Bicocchi
Andrea Bicocchi
Imprenditore, editore de "Lo Schermo", volontario. Mi piace approfondire le cose e ho un'insana passione per tutto quello che è tecnologia e innovazione. Sono anche convinto che la comunità in cui viviamo abbia bisogno dell'impegno e del lavoro di tutti e di ciascuno. Il mio impegno nel lavoro, nel sociale e ne Lo Schermo, riflettono questa mia visione del mondo.

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