Economia e ripartenza: idee usate da evitare e nuove da considerare

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Premessa: ne usciremo, ma serviranno dei sacrifici. Il PIL, cioè la ricchezza che tutti insieme creiamo e poi viene distribuita, nei primi mesi del 2020 è già sceso del 4,8%. Questo significa centinaia di miliardi in meno di reddito nelle tasche del paese. Lo Stato, la BCE e il bilancio europeo possono aiutarci, ma fino a un certo punto. Lo Stato si può indebitare al posto dei cittadini, la banca centrale può stampare moneta per dare liquidità di respiro a breve termine e l’Europa può assorbire le perdite dei paesi più sofferenti come l’Italia. Questi mezzi hanno però dei limiti ben definiti. Il bilancio italiano segnerà già un aumento del debito fino al 158,9% del PIL che un giorno dovremo pagare noi lavoratori di domani con i soliti tagli a sanità, pensioni, servizi e investimenti. Emettere moneta è un palliativo che nasconde il dolore, ma non guarisce la malattia. L’Europa non può risolvere i problemi dei singoli stati, o almeno non ancora.

Lo scenario offerto dalle previsioni della Commissione Europea pubblicate ieri è preoccupante, va detto chiaramente. I dati sull’Eurozona dicono crescita negativa del 7,7% che arriva al 9,5% del PIL in Italia. Record negativo anche per quanto riguarda la disoccupazione che passerà dall’8,5% al 10,1% nel 2020 contro la media europea che passa dal 7,5% al 9,6%. Ci si aspetta, invece, una crescita sostenuta nel 2021 anche se il nostro Paese farà un po’ di fatica in più rispetto agli altri. Come può la politica economica contrastare l’emorragia di quest’anno e facilitare la ripresa nel prossimo?

Fortunatamente abbiamo altri strumenti che fini economisti hanno studiato e provo qui a sintetizzare. Innanzitutto bisogna evitare di adoperare strumenti vecchi adatti ad economie che non esistono più. Scongiurare quindi patrimoniali e statalizzazioni. La ricchezza privata, vero valore forte della nostra economia, andrà stimolata e non minacciata. Sarà quindi necessario facilitare al massimo l’investimento di chi ha qualcosa da spendere nelle imprese italiane: creare un mercato di obbligazioni e partecipazioni con privilegi fiscali che si apra anche alle piccole e medie imprese per garantire vantaggi sia all’investitore che all’imprenditore. Titoli emessi per settori, filiere o aree territoriali.

L’altro spauracchio da evitare è la statalizzazione. Lo stato imprenditore lo abbiamo già provato, ha funzionato poco e male soffocato da burocrazia, corruzione e scarso senso degli affari. L’iniziativa economica deve essere privata e libera di scegliere le soluzioni migliori senza la depressione di responsabilità ed efficienza data dal pubblico: quando il profitto è di tutti le perdite ci sembrano di nessuno. Eppure lo Stato deve aiutare a far ripartire, specialmente i più deboli. 

La partecipazione pubblica nelle aziende medio grandi in sofferenza dovrà avere percentuali di minoranza, che diano solidità e garanzia, lasciando però il controllo ai privati. Assicurare la gestione prudente dei fondi pubblici ma senza intaccare lo spirito imprenditoriale. Partecipazioni temporanee e vincolate che lascino di nuovo spazio al mercato una volta usciti dalla sofferenza.

Per le imprese più piccole è giusto che il Governo proponga anche aiuti a fondo perduto a breve termine. Tuttavia, commercianti, artigiani e piccoli imprenditori non possono e non vogliono vivere di sussidi. Allora sarà importante agevolare il più possibile il lavoro con misure fiscali come il pagamento dei crediti di imposta (crediti che le imprese hanno con lo Stato sulle tasse) e concessioni che possano far ripartire velocemente quando si potrà, a partire dallo snellimento della burocrazia e il rinvio dei tributi. Infine, la pubblica amministrazione dovrebbe provvedere al pagamento dei debiti verso le imprese che attualmente vale 50 miliardi, non di sussidi ma di sacrosanti pagamenti dovuti.

Leonardo Martini
Leonardo Martini
Studente di economia presso l'Università di Pisa. Da sempre appassionato di attualità con particolare interesse per le dinamiche politco-economiche. Sulle orme dei grandi giornalisti del settore cerco di esprimere nel modo più semplice e comprensibile contenuti specifici e complessi.

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