Storie di preti e di guerra
Una storia minore, ricordata nel 1990 dal Comune di Lucca e dalle Associazioni Combattentistiche e Patriottiche, poi …l’oblio della Memoria. Quest’anno in occasione degli 80 anni della Liberazione una mostra dell’ISREC Palazzo Ducale a ricordo dei sacerdoti in tempo di guerra, ha visto un pannello ricordo dedicato a lui.
Per la gentile concessione dell’amico Gabriele BRUNINI allego alcune foto.
Ringrazio di cuore la dott.ssa Angela Amadei della Biblioteca di Bagni di Lucca per la sua gentilezza e disponibilità alla ricerca storica.
Don Udone DIODATI, da Marlia.

Nato “A ‘occhi”, sulla Fraga; la corte era chiamata così perché era posizionata subito in fondo al grande muro perimetrale sud della Villa Reale, lungo il Torrente Fraga.
La corte oltre al lungo edificio esposto a sud disponeva di alcuni piccoli edifici murati, chiamati “tirafondi”, costituiti da una piccola stalla per uno o due cavalli, con sopra una cameretta per il cocchiere.
A quel tempo, inizio del diciannovesimo secolo, era uso che i nobili locali venissero a rendere visita ai Principi Baciocchi, Elisa e consorte, in vacanza alla Villa Reale; per far questo si spostavano in carrozza, e come regola sanitaria di buona educazione, per evitare che i cavalli meno pregiati potessero attaccare delle malattie ai cavalli più pregiati dei Baciocchi, si fermavano fuori della Villa e lasciavano carrozza, cavalli e cocchieri a pensione in questi “tirafondi”. Appunto “a ‘occhi”, da “cocchieri”.
Poi terminata la visita che durava giorni, i signori visitatori mandavano a chiamare la carrozza con il cocchiere che soggiornava fuori la Villa, e andavano via. In tal modo non c’era compromissione nè vicinanza tra gli animali e la faccenda funzionava.
Don Udone era nato lì. Il 14 aprile 1898.
Tre sorelle e due fratelli, i maschi chiamati tutti con nomi inizianti con la lettera “U”; Ulderigo, Urbino e Udone. Poi appena giovanotto, via in Seminario. A quel tempo era giocoforza che una famiglia posizionasse uno dei numerosi figli sotto il clero. O prete o suora.
La Grande Guerra chiama, per cui, viene chiamato in servizio e, siccome aveva studiato, nominato Sottotenente di fanteria; poi la ripresa degli studi sacerdotali e l’ordinazione il 19 settembre 1922 …al Beatissimo padre il Sacerdote “novello” Udone Diodati umilmente prostratosi ai piedi della Santità Vostra domanda nel giorno della sua Prima Messa, la Apostolica Benedizione.

Cappellano a Massarosa, dove cominciò ad impegnarsi nella Azione Cattolica, soprattutto contro i fascisti che cercavano di imporre ripetutamente la chiusura delle sedi.. E il 27 dicembre 1927 è ordinato Pievano a Diecimo. Alla fine del 1943 Don Udone, nel dubbio, antifascista convinto, così come sarà un forte anticomunista, mette in salvo una famiglia di ebrei; grazie alla memoria dell’amico Roberto Pizzi in Documenti e Studi ISREC nr. 39… ricostruiamo brevemente questa silenziosa ma importante vicenda che riguarda la famiglia ebrea dei Cabib di Quiesa. Della quale non ha fatto mai più parola.
Tramite Giorgio Nissim, un abile ebreo che aiuta le famiglie a scampare dai rastrellamenti, il 12 dicembre del ’43 i due maschi Cabib lasciano il Convento dei Cappuccini di Maggiano dove si sono rifugiati per andare verso la Garfagnana, zona di retrovie più tranquilla…
A piedi raggiungono la Chiesa di San Marco, dove li accoglie Don Giuseppe Casali, che li indirizza alla stazione di San Pietro a Vico e da lì, in treno, arrivano a Diecimo. Sono muniti dal Nissim di un biglietto particolare senza firma per i vari sacerdoti. Un sistema di riconoscimento.
Don Udone Diodati li fa sistemare in una casa sicura con una porta di uscita sul retro. Rifocillati e riposati, il mattino successivo Don Udone li farà accompagnare dal giovane maestro Fernando Pierini al treno per Castelnuovo dove si mescolano tra gli operai della S.M.I. e quindi a piedi raggiungono Chiozza, dove, sempre un sacerdote locale, Don Togneri, li farà poi ricongiungere anche con la moglie, rifugiata provvisoriamente dalle suore Zitine di Matraia.
Ma la forte attività sociale e protettiva di Don Udone non si ferma qui. Impedisce con vari statagemmi, imponendosi anche di persona (…!), la requisizione delle campane, che non farà mai suonare per le feste fasciste. Naturalmente non è che fosse proprio simpatico a questi ultimi. Ma i vari segretari del fascio locali, suoi parrocchiani, lo proteggono. E così passa la faccenda.

Un articolo della Nazione del 1990, a firma dell’amico Paolo Pacini, ha tracciato un suo ricordo, che riprendo volentieri per ricordare, dopo 35 anni.
Luglio1944, mese di attesa febbrile per Lucca… gli Alleati stanno avanzando e hanno liberato Livorno; si approssimano all’Arno. Don Udone Diodati è ancora parroco di Diecimo, una piccola frazione di Borgo a Bozzano, a sud, lungo la strada Provinciale nr. 2 “Lodovica”. Diecimo è chiamato così come molti paesi lungo le strade partenti dai capoluoghi, con il toponimo che indica la distanza in miglia dalla città di Lucca; Diecimo a 10 miglia da Lucca, così come Sesto a sei miglia, o Valdottavo…ecc.
16 luglio 1944, tutti i parroci della zona sono convocati in comune a Pescaglia dove ricevono l’ordine di sfollamento entro cinque giorni, perchè la zona è di esclusivo interesse militare.
Per i trecento parrocchiani di Don Udone Diodati la destinazione finale è Sassuolo, in Emilia oltre l’appennino. Un viaggio infernale, massacrante, da farsi a piedi, con pochi bagagli, un viaggio nel niente, nella disperazione, nell’ignoto. Altri parroci ricevono destinazioni e itinerari diversi per evitare sovraffollamenti; c’è un piano di sfollamento ben preciso. Poi non verrà attuato completamente, per fortuna…

Don Udone torna a Diecimo, dove raduna la sua comunità, e spiega a loro l’ordine ricevuto; la disperazione e lo sgomento prendono i suoi parrocchiani, e Don Udone agisce a modo suo. Intanto fa sparpagliare provvisoriamente i suoi parrocchiani in case di parenti e amici nelle frazioni vicine, a Vetriano, Villa Poggio, Colognora, e a Piegaio.
Poi nella notte tra il 23 e il 24 settembre quando ormai gli Alleati sono prossimi ad arrivare, fa convergere i suoi trecento parrocchiani a Piegaio, e messosi alla guida della lunga colonna, con in tasca la sua pistola d’ordinanza “Glisenti”, invece di andare a Nord, punta decisamente a Sud, forzando le linee ormai incerte; tra campi e sentieri il 24 mattina raggiunge San Martino in Freddana dove incontra le prime pattuglie alleate. E mette così in salvo i suoi parrocchiani, indirizzandoli a Camaiore. Non è roba da poco per un sacerdote.
Lui invece va a Lucca a piedi per mettere al corrente l’Arcivescovo Mons. Torrini della loro salvezza e celebra con lui la S.S. Messa delle 13!
Continua il suo sacerdozio, decisamente impegnato nella questione “morale”, senza perdere quella risolutezza contadina che ha caratterizzato la sua vita. Un fortissimo impegno sociale, orientato politicamente in quegli anni… modello “Don Camillo” di Guareschi.
Non è che fosse uno che le mandava a dire.
Si racconta che nel dopoguerra durante un viaggio in “corriera” verso Lucca, si sedette vicino a lui una giovane ragazza, forse politicamente schierata dall’altra parte, che in maniera assai dispregiativa, alla vista del sacerdote in abito talare, pronunciò alcune frasi pesanti al suo indirizzo. Don Udone si voltò e tranquillamente si rivolse a lei in maniera che ascoltassero praticamente tutti, anche quelli seduti in fondo “Non preoccuparti bimba, puttane e preti son sempre andati d’accordo!”
Muta lì e scena finita.

Terminò la sua esistenza terrena il 15 luglio 1968, quando al ristorante “Da Pacetto” a San Pellegrino in Alpe vide seduto al tavolo nella sala, una persona da lui conosciuta a pranzo in compagnia di una giovane e avvenente signorina non esattamente sua consorte.
Don Udone non faceva sconti sulla morale, e affrontato in maniera piuttosto energica il “galante“, nella foga del feroce rimprovero che rivolgeva allo scarognato amante e alla sua sprovveduta “accompagnatrice”, venne colpito da un infarto fulminante per la grande verve vocatoria. Succede.
Il rito funebre venne officiato a Diecimo dal Vescovo Vicario Mons. Bartoletti e trenta sacerdoti, alla presenza del novantenne Venerando Vescovo Mons. Torrini, il Vescovo della guerra di Lucca. Fu sepolto a Marla, ma i suoi paesani di Diecimo, tanto era il forte legame affettivo con Don Udone, chiesero, dopo un pò di tempo, di poterlo traslare nel cimitero di Diecimo dove tutt’ora riposa.
Per lui, il ricordo più bello, è una lettera che un suo paesano, Nardo NARDI, gli scrisse nel 1968, al momento del suo commiato per anzianità dal servizio pastorale di Pievano… “E così, te ne vai… (…) Tu non c’eri, pievano, in certe riunioni paesane dove si trattava di fare qualcosa per te; per una tua festa, per esempio. Eravamo, allora, fra noi; rossi, bianchi, neri, menefreghisti e no, magiapreti e baciapile. Lo sai, pievano? Saltava fuori un affetto per te che commuoveva. Più ti erano lontani, più ti volevano bene. Più ci maltrattavi più ti eravamo attaccati. (…) Tu sei stato per me, per tutti noi, l’uomo di Dio. Sempre…”
Molto bello.
Io mi sono commosso.assai,bello.Saluti Giampiero