Coronavirus, tutto questo troppo tempo: saremo gli stessi alla fine della pandemia?

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Tutti, fino a qualche mese fa, eravamo allegri, pieni di vita, pieni di noia, pieni di tutto quel poco tempo a disposizione che ci portava a continue e inutili lamentele. Adesso abbiamo intere ore e intere giornate a nostra completa disposizione e tutto quel troppo tempo sembra soffocarci.
Chi se lo aspettava? Chi avrebbe mai pensato di vivere ai tempi di una pandemia? Un brutto sogno, un incubo in piena notte che è diventato realtà.
Da un giorno all’altro, senza preavviso, senza troppe spiegazioni ci siamo trovati da soli con noi stessi ad affrontare un qualcosa di sconosciuto, un nemico invisibile ma troppo presente nelle nostre vite.

Tutto è fermo, tutto è immobile nel silenzio della paura e dell’incertezza. Guardiamo fuori dalle nostre finestre, chi da una villa in campagna per sentire il profumo dei fiori, chi da un piccolo balcone di un appartamento al sesto piano dove quelle mura sembrano più strette del solito.

La primavera ha bussato alle nostre porte ma noi non siamo potuti uscire a salutarla, non ci sono stati pranzi, gite nei boschi, picnic sui prati, passeggiate sulla spiaggia. Non c’è stato niente di quello che non avevamo il tempo di fare ma che si è rivelato, oggi più di prima, indispensabile.

Quando ci viene tolta la libertà tutti siamo uguali, tutti siamo in gabbia, tutti siamo prigionieri di noi stessi.
Così il coronavirus, quello che sembrava essere un banale argomento di conversazione a tavola su quel posto laggiù, lontano in Cina, che nemmeno riusciamo bene a pronunciare, è diventato il nostro peggior nemico. Ha scelto noi, ha scelto i nostri cari, ha scelto di entrare rumorosamente a far parte delle nostre vite e ci ha costretto ad eliminare tutto quello che prima ci sembrava scontato ma che in realtà era vitale.

Sono ormai più di 55 giorni che niente si muove se non il vento tra gli alberi, sono ormai più di 55 giorni che le madri non sanno più che giochi inventarsi con i propri figli, sono ormai più di 55 giorni che medici e infermieri ogni mattina entrano dentro gli ospedali armati di dolcezza e gentilezza e lottano senza sosta e senza paura contro qualcosa che nemmeno loro conoscono bene.
Sono ormai 55 giorni che tutti abbiamo cambiato la nostra vita, modellandola a questa nuova realtà: c’è chi ha deciso di rimettersi a studiare, chi questa pausa dal lavoro se la gode con la propria famiglia, chi è lontano dalla propria famiglia da troppo tempo, chi una famiglia l’ha persa, da un giorno all’altro, senza capire davvero cosa stesse succedendo. Penso che questo coronavirus ci stia tristemente donando la consapevolezza di quanto è effimero tutto quello che abbiamo, di quanto dobbiamo essere pronti a tutto, di quanto la nostra esistenza è davvero la camminata incerta di un equilibrista su un filo. Ma la cosa più crudele che questa situazione ci sta insegnando è che, nel bene e nel male, noi ci adattiamo a quello che viviamo. Siamo fatti per adattarci, siamo fatti per fare nostre anche le situazioni più scomode, siamo fatti per plasmare la nostra vita alle realtà e agli accadimenti nuovi che incontriamo nel nostro cammino.

Ci è stata imposta una nuova quotidianità alla quale non eravamo preparati, ci è stata stravolta la vita senza permesso, c’è chi affoga i pensieri in improbabili e faticosissimi allenamenti per tenere la mente ferma, c’è chi passa giornate intere sul divano a chiedersi un perché a tutto questo, c’è chi il lavoro che aveva lo ha perso così, c’è chi se ne frega ma nonostante tutto il mondo va avanti. Nonostante sia tutto sfumato e incerto i bambini continuano a nascere, figli di giorni inquieti e scomodi, le persone continuano a morire, nel silenzio e dolore dei propri cari, le stagioni passano, i fiori sbocciano e i giorni corrono veloci, più veloci di prima.

La data della fine di questo imprevisto mondiale sembra essere più vicina, almeno così vogliamo credere, ogni giorno è un giorno in meno, ogni giorno è un salto per riconquistare la nostra libertà.

Ci sono stati momenti di ottimismo e di allegria con canti sui balconi che ci hanno fatto sentire tutti tremendamente appartenenti a qualcosa, noi italiani siamo così: un po’ disordinati, un po’caotici, alle volte irresponsabili ma con un cuore grande e pieno di amore. Ci sono state le bandiere appese ai cancelli delle abitazioni, quei “andrà tutto bene” che ci hanno strappato un sorriso nelle lacrime, quegli arcobaleni che ancora una volta ci hanno dato quel senso di appartenenza che questo coronavirus ha provato a toglierci.

Tutti siamo insieme ma tutti siamo inevitabilmente soli: c’è chi dice che a noi è stato semplicemente chiesto di stare in casa sul nostro divano con le persone a noi care mentre i nostri nonni venivano spediti al fronte e ha ragione, ma per quanto il confort di un’abitazione possa essere estremamente importante e accogliente, l’uomo è un animale sociale che si nutre di relazioni, contatti, fame di futuro e questo blocco sta inevitabilmente mettendo a dura prova ognuno di noi, sotto tutti i punti di vista.

Guardo mia figlia che prima di addormentarsi mi chiede il perché non andiamo più alle giostre o sulla spiaggia, lei vuole andarci, lei non capisce cosa sta vivendo, è ancora troppo piccola. Ogni sera mi chiede di nuovo se il giorno dopo andremo, io le dico di sì, lei ci crede e si addormenta felice. La sua ingenuità e tenerezza mi rendono ottimista nei confronti dell’umanità, lei accetta quello che questo mondo le sta regalando, seppur ingiusto e difficile, tutti dovremmo e vorremmo avere l’inconsapevolezza dei bambini, la semplice e dura verità che hanno nei loro occhi.
Questi figli, nati e cresciuti in un momento storico tanto inimmaginabile quanto complesso, ci regalano nuovi occhi per guardare questo nuovo mondo. Mia figlia non sa quando potrà tornare alle giostre ma ogni sera sa che ci sarà un giorno in cui tornerà libera a correre in un prato, a lei basta questo, a lei basta sapere che le cose succederanno di nuovo, non importa quando, come e perché, ma succederanno.

Torneranno i tramonti sulla spiaggia, i concerti, le cene romantiche, i baci, i viaggi: tornerà tutto quello a cui siamo abituati, forse non domani e nemmeno dopodomani ma tornerà, forse tornerà diverso ma a noi sembrerà uguale perché, proprio come i bambini, ci saremo abituati a quello che di straordinario ci sta accadendo ma che sta diventando, giorno dopo giorno, una nuova normalità e tutto quello che sarà, ci basterà.

Dimenticheremo, purtroppo e per fortuna, dimenticheremo: un giorno racconteremo questo tempo senza dettagli, tutto questo troppo tempo resterà appannato come lo è anche adesso, tutto resterà fermo e bloccato come lo è il mondo intero. Dimenticheremo la noia e forse non la rimpiangeremo, dimenticheremo la paura e ne avremo sempre di nuove, dimenticheremo il dolore perché la vita va avanti, sempre e comunque. Se c’è una cosa che ho imparato è che, sempre e incessantemente, le cose succedono, la vita che accade è impetuosa e noi, uomini, donne, bambini, fragili, forti, deboli e coraggiosi saltiamo costantemente su questa barca, che adesso è la stessa per tutti, tra onde alte come i nostri sogni e, anche se oggi non riusciamo a vedere la riva, quella terra accogliente davanti a noi c’è e sempre ci sarà.

Torneremo, presto o tardi ma torneremo, uguali o diversi ma torneremo, senza fretta, con timore ma sempre in corsa per un imprevedibile futuro.

Bianca Leonardi
Bianca Leonardi
Classe 1992, Lucca. Una laurea in giornalismo e tanta voglia di dar voce a chi troppo spesso resta in silenzio. Lavoro da anni nella comunicazione e nell'organizzazione di eventi, saltando tra musica, teatro e intrattenimento. Perché "Lo Schermo"? Perché siamo giovani, curiosi e affamati di futuro.

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