Che botta le amministrative. Ma la lezione dovrebbero impararla entrambe le parti.

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C’è poco da girarci intorno: le amministrative sono state una botta fortissima per il centrodestra. Non tanto per il numero di amministrazioni in gioco (delle 32 amministrazioni comunali sopra i 15’000 abitanti e assegnate al primo turno, il centrosinistra ne conquista 9 le liste civiche 6 e solo 4 il centrodestra) e neppure solo per il fatto di aver perso tutti i capoluoghi al voto (con particolare riferimento a Genova che era – seppure da poco – di centrodestra). La vera batosta sono i numeri di questa sconfitta.

C’è modo e modo di perdere: se si perde 49% a 50,1% ci si mangia le mani ma l’onore è salvo. Se invece, come è successo a Genova, si perde con quasi 10 punti di distacco (58% a 25%) è un’altra faccenda. Se poi, come a Ravenna, si è doppiati, allora le cose sono imbarazzanti.

A dire la verità questi numeri vanno un po’ anche interpretati.

Ravenna è una città abbastanza ostica per il centrodestra: città dell’Emilia-Romagna, regione tra le più orientate di Italia verso il centrosinistra, è andata al voto perché il sindaco uscente è andato a fare il presidente di regione. Quindi è ancora più che presente e capace di orientare il voto. E l’amministrazione uscente ha potuto costruire il passaggio in continuità.

È pur vero che il centrosinistra era unito (ma non al completo del campo larghissimo: la formazione era quella PD-M5S-AVS e minori) mentre il centrodestra era diviso con la lega che è andata per conto proprio. E che, la scorsa volta, era andata pure un poco peggio: era finita 59 e spiccioli a 22. Ma era il 2021 e la Meloni non era ancora presidente del consiglio. E tre anni di governo avrebbero dovuto cambiare un po’ le cose.

A Genova c’è stato tutto quello che c’è stato. E sono cose che lasciano il segno. Un intervento a gamba tesa della magistratura che ha fatto saltare la regione con accuse pesantissime di corruzione per poi patteggiare meno di un anno di lavori socialmente utili lascia almeno perplessi: o il fatto non era davvero adeguatamente provato o la pena pare ridicola. Il che equivarrebbe a dire che l’intervento della magistratura, che fa saltare una pubblica amministrazione interferendo pesantemente con la volontà popolare, sia stato almeno inopportuno. Cionondimeno sono cose che lasciano strascichi pesanti e, ragionevolmente, portano a perdite di fiducia da parte di una quota di cittadinanza. Una storia, quella dell’interventismo politico della magistratura, che in Italia conosciamo bene. Purtroppo.

A Taranto le cose si devono ancora vedere al secondo turno. Ma il cielo appare molto scuro per il centrodestra: la distanza, anche qui, è di più di 10 punti (26% Lega e civiche 37%CSX e la lista di CDX fuori dal ballottaggio). È vero che il centrodestra è arrivato disunito. Ma diviso lo è anche il centrosinistra con il candidato M5S che ha raccolto il 10%. Inoltre l’amministrazione arrivava da un suicidio proprio con il sindaco uscente in quota PD: la crisi è stata interna con le dimissioni della maggioranza dei consiglieri comunali che ha fatto saltare il banco. Uno di quegli atti che difficilmente lasciano intatte le maggioranze.

A Matera lo stacco è solo apparentemente minore: 6 punti (43% CSX 37% CDX) ma anche qui il centrosinistra è andato diviso e il candidato M5S ha raccolto più di 8 punti percentuali. Il che fa immaginare una prognosi almeno sfavorevole per il centrodestra.

Ma la vera questione sono le cause di questa sconfitta.

Non è un cambio di “vento” complessivo: il governo Meloni continua ad avere la fiducia degli italiani e non si vedono segnali di cambiamento. Inoltre il governo sta godendo di un discreto successo internazionale (e particolarmente europeo), di un’economia che, pur non volando, comunque tiene e di una situazione di equilibrio interno alle forze di maggioranza che un po’ battibeccano ma non creano veri scossoni agli equilibri interni.

Il vero problema è la classe dirigente. Ed è un problema noto e quindi ancora più grave visto che nessuno sembra volerlo affrontare.

Il centrodestra è paurosamente privo di una seconda linea. Dietro l’inner circle della Meloni non c’è semplicemente nessuno. Nessun corpo intermedio. Nessuna presenza organizzata. Nessun presidio territoriale. Per Lega e Forza Italia il discorso è simile. Se anche avevano un po’ di personale politico, questo si va rapidamente assottigliando.

Oggi è pressoché impossibile parlare con qualcuno di una qualche necessità. Di quelle necessità che i parlamentari dovrebbero rappresentare in parlamento (e scriviamo «parlamentari» e «parlamento» rigorosamente in minuscolo perché non fanno ciò per cui sono eletti). Oggi si diviene parlamentari non per rappresentare una porzione di cittadinanza ma per rappresentare una fazione all’interno di un partito. Una parte di una parte. E pure guardando solo verso l’alto (il leader) e mai verso il popolo italiano.

Questa mancanza di classe politica poi si vede soprattutto nelle elezioni territoriali dove i candidati sono scelti dal nulla: non hanno retroterra e non hanno consenso perché non c’è un percorso dove poter crescere e, alle elezioni, non intercettano nessun consenso reale. Al massimo vince l’olimpionica e fotogenica neosindaca di Genova che lo fa perché sa stare davanti ad una telecamera. Forse i cittadini di quella città saranno fortunati e si dimostrerà un’amministratrice capace ma, realmente, non c’è modo di saperlo oggi perché è alla sua prima esperienza politica vera.

La scelta di candidati senza esperienza politica per guidare una città, oltretutto, capoluogo di regione è molto significativo (e non è certo solo una moda del centrosinistra).

Evidentemente si ritiene che l’amministrazione di una città sia una cosa che non richiede esperienza. Che sia una cosa per cui non c’è bisogno di sapere molto.

Evidentemente si ritiene che il sindaco sia un ruolo più che altro onorifico e che non deve essere preparato su quali sono i problemi, gli strumenti che l’amministrazione ha a disposizione e le forze che vi si muovono intorno e dentro.

Oppure si è disperati e non si ha nessun altro da metterci se non un soggetto che appare dal nulla. Qualcuno che abbia una sua propria forza comunicativa e possa garantire alle mosche cocchiere di Roma di poter mettere una tacca in più sulla propria spada. Indifferenti alle sorti delle cittadinanze e delle amministrazioni locali.

Poi, in questo bruttissimo andazzo, il centrosinistra vince perché è più capace di individuare questi occasionali campioni. Perché sa ancora essere un po’ più aperto e permeabile del centrodestra. Perché si sente meno assediato dal mondo esterno e riesce ancora ad essere un po’ in contatto con i corpi sociali (la Salis viene dallo sport che è un mondo prossimo al terzo settore con cui il centrosinistra ancora intrattiene dei legami, sebbene si vadano indebolendo, mentre il centrodestra non se ne interessa affatto).

Il centrodestra invece è più isolato, più bloccato. Dietro un governo che pure fa benone, non c’è nulla. E questo nulla si vede paurosamente nelle amministrative. E quello che è peggio è che il centrosinistra ne sta seguendo l’esempio.

Se non cambierà nulla, la politica diventerà sempre più elitaria. Sempre più lontana dalla cittadinanza. Sempre più simile ad una oligarchia.

Andrea Bicocchi
Andrea Bicocchi
Imprenditore, editore de "Lo Schermo", volontario. Mi piace approfondire le cose e ho un'insana passione per tutto quello che è tecnologia e innovazione. Sono anche convinto che la comunità in cui viviamo abbia bisogno dell'impegno e del lavoro di tutti e di ciascuno. Il mio impegno nel lavoro, nel sociale e ne Lo Schermo, riflettono questa mia visione del mondo.

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