Bar e ristoranti chiusi, TNI: “Il 22 febbraio scenderemo in piazza Montecitorio”, e organizza autobus da tutte le province

-

La Toscana torna arancione. Da ieri (14 febbraio), a causa di un aumento dell’indice Rt e dei ricoveri negli ospedali si è deciso per il cambio colore. Stop agli spostamenti fra Comuni e chiusure, di nuovo, di bar e ristoranti costretti a disdire le prenotazioni di un’altra delle giornate più redditizie dell’anno: San Valentino.

Fornitori da pagare, personale che solo da pochi giorni era rientrato a lavoro, dopo cinque settimane di zona gialla, un’ulteriore perdita di fatturato con il rischio per molti, purtroppo, di chiudere definitivamente la propria attività. Da aprile a settembre 2020, solo a Firenze, hanno cessato l’attività 28 ristoranti.

Ma i ristoratori questa volta non ci stanno e si dicono pronti, il 22 febbraio, a scendere in piazza Montecitorio per chiedere al nuovo premier, Mario Draghi, l’erogazione degli indennizzi necessari a recuperare il mancato incasso dall’inizio dell’emergenza e il superamento del sistema semaforico. L’annuncio arriva dalla TNI (Tutela nazionale imprese) Ristoratori Toscana, che rappresenta più di 40mila attività in Italia. Una richiesta d’aiuto nella speranza di poter risollevare il settore, come dichiarato dal portavoce dell’associazione, Pasquale Naccari, che già si era rivolto alle istituzioni per chiedere l’apertura serale dei ristoranti in zona gialla, sempre rispettando le norme di sicurezza e l’evidenza scientifica, qualora ci fosse, che essi fossero i luoghi primi di contagio.

Secondo un’indagine dell’associazione, si è registrato un calo d’incassi, nonostante le regioni in zona gialla, che sfiora l’80 per cento di perdite: “Non c’è stata volontà di portare avanti il decreto Ristori Quinquies con tutte le misure correlate e gli aiuti necessari – dichiara Naccari -. Basti pensare che ad oggi non c’è nessun sostegno per il pagamento del canone d’affitto dei mesi di gennaio e febbraio e l’accesso al credito è sempre più difficoltoso. Se vogliono far fallire le piccole e medie imprese e distruggere il settore della somministrazione, devono dircelo apertamente. Noi non ci arrenderemo: i locali devono aprire anche a cena”.

Com’è nata l’idea di scendere in piazza a Roma e chi parteciperà alla manifestazione?

“L’economia è in ginocchio e le nuove restrizioni a cui stiamo andando incontro sono l’ennesima beffa: le nostre attività perdono già il 70 per cento degli incassi in zona gialla. Rimarremo a Roma a oltranza, portando le tende se necessario e non ci muoveremo finché non avremo garanzie. Stiamo organizzando autobus che partano da tutte le province della Toscana e rivolgiamo un appello a chef stellati e non, cuochi, ristoratori, commercianti, dipendenti, allevatori, fornitori, grossisti, lavoratori in cassa integrazione, perché scendano in piazza con noi, a difendere il proprio lavoro. I nostri locali sono luoghi sicuri e se restano aperti a pranzo, come già detto, allora possono offrire servizio anche a cena. Lo abbiamo già ribadito nelle precedenti lettere inviate ai misteri di competenza e alla presidenza del consiglio. La nostra non è una polemica, ma una richiesta d’aiuto perché i ristori non stanno arrivando e quelli avuti non bastano. Le scadenze, fra cui quella dell’Inps, si apprestano ad arrivare e quindi è necessaria un’azione. E’ assurdo che in tutto questo tempo non siano ancora state trovate soluzioni per permettere ai locali di restare aperti, ma solo scorciatoie. Un’indagine pubblicata recentemente da un gruppo di scienziati in Lombardia evidenzia lo scarso impatto dei pubblici esercizi nella creazione di focolai: tre quarti avvengono in casa, il resto a lavoro o in altri luoghi; solo lo 0,8 per cento nei locali. Quindi non ha senso tenerci chiusi, soprattutto considerando che sia noi sia i nostri fornitori siamo sottoposti a protocolli che sono fra i più rigidi d’Europa. Le istituzioni, se davvero vogliono salvare migliaia di posti di lavoro devono aiutarci e soprattutto smettere con queste polemiche allarmistiche”.

Mentre la pandemia non cenna ad arrestarsi dunque, sono sempre di più i lavoratori che rischiano di perdere le proprie attività e per cui il passaggio in arancione significa sconforto e totale incertezza visti anche i ritardi nelle comunicazioni delle decisioni. Non ci resta che attendere le decisioni del nuovo governo.

Share this article

Recent posts

Popular categories

Recent comments