La Pasqua nell’anno giubilare, l’improvvisa morte di Papa Francesco, nel contesto di un mondo già in subbuglio da tempo – tutto racchiuso in pochi giorni, una settimana, con i cosiddetti “grandi” della terra convenuti a Roma per la cerimonia funebre (augurandoci che sia stata colta davvero l’occasione per accelerare lo spirito di pace per la quale il Papa si è costantemente impegnato). È stata anche la Pasqua in cui si sono celebrati i riti di varie confessioni: coincidevano infatti (come ha scritto il professor Franco Cardini in un articolo su La Nazione) la Pasqua cattolica e riformista (la Resurrezione del Cristo e la vittoria sulla morte), quella ortodossa e orientale, e si è conclusa la Pasqua ebraica (la liberazione dall’Egitto) iniziata otto giorni prima. Ma una Pasqua che le accomunava, sempre più dominata dal consumo: “la modernità, precisa Cardini, ha semplificato tutto, implicitamente negando ogni valore alle feste religiose”.
Cade a proposito quanto ha ricordato il direttore del Foglio (titolo “La missione dell’Europa è la stessa della Chiesa…) a proposito di “un’espressione” cara a Benedetto XVI, “minoranza creativa”: prima o poi la Chiesa rinascerà ma dovrà rinascere da una posizione più povera”. (…) Le minoranze creative determineranno il futuro e la Chiesa, che ha un’eredità di valori che non sono cose del passato ma una realtà viva e attuale, deve essere presente nel dibattito pubblico per affermare un concetto vero di libertà e di pace”. Sempre sul Foglio il direttore Cerasa ha citato il filosofo, nostro concittadino, Marcello Pera e la sua tesi: “quando la povertà e la giustizia sociale diventano il cuore del cristianesimo, quando la cronaca diventa un simbolo fra altri, e il Vangelo una piattaforma etica più che un evento salvifico, allora è lecito chiedersi se il cristianesimo sia ancora una religione della salvezza, o piuttosto una religione della giustizia sociale. E dunque è lecito interrogarsi se cerchi ancora la beatitudo – l’edificazione della città di Dio – o miri alla felicitas, cioè alla costruzione della città dell’uomo. È chiaro, insomma, che la contemporaneità e la “battaglia” – persa – sulla secolarizzazione incideranno nella scelta del successore di Francesco, e quindi la previsione è che sarà un conclave assai lungo (però la stampa quasi mai ci ha azzeccato). A conclusione di questa mini rassegna cartacea lo storico delle religioni Daniele Menozzi, a lungo professore ordinario di Storia contemporanea presso la Scuola Normale Superiore di Pisa (dove ora è professore emerito ed è stato anche preside della classe di Lettere e Filosofia) in un suo articolo ha centrato il punto: Bergoglio ha aperto la strada e il successore dovrà affrontare i problemi che sono rimasti tuttora aperti: tre esempi. L’atteggiamento sulla guerra – per rispondere al male con il bene, spezzando il tal modo la catena dell’ingiustizia, occorre trovare nuove vie per sconfiggerla, senza dover ricorrere alla forza ingannevole delle armi. Inoltre, i valori non negoziabili non sono accantonati ma sono subordinati alla Scrittura: questa, infatti, costituisce il fondamento di una fede cristiana di cui la misericordia verso tutti è l’aspetto essenziale e costitutivo. Infine, la questione politica e il controllo popolare sulle scelte dei governanti: il ruolo dei cattolici è alimentare la speranza di un futuro migliore con proposte convergenti su un condiviso disegno di bene comune di cui sono cardini giustizia sociale e ambiente (in pratica, stimolare una rivitalizzazione della democrazia in un momento in cui appare drammaticamente in crisi).
Lettore ’46