In questi giorni è tornata una definizione tanto ara alla Russia di Putin: quella di “minaccia esistenziale”. La ha detta il portavoce dello stato maggiore israeliano ad una conferenza stampa.
Quando questa definizione l’ha detta la Russia di Putin, il riferimento era alla NATO e alla richiesta, mai accolta, dell’Ucraina di aderirvi per poter avere la garanzia sulla propria integrità territoriale, gaaranzia che il famoso art. 5 dà ai membri dell’alleanza. E la preoccupazione dell’Ucraina era fondata sui fatti del 2014 in cui la Russia si era presa con un colpo di mano tutta la Crimea. Quindi la preoccupazione dell’Ucraina non era affatto campata in aria. I fatti successivi, che ancora proseguono con la guerra in corso, avrebbero dimostrato quanto quelle preoccupazioni non fossero giustificabili.
Che non fossero campate in aria lo sapevano tutti, soprattutto membri della NATO. Infatti quella adesione non fu mai n’è promessa n’è concessa. In ogni caso, nessuno dei membri dell’alleanza si era mai sognato di invadere o attaccare militarmente la Russia, neppure dopo il già citato colpo di mano del 2014. Mai nessuno dei paesi occidentali ha ipotizzato o dichiarato intenzione di toccare il territorio della Russia.
La minaccia esistenziale che il leader russo denunciò a giustificazione della sua di invasione era quindi equivalente alla pretesa della favola del “lupo e l’agnello” in cui il lupo uccise l’agnello che, a suo dire, gli sporcava l’acqua che beveva: nella sua favola Fedro si premura di specificare che il lupo stava a monte e l’agnello a valle di un torrente.
Se ora guardiamo ai fatti dello scacchiere mediorientale, prima c’è stata la guerra a Gaza, poi la guerra con Hezbollah libanese, quindi il colpo di mano in Siria e ora la guerra con l’Iran. È un percorso unitario, all’interno del quale Israele ha messo in campouna sua startegia con efficacia e pianificazione.
Mi sono lungamente interrogato su che posizione prendere riguardo a tutto questo. Le guerre, comunque siano generate e comunque siano condotte, comportano spargimento di sangue e coinvolgimento di civili. E non esiste guerra in cui ciascuna delle parti, in certi momenti, non commetta qualche atrocità, qualche azione inutilmente crudele o qualche violazione di quella che si può definire un’etica di guerra. La nostra tanto osannata resistenza, per dire, faceva attentati in cui morivano italiani innocenti. Il fronte alleato ha bombardato città e quartieri residenziali. Persino in tutte le missioni di peacekeeping che le Nazioni Unite hanno autorizzato, ci sono sempre state delle milizie che hanno passato qualche linea rossa. Quando si armano centinaia di uomini e si mandano ad “uccidere se necessario” altri uomini, è chiaro che qualcuno ci proverà gusto; qualcun altro sarà psicologicamente annientato; e qualcuno commetterà degli errori di valutazione.
Non esistono guerre “pulite”.
Per questo ogni guerra è sempre e comunque una tragedia. Ma è bene sempre ricordare che gli eserciti non sono degli strumenti del male in sé ma delle necessità per garantire la libertà di chi non vuole la guerra. Se però è vero che ogni guerra è una tragedia è anche vero che, a volte, la tragedia è antecedente alla guerra e la guerra risponde alla necessità di interrompere quella tragedia o evitarne una peggiore. Anche con il ricorso alla forza e alla guerra stessa. A volte è necessario il fuoco per spegnere il fuoco (come ben sa chi si occupa di incendi).
È questo il caso di Israele?
La minaccia esistenziale che lo stato ebraico ha denunciato era dello stesso tenore di quella denunciata da Putin, cioè una giustificazione campata in aria per avere mano libera nel perseguire i propri fini egemonici?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo ripercorrere alcuni eventi che hanno preceduto questa guerra.
Israele, dalla sua fondazione, ha sempre convissuto con una reale sistematica minaccia esistenziale. Una vera minaccia esistenziale. Molti stati confinanti hanno attivamente cercato di distruggere lo stato di Israele e di sterminarne la popolazione. Questa volontà non era costituita solo da ipotesi astratte ma concrete intenzioni apertamente annunciate e concretamente perseguite con azioni di chiaro valore. E inizialmente questo obiettivo ha accumunato quasi ogni stato della regione. Per molti decenni la sopravvivenza di Israele come nazione è stata tutt’altro che scontata. L’avversario più temibile, per molto tempo, è stato l’Egitto. Ma lo scontro era a tutto campo con tutti gli stati della regione.
Poi, lentamente, le cose sono cambiate. Progressivamente alcuni stati arabi hanno preso posizioni più moderate sul tema dell’esistenza dello stato ebraico. Hanno cominciato a dire che non poteva essere messa in discussione tutta la sua esistenza e la sopravvivenza della sua popolazione ma che era necessaria una soluzione che garantisse anche le minoranze arabe. Questa posizione ha progressivamente spostato il fulcro della discussione dalla cancellazione dello stato di Israele alla ricerca di soluzioni politiche per offrire garanzie alla popolazione palestinese.
Un processo che, però, una parte del mondo arabo non ha mai accettato.
È da questo che parte la mia riflessione: è accettabile che si possa anche solo parlare della cancellazione di uno stato da 10 milioni di abitanti? È accettabile che non consideriamo scandaloso anche solo dialogare con chi ha una tale prospettiva?
Io credo che la definizione di minaccia esistenziale sia strettamente legata a questo problema: una minaccia esistenziale è quella che subisce uno stato di cui viene ricercata attivamente la negazione della sua stessa esistenza e l’uccisione o l’asservimento ad uno stato di assenza di libertà dei suoi stessi cittadini.
Questa definizione ha visto Israele oggettivamente in uno stato di permanente minaccia esistenziale da parte di Hamas, Hezbollah, dal regime di Hassad e, soprattutto, dall’Iran. Certo, il fatto di trovarsi in uno stato di minaccia esistenziale non può essere considerato un salvacondotto per ogni livello di risposta. Non può liberare uno stato dalle sue responsabilità. Mi riferisco, in particolare, al livello della risposta che lo stato ebraico ha tuttora su Gaza. Un livello di forza che non pare giustificabile.
Ma è giustificabile, mi chiedo, l’aver portato guerra prima ad Hamas, poi ad Hezbollah quindi (dopo la fortunosa caduta del regime siriano su cui Israele ha avuto pochi meriti, lì più che altro ha lavorato la Turchia e il resto del mondo arabo) ad attaccare l’Iran?
A mio avviso è giustificabile. Uno stato non può abituarsi al lancio di bombe e razzi sul suo territorio. Non può non considerare un suo dovere garantire un ragionevole livello di sicurezza dei suoi cittadini. È in nessun caso il subire lanci di missili da parte di stati confinanti può essere considerato accettabile.
La minaccia esistenziale è quindi, nel caso di Israele, non una definizione pomposa ma una oggettiva valutazione di un livello di pericolo che lo stato ebraico ha vissuto e vive tutt’ora.