In discoteca sì, a scuola no: lo sfogo di Barbara, una mamma lavoratrice. “Vorrei vedere la scuola valorizzata e al centro di un percorso di rinascita”

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In questa estate strana, a tratti sospesa dall’emergenza Covid dove, anche se sembra al momento passata, l’allerta è ancora alta, cerchiamo giornalmente di riconquistare la nostra quotidianità.
Abbiamo ripreso a vedere gli amici, con le dovute accortezze (si spera), abbiamo ripreso a viaggiare, a guardare tramonti e a lavorare e quel tempo pieno di paura e di dubbi sembra così lontano ormai.

Ma una tematica ancora resta nel dubbio, tra domande e risposte poco chiare, tra sdegno e oggettive difficoltà e si tratta inevitabilmente della riapertura delle scuole a settembre e soprattutto delle modalità che verranno intraprese per prevenire il possibile contagio da Covid-19.

Che la questione sia delicata è fuori dubbio, la gestione dei bambini è sicuramente più complessa in quanto, fortunatamente, non sono in grado di capire, almeno quanto noi, la pericolosità della situazione ed è oggettivamente impossibile pensare di avere un comportamento come quello richiesto agli adulti; ugualmente però non è possibile nemmeno sottovalutare l’istruzione e tutto il sistema scolastico che sembra al momento essere dimenticato.
Adesso che siamo in una nuova fase la domanda è inevitabile: perché in discoteca sì e a scuola no?

Ne abbiamo parlato con Barbara Bianchini: Barbara è una mamma, una lavoratrice e una moglie ed è portatrice della voce di tutte quelle donne e quei genitori che ancora oggi si trovano confusi di fronte a delle contraddizioni inspiegabili. L’Italia ha ripreso a carburare, seppur con fatica e prudenza come è giusto che sia, ma la scuola sembra l’ultima delle priorità in questo paese in cui un viaggio conta più dell’educazione e della cultura.
Ci ha raccontato cosa è significato per lei e per tutte le altre famiglie gestire dei bambini in una situazione di emergenza, con nuove regole, nuovi orari e nuovi mondi da costruire, l’importanza della DAD in un momento di emergenza ma l’impossibilità di considerarla una valida alternativa oggi, tutte quelle difficoltà quotidiane che troppo spesso passano in secondo piano ma che si rivelano invece fondamentali per una ripartenza che non sia solo un proseguimento di ciò che abbiamo lasciato prima della pandemia, ma si ponga come una vera occasione di rinascita umana.
Un’analisi a tuttotondo anche sulla gestione del governo, sui mancati aiuti e sul pressappochismo con cui è stata valutata e l’emergenza sul fronte scolastico, nonché una visione profonda in nome dell’ottimismo e del rispetto di quel sistema di valori di cui anche la scuola si fa portavoce e che deve continuare a fare per non risultare un servizio di serie B.

Lei, Barbara, è una mamma lavoratrice, come hai gestito il lockdown con i bambini a casa?
Sì, lavoro in una grande azienda ed ho potuto usufruire del lavoro da remoto, impropriamente detto, in questo caso, smartworking. I miei figli hanno frequentato rispettivamente la classe prima alla scuola media inferiore Leonardo Da Vinci e la classe seconda alla scuola primaria Ferdinando Martini.
Con mio marito, anche lui lavorava da casa, siamo riusciti ad organizzarci per seguirli.

Pensa sia davvero possibile lavorare in smartworking e gestire i figli?
Penso che sia stata una necessità dovuta dalla situazione di emergenza, quindi ci siamo adattati facendo sacrifici nell’organizzazione della nostra giornata lavorativa e familiare. Abbiamo avuto la fortuna di poter gestire il nostro orario di lavoro in modo abbastanza flessibile: iniziando molto presto al mattino o finendo di lavorare in tarda serata così da ritagliarci le ore necessarie per seguire i bambini negli impegni scolastici. Non è stato comunque facile e penso che per molte persone con bambini più piccoli o con disabilità, sia stato ingestibile.

La chiusura delle scuole è stata realmente utile secondo lei? Come hanno reagito i bambini?
Non mi posso esprimere sulla reale utilità della chiusura delle scuole durante il picco della pandemia, non sanno cosa dire nemmeno i virologi! In quel momento di paura con il TG che faceva la conta dei morti, ci siamo fidati delle scelte del Governo.
I bambini hanno età diverse ed hanno reagito in modo diverso: il più grande seguiva le lezioni on-line con regolarità ed eseguiva i compiti, secondo me ha apprezzato il rallentamento dei ritmi, solitamente frenetici, delle sue giornate. La più piccola aveva meno lezioni on-line quindi meno occasioni di risentire/rivedere gli amici e gli insegnanti. Ha quindi risentito molto della solitudine imposta dalla situazione e le mancava tanto la scuola.

Cosa ne pensa della didattica a distanza? Può essere una valida alternativa?
Penso che la DAD sia stata fondamentale per non perdere il legame e la relazione con gli insegnanti e i compagni, la relazione sta alla base dell’apprendimento e non poteva essere sostituita a livello di motivazione e stimolo, dall’impegno di noi genitori. Noi abbiamo dato una mano a livello pratico ma il valore della voce e dello sguardo dell’insegnante sono insostituibili.
Quindi secondo me no, la DAD non può essere una valida alternativa alla scuola ma solo una soluzione di emergenza.

Cosa pensa succederà a settembre?
A settembre la scuola ripartirà, voglio essere ottimista! E’ un servizio essenziale per la vita dei nostri figli e per la nostra società.

C’è sempre il dubbio sull’inizio del nuovo anno scolastico, quale sarebbe secondo lei la soluzione?
Credo che sia necessario guardarsi intorno, confrontarsi con gli altri Paesi, avere coraggio, rispettare tutte le regole di sicurezza che saranno adottate e ragionare fuori dagli schemi: ho sentito parlare molto in questi mesi di “scuola diffusa” e l’idea di una scuola che si apre al territorio mi piace molto.
Uscire dalle mura scolastiche aiuterebbe la necessità di distanziamento, renderebbe i ragazzi più coscienti del proprio territorio e degli spazi pubblici disponibili con il vantaggio di passare del tempo all’aria aperta.

È davvero così rischioso mandare i bambini a scuola a settembre?
Se lo fosse, dovremmo tenerli in casa anche adesso, non far loro incontrare gli amici e non frequentare i campi estivi. Penso che anche non aprire le scuole comporti un grosso rischio per la nostra società e mi auguro che venga preso in considerazione.

Cosa ne pensa delle procedure attuate dal Governo sul tema?
Mi sono trovata in difficoltà a seguire le proposte del Governo, le ho trovate confusionarie come se un giorno si dicesse una cosa e il giorno seguente il suo contrario. Adesso, se ho capito bene, è stata data delega alle autorità locali e ai Dirigenti Scolastici. Trovo che sia logico perché la situazione è molto diversa da una scuola all’altra, spero però che si riesca ad avere una linea comune per evitare la creazione di divari e di scuole di serie A e altre di serie B.

Poteva essere fatto di più? Poteva essere gestita diversamente la cosa e in che modo?
Vorrei dividere in due la mia risposta. Da un lato c’è stato il momento di emergenza, il picco della pandemia e la paura che tutti abbiamo avuto. In quel momento la priorità è stata giustamente la salute pubblica. Poi per fortuna è arrivato il momento di programmare l’anno nuovo, di decidere come ricominciare, con cautela, ma ricominciare! Qui devo dire che dal Governo mi sarei aspettata uno slancio maggiore sia economico che direttivo. Mi piacerebbe vedere la scuola nella sua interezza (struttura, insegnanti, lavoratori, studenti) veramente valorizzata e al centro di un percorso di rinascita.

Dovevano essere previsti degli aiuti in più per i genitori lavoratori?
Si, sicuramente. Mi piacerebbe che da questa triste esperienza ne uscisse una riflessione su quanto sia necessario per tutti quanti conciliare vita privata e professionale. Questo non significa però tenere le scuole chiuse con i genitori in smartworking perché questa non è conciliazione, questa è “emergenza”.
Ed io parlo per me che ho bambini abbastanza grandi e grazie a Dio in salute, i genitori di bambini portatori di handicap hanno sofferto moltissimo, parlavo qualche giorno fa con amici che hanno un bambino con una forma di autismo e il danno subito per l’assenza dei servizi scolastici è incalcolabile.
Investire nella scuola, nei servizi per l’infanzia, nelle sue strutture, nel numero degli insegnanti, potrebbe portare ad un’organizzazione della giornata dei ragazzi e dei genitori sicuramente migliore.

Per quanto riguardo il possibile rientro a scuola a settembre ancora non ci sono risposte ma si è parlato di dividere le classi tra didattica a distanza e in presenza, test sierologici sugli insegnanti, misurare la febbre autonomamente ai bambini da parte dei genitori. Crede che siano tutte soluzioni attuabili?
Spero nel buon senso di Dirigenti Scolastici, al momento so che stanno lavorando con grande impegno nella ricerca di soluzioni adeguate. Ho molta fiducia in loro e negli altri genitori, non credo nell’esistenza del fantomatico “genitore debosciato” che porta a scuola il figlio malato. Se questo accade abbiamo due problemi grandi: il primo è culturale e torniamo all’importanza che dobbiamo dare alla scuola; il secondo è di ordine pratico, è necessario che chi si prende cura di altre persone abbia gli strumenti ed i servizi per poterlo fare e poter al tempo stesso lavorare e guadagnarsi da vivere con dignità.

Bianca Leonardi
Bianca Leonardi
Classe 1992, Lucca. Una laurea in giornalismo e tanta voglia di dar voce a chi troppo spesso resta in silenzio. Lavoro da anni nella comunicazione e nell'organizzazione di eventi, saltando tra musica, teatro e intrattenimento. Perché "Lo Schermo"? Perché siamo giovani, curiosi e affamati di futuro.

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