In Francia il governo Bayrou ha appena fatto il suo canto del cigno. Dopo appena 9 mesi da primo ministro ha chiesto un voto di fiducia per riformare i conti pubblici.
La fiducia non l’ha avuta.
E non è che non l’ha avuta di poco. Non è la trama di un piccolo gruppo di rinnegati che lo ha fatto cadere. È finita contro 364 e a favore appena 194. Un cappotto che vuol dire 60% contro, 30% a favore.
Questo governo cade dopo che il precedente era durato appena 3 mesi.
Prima ancora l’incubo delle elezioni con Macron che porta alla fine del governo Attal, anch’esso durato appena 8 mesi. Arriviamo così ad vedere la République che ha bruciato 3 governi e 3 primi ministri diversi in meno di 2 anni. Ed ora ne lancia un altro, di primo ministro, che non si sa neppure se riuscirà a formare un governo.
La cosa più impressionante è che il voto di fiducia lo ha chiesto Bayrou, non l’opposizione. E lo ha chiesto non per una pressione sociale insostenibile ma per scelta interna, per strategia di difficile comprensione, o forse per personalismi e cortocircuiti istituzionali.
Una specie di all in, tutto o nulla, “me o morte” che non combacia con il profilo della persona.
Bayrou non è un politico da social, né un uomo banale. Era stato scelto per la sua lunga esperienza. E, soprattutto, per la sua capacità di mediazione.
Eppure la scelta di chiedere il voto di fiducia è stata indubbiamente sua. E ha lasciato tutti esterrefatti e preoccupati. E a buona ragione, visto il risultato finale.
Ma quindi perché lo ha fatto?
La motivazione è che la Francia è da più di venti anni che vive al di sopra delle sue possibilità: se nel 2007 il debito era circa il 70% del PIL nazionale nel 2024 si aggira verso il 115% e il deficit viaggia verso il 6% con ovvie ricadute in termini di ulteriore aumento del debito. I titoli del debito francese, che una volta avevano rating a AAA, ora hanno gli stessi rendimenti di quelli italiani.
Bayrou ha chiuso la sua carriera da primo ministro con un discorso in parlamento nel quale la sua frase più famosa è divenuta: “Potete far cadere il governo, ma non cancellare la realtà”.
E la realtà è quella di conti che non tornano. Di un paese mantiene un sistema di spesa pubblica che, nonostante una pressione fiscale superiore a quella italiana, non è in grado di sostenere. E per mantenerlo fa debiti che saranno l’onere delle prossime generazioni.
È questa crescita del debito senza controllo (o con controllo insufficiente) che Bayrou ha scelto come suo obiettivo. È contro di questa che ha scelto di prendere posizione. E, coerentemente, si è speso per fermarla.
Lo ha fatto dichiarando apertamente (talvolta con qualche scivolone comunicativo e contenutistico) l’insostenibilità del sistema fiscale francese. Su questo ha impostato la sua linea politica.
Su questo è caduto, abbandonato da quasi tutti.
Se Bayrou ha dimostrato qualche cosa è che non è facendo la cosa giusta che in politica, nella politica di questi nostri tempi, si può pensare di vincere.
Tutti i partiti sanno.
Sanno che questa situazione è insostenibile. Sanno che si sta ballando e brindando nella sala grande del Titanic, dopo che l’iceberg ha già squarciato la stiva.
Sanno; ma sanno anche che la gente non vuole sapere. Che la gente vuole continuare ad avere la stessa vita, la stessa routine, gli stessi privilegi. Che la gente non premia la coerenza e prudenza ma chi gli dà un cadeau.
I partiti, e non solo quelli francesi, sanno che la gente, il popolo, vuole “panem et circenses”, come dicevano i latini del tardo impero, quello della dissoluzione. Il popolo vuole star bene e divertirsi senza pensare al futuro, almeno fino a che questo non appare inesorabilmente vicino.
È per questo che i populismi vincono. È per questo che Bayrou è caduto. Romanticamente e gagliardamente alto, sul podio del suo ultimo discorso. C’è da chiedersi se, oltre che romantico e gagliardo, il suo sacrificio sia stato anche inutile.